Occorre fare un poco di chiarezza sul rifiuto che il cardinale Carlo Maria Martini ha opposto all’«accanimento terapeutico», termine che qui rivela in modo esemplare tutta la sua ambiguità. Sua Eminenza soffriva da lungo tempo di Morbo di Parkinson, una patologia che nei suoi stadi più avanzati è scarsamente sensibile ad ogni tipo di terapia farmacologica. Tuttavia un parkinsoniano non muore mai per la degenerazione delle cellule nervose che è alla base della malattia, ma per le complicanze che essa determina, prima fra tutte (le statistiche riportano dati che oscillano tra il 73 e l’89%) la disfagia. In pratica, viene meno la capacità di deglutire a dovere: ne derivano deperimento da malnutrizione e non di rado infezioni polmonari perché il cibo ingerito prende la via sbagliata e va a infettare le vie respiratorie, talvolta provocandone l’ostruzione e la morte per asfissia. In una percentuale più ridotta di casi (tra il 7 e il 9%) il paziente muore per insufficienza respiratoria perché l’ipercinesi muscolare arreca gravi alterazioni della dinamica degli atti di inspirazione ed espirazione. Intubato per la ventilazione assistita, idratato per via endovenosa e nutrito con un sondino gastrico, un parkinsoniano può sopravvivere per anni e anni. Una vita di merda, senza dubbio, ma questa è considerazione da laicista.
Laicisti non sono quelli che si sono subito affrettati a precisare che nel caso di Sua Eminenza non si è trattato di eutanasia, ma semplicemente di rinuncia all’«accanimento terapeutico», che la dottrina cattolica non condanna. È vero, il Catechismo afferma che «l’interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi può essere legittima» (2278), ma afferma pure che, «anche se la morte è considerata imminente, le cure che d’ordinario sono dovute ad una persona ammalata non possono essere legittimamente interrotte» (2279). Ora, nel caso del cardinale Carlo Maria Martini, la somministrazione di aria, acqua e cibo era da intendere come cura ordinaria o straordinaria? E il paziente aveva il diritto di rifiutarla? Con la logica che ha portato gran parte del mondo cattolico a parlare di suicidio assistito nel caso di Piergiorgio Welby e di assassinio nel caso di Eluana Englaro, Sua Eminenza non aveva questo diritto: doveva essere costretto a sopravvivere, contro la sua volontà. Così non è accaduto. Punto.