venerdì 30 aprile 2010

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L’eroe che Il Foglio ci propone oggi, affidando la sua avventura alla sapiente cura di Nicoletta Tiliacos, è il cappellano dell’ospedale di Rossano Calabro (Cs), quel don Antonio Martello che andando per feti morti ne ha trovato uno vivo, e tutto eccitato attacca: “Quello che ho visto accadere domenica scorsa non mi era mai capitato prima”. Talvolta si eccitano con poco: basta che respiri.

La tregua


Quando ti viene offerto come affarone l’acquisto di x al prezzo di xv ≤ cg (dove xv sta per il valore dichiarato di x e cg sta per “il costo di un caffè al giorno”), qualunque cosa sia, abbonamento o tessera, tieni presente che raramente il barman sputa nella tazzina del caffè prima di mettertela davanti.

La gentile signorina che continuava a telefonarmi dallo 06/6826 (anche tre volte al giorno) ha finalmente afferrato il mio ragionamento, e da qualche giorno mi dà tregua.

giovedì 29 aprile 2010

Oggi la Divina compie 40 anni


“È mia, è mia!”


In un partito carismatico il meme non fluisce solo dal leader agli accoliti: meno evidente, certo, ma c’è un flusso di memi dal basso verso l’alto, sennò da dove piglierebbe, Berlusconi, le barzellette che racconta?
Non voglio parlare del Popolo della Libertà, ma dei radicali, prendendo a esempio la barzelletta che Pannella deve a Bandinelli, e di cui Bandinelli tiene a rivendicare la paternità con un orgoglio molto liftato, riproponendone lo sketch un giovedì sì e un giovedì no dalle pagine de Il Foglio, come stavolta: “Ho più volte espresso il mio dissenso nei confronti delle posizioni culturali e politiche di stampo laicista, e per questa mia avversione ho avuto rimbrotti e diffidenze anche da parte di amici e sodali”.

Quando la racconta Pannella, la barzelletta di Bandinelli è irriconoscibile, perché arricchita dai contributi di Pullia (roba new age), di Strik Lievers (armoniche cielline) e di Di Leo (fronzoli ratzingeriani). E però Bandinelli legittimamente saltella strepitando: “È mia, è mia!”, perché l’impalcatura della barzelletta è sua, è sua.
In breve, siamo dinanzi ad una “grande sfida politico/culturale alla quale né la laicità né la religiosità possono sottrarsi, pena la sconfitta”, e il loro nemico comune è il laicismo, una bestia atea, materialista, intollerante, che, a sentire il nostro, piglierebbe origine da Filippo il Bello, diventerebbe massonico per andare a innervare lo stato nazionale, fino a ispirare Lenin, Atatürk e Saddam Hussein. È che, quando s’accalora, Bandinelli si fa vento con le sue vecchie garzantine.

Laicità e religiosità contro laicismo, perché vera laicità è genuinamente religiosa (a meme metabolizzato, Pannella dice che i radicali sono alfieri della “religione laica”), mentre il laicista è ateo (senza nemmeno essere ateo devoto, sennò Bandinelli sarebbe disposto a chiudere un occhio).
Crocianesimo di risulta, insomma, la metafisica del pannellismo di stretta ortodossia.

Post





Luca Sofri non è molto soddisfatto di quella che sarebbe stata – scrive“la mia prima puntata di Ballarò”. Ce ne sarà almeno una seconda, dunque, e sarebbe interessante sapere chi gliene abbia dato assicurazione. Soprattutto sarebbe interessante sapere se questa assicurazione gli è stata data prima o dopo quella puntata.
Se gli è stata data dopo quella prova che egli stesso giudica infelice, avrebbe ragione a scrivere che “ci possono essere casi di incompetenze promosse senza che se ne capisca la ragione”. Se gli è stata data prima, invece, prenderebbe forza l’ipotesi avanzata da L’89, quella di “uso di mezzo pubblico a fini pubblicitari per un editore esterno”, dando ragione a chi sostiene che questo porrebbe gli estremi di conflitto di interesse, come fa Daniele Sensi, che a ragione commenta: “Si fosse trattato di personalità vicine al centrodestra, oggi la blogosfera tutta, costernata ed indignata, non parlerebbe d’altro”.
E invece se ne parla pochissimo, e quel pochissimo è affettuosamente soffice o ambiguamente reticente, fatta eccezione per Fulvio Abbate, che a Luca Sofri dà del “figlio di papà”, rinfacciandogli di godere dei benefici di un “supponente nepotismo di sinistra”: solo Abbate riprende l’immagine che Roberto Cota ha evocato a Ballarò per rintuzzare le maliziose insinuazioni di Sofri jr. su Bossi jr., quella del bue che osa dare del cornuto all’asino, e solo Jimmomo arriva al categorico (“un paio di stronzate e antipaticissimo”).

Ho visto la puntata di Ballarò assai distrattamente ma, se incrocio al post di Luca Sofri quel che me n’è parso in tv, senza ironia e senza voler far lo strambo a tutti i costi, direi che mai come oggi quel suo musetto da carlino mi torna simpatico: sa che ha fatto una figura di merda e per un attimo mette da parte quella posa da Maurizio Costanzo della blogosfera, facendo dimenticare perfino la sua Maria De Filippi e l’annessa corte di Amici, Saranno famosi, ecc.
Devo dire che, anche se mi è sempre stato sul cazzo, mai come oggi Luca Sofri mi fa tenerezza, e quasi mi pento di aver tante volte espresso giudizi severi nei suoi confronti [*]. È capace di capire che ha fatto una figura di merda: non è poco, depone in suo favore.
Prometto che da oggi in poi lo seguirò senza pregiudizio.

 
 
[*] Ai tempi in cui friggeva patatine in un McDonald’s, Giulio Meotti mi chiedeva consigli su come farsi notare da Giuliano Ferrara e m’intratteneva quotidianamente sulle ingiustizie che il mondo fa patire ai figli di nessuno, e i suoi lamenti s’appuntavano spesso sui privilegi dei figli di papà, e Luca Sofri era l’antonomasia che preferiva. Ne sarò stato influenzato.

mercoledì 28 aprile 2010

Coda


“Se il bambino nasce vivo – scrive Paolo C – immagino che le cure che gli vengono prestate siano le stesse sia che si tratti di parto prematuro che di parto indotto per un aborto terapeutico. O sbaglio?”, che sbaglierò, ma mi suona come domanda retorica, a significare che nel commento alla vicenda di Rossano avrei eluso la questione centrale: che si è omesso il soccorso a un feto.
Credo sia utile portare in pagina ciò gli ho risposto in margine: “Certo, gli sono dovute cure, ma non devono configurare - come per chicchessia - accanimento terapeutico: se le condizioni cliniche sono tali da escludere ogni buon esito delle cure, il prolungamento di quella che è da considerare una agonia diventa sadismo travestito da pietà. Poi c’è anche un’altra questione: nei feti espulsi in bassa epoca gestazionale è assai difficile la diagnosi di avvenuta morte, c’è una possibilità di errore anche quando il feto è espulso per aborto spontaneo (o parto spontaneo in bassa epoca gestazionale). Insomma, è più grave che i medici abbiano violato la privacy della donna: consiglierei di non azzardare l’ipotesi di negligenza a loro carico, soprattutto in mancanza di rudimenti medici e di dettagliata anamnesi. Provo a immaginare - solo a immaginare - che «gravi malformazioni» possa significare, per esempio, un quadro oloprosencefalico come quello raffigurato in foto, che è frequentemente associato a patologie cardiache non correggibili chirurgicamente: perché prolungare la sua agonia, se sarebbe comunque destinato a morire all’uscita dall’utero, quand’anche a nove mesi finiti?”.

Direi che mette molto bene


damme tiempo ca’ te spertoso

È stato presentato l’Annuario Statistico della Chiesa e un comunicato della Sala Stampa Vaticana ne dà un succinto estratto che tiene a far presente: “A livello planetario il numero dei cattolici battezzati è passato da 1.045 milioni nel 2000 a 1.166 milioni nel 2008, con una variazione relativa di +11, 54%”.
Non v’è accenno al fatto che nel 2000 la popolazione mondiale fosse di circa 6.070 milioni, e nel 2008 di circa 6.697 milioni: ammesso che il battesimo renda cattolici di fatto, e per sempre, il cattolicesimo ristagna, forse ha persino un lieve calo. Ma il comunicato della Sala Stampa Vaticana non ne fa un mistero e parla di una “sostanziale stabilità della diffusione dei cattolici battezzati”, dando infine il giusto valore a quel “+11,54%” strombazzato in apertura.

La “sostanziale stabilità” è assicurata dall’Africa, perché “i cattolici europei vedono scendere il loro peso nel mondo dal 26,81% (2000) al 24,31% (2008)”.
Anche qui, naturalmente, bisognerebbe tener conto del fatto che l’Europa e l’Africa hanno indici di incremento demografico un pochino diversi, e dunque non possiamo dire che il cattolicesimo si stia africanizzando, come talvolta è nelle suggestioni lanciate da autorevoli esponenti delle gerarchie ecclesiastiche, quando vogliono inzuccherare l’amara pillola di un’Europa sempre meno cattolica.
In estrema sintesi, possiamo dire che, ben oltre tutti gli strombazzamenti, gli ultimi 5 anni del pontificato di Giovanni Paolo II e i primi 3 di quello di Benedetto XVI non hanno affatto assecondato quella connaturata tendenza all’espansione kata olos, che poi sarebbe la ragione sociale stessa del cattolicesimo, e anzi, anche se i numeri non sono ancora disponibili, c’è da ritenere che gli ultimi 2 anni del pontificato di Benedetto XVI abbiano frustrato in modo sensibile questa tendenza.

Ancora sarebbe poco, se non fosse che per sua stessa natura il cattolicesimo non è cosa possibile senza preti, e questi passano dai 405.178 del 2000 ai 409.166 del 2008: meno di 4.000 in più, a fronte dei 121 milioni di cattolici in più.
Impossibile far proiezioni, ma direi che mette molto bene.

martedì 27 aprile 2010

“Non solo non era morto, ma era ancora vivo”

Alcuni lettori mi hanno chiesto di commentare un articolo a firma di Melania Rizzoli, medico e deputato del Pdl, apparso oggi su il Giornale (Il feto sopravvissuto? È l’aborto choc che nessuno racconta). Devo premettere che avevo intenzione di intrattenermi sulla vicenda trattata nell’articolo già prima che mi fosse chiesto, però prendendo spunto da quanto oggi vi ha dedicato Avvenire (un editoriale di Assuntina Morresi, a pag. 2, e tre pezzi a pag. 4), robetta un po’ più seria, ma nemmeno troppo, e dunque partirò proprio da quanto leggo su il Giornale:
“Il cappellano del nosocomio di Rossano, in provincia di Cosenza, sabato scorso aveva saputo che la mattina presto era stato eseguito un aborto terapeutico nel suo ospedale, e verso le 12, dopo aver celebrato la messa e aver fatto il giro dei malati nelle corsie, si è avviato nella sala operatoria dove era avvenuta l’interruzione di gravidanza, per pregare per un’altra anima mai venuta al mondo. Il prete si è avvicinato al tavolo di metallo dove, in un fagottino di tela bianca, era stato deposto il feto di 22 settimane abortito da oltre quattro ore… e con orrore ha notato un movimento. Quando ha scostato il telo ha potuto constatare che il feto non solo non era morto, ma era ancora vivo”.
Lasciando da parte ogni considerazione sulla suspense affidata ai puntini sospensivi e sull’omaggio a Lapalisse (“non solo non era morto, ma era ancora vivo”), molte cose non quadrano.
Violazione della privacy: un cappellano in servizio in un ospedale non ha alcun diritto di accedere a informazioni come quelle che qui gli sono state date dal personale sanitario o parasanitario (sennò da chi?).
Violazione delle norme igieniche: non si può accedere liberamente in una sala operatoria se non si è medico o infermiere, ed è superfluo rilevare che l’esser prete non autorizza a entrare, ispezionare, toccare, ecc.
Prima di mettere da parte l’articolo della Rizzoli, però, c’è da segnalare un grave tentativo di disinformazione:
“Casi del genere succedono di frequente. Proprio così. Una gravidanza regolare dura quaranta settimane, per cui se un feto viene abortito oltre la metà delle settimane di gestazione, ma spesso anche prima, è molto probabile che nasca vivo. Anzi molto spesso nasce vivo”.
Bene, questo è falso: è molto probabile che nasca morto, anzi molto spesso nasce morto. Non sopravvive più del 2% dei feti nati a 21 settimane, non più del 5% a 22, non più del 12% a 23 e, in caso di feti con gravi malformazioni (è il caso di Rossano), queste percentuali hanno un drastico abbattimento.
Ma questo non è ancora il problema vero, credo. Il problema vero è che qui, ammantandosi di sentimentalismo, la disinformazione cerca di distogliere l’attenzione dai fatti.
In primo luogo, il feto in questione era gravemente malformato: se in grado di arrecare danno alla salute fisica e psichica della gravida, questa condizione è ragione sufficiente perché ella possa chiedere e ottenere l’interruzione della gravidanza (legge 194/1978, art. 6).
Pesava 300 grammi, il feto: in un’epoca gestazionale alla quale solitamente un feto pesa il 35-70% in più, questo rende estremamente probabile che le gravissime malformazioni di cui era portatore fossero incompatibili con la sopravvivenza a medio termine. In più, non si ha notizia di feto di così basso peso sopravvissuto più di 48/60 ore dall’espulsione, anche se sottoposto a forsennato accanimento terapeutico.
Un medico come la Rizzoli dovrebbe sapere tutto questo, ma è molto probabile che, quando scrive per il Giornale, se lo dimentichi, tutta presa da un fervore ideologico che la spinge addirittura a usare citazioni a cazzo di cane:
“In proposito mi vengono solo in mente i versi del poeta francese Guillaume Apollinaire il quale, scrivendo delle madri rinunciatarie, recitava: «Mettono bruscamente al mondo dei bambini, che hanno appena il tempo di morire»”.
Si dà il caso, infatti, che qui (Calligrammes, 1918) Apollinaire stia parlando dei giovanissimi caduti in guerra e delle madri che non hanno fatto in tempo a metterli al mondo per perderli al fronte, ancora giovanissimi. Tutt’altro che “rinunciatarie”, insomma.

Intermezzo


E ricordo che aveva pure l'alito pesante



Ebbi un battibecco col professor Evandro Agazzi, tempo fa. Oggi, me lo ritrovo su Avvenire che ripete più meno le stesse cose: “Lo scientismo pretende di spiegare qualsiasi cosa in termine puramente fisici”. Per evitare la deriva dello scientismo, la scienza dovrebbe lasciar spazio al metafisico?

Se l'arcivescovo di Stoccolma si disarcivescovistoccolmizzasse...



Avvenire, 27.4.2010: “L’arcivescovo svedese ha ammesso di aver peccato di negligenza nel non aver condotto prima un’indagine approfondita sul comportamento del prete accusato, e si è detto pronto ad assumersi tutta la responsabilità derivante da questa omissione, dichiarandosi disposto a rassegnare le proprie dimissioni dalla carica”.

Cosa sia necessario perché si dimetta, non si sa.

Priorità


In Kenia, entro quest’anno, la nuova costituzione approvata il 1° aprile sarà sottoposta a un referendum confermativo. I cristiani voteranno contro – lo apprendo dall’ultimo numero di Internazionale (843/XVII, pag. 21) – perché contrari su due punti: la possibilità di abortire, che comunque è concessa solo nel caso in cui la gravidanza metta a rischio la vita della gravida, e il riconoscimento delle corti civili musulmane, che implica una parziale introduzione della sharia nell’ordinamento giudiziario. Pare il governo stia trattando con le comunità cristiane per ottenere il loro sì al referendum, vedremo, ci terremo informati. Ma dovendo cedere su uno dei due punti – consentire che una donna abortisca se in pericolo di vita o che venga frustata pubblicamente se adultera – su cosa possiamo immaginare cederanno?

Scintille, ma poi


Pare abbastanza condivisa l’opinione che Gianfranco Fini e i suoi stiano “risalendo, in disordine e senza speranze, le valli che avean disceso con orgogliosa sicurezza” (4.11.1918).
Può darsi, ma a me pare una ritirata strategica.

Raab e Magister




Mosè riuscirà solo a vedere la terra promessa, sarà Giosuè a conquistarla militarmente, e i 24 capitoli del libro della Bibbia che porta il suo nome narrano, appunto, la conquista della Palestina e la sua spartizione alle tribù ebree. Anche qui, come in ogni componimento epico, l’efferatezza di ogni conquista militare è sublimata, sicché una puttana palestinese, Raab, che tradisce la sua gente ospitando e proteggendo due spie mandate da Giosuè in avanscoperta, assume la figura di donna salvata dalla sua fede nel Dio degli ebrei, ai quali offre i suoi favori in cambio dell’assicurazione che sarà risparmiata, insieme ai suoi cari, dal massacro che andrà compiendosi di lì a poco.
Una puttana utile alla causa è naturale venga trasfigurata in santa, non c’è da scandalizzarsi troppo, e infatti nell’edizione della Bibbia ad uso dei cattolici romani si legge nelle note: “Questa straniera, che con la sua fede e la sua carità salva tutta la sua casa, è diventata presso i Padri un’immagine della Chiesa” (editio princeps 1971, pag. 409). Immagine particolarmente comoda, trattandosi di una puttana.

La figura di Raab (anche Rahab o Rhaab) viene richiamata da Sandro Magister in un articolo che in fondo ha il solo scopo di bacchettare Gianni Maria Vian, il quale, “nel riferire l’incontro di Benedetto XVI con i cardinali nel quinto anniversario della sua elezione, […] ha scritto che «il pontefice ha accennato ai peccati della Chiesa, ricordando che essa, ferita e peccatrice, sperimenta ancor più le consolazioni di Dio»”: “c’è da dubitare che Benedetto XVI si sia espresso esattamente così – rintuzza Magister – […] la formula «Chiesa peccatrice» non è mai stata sua, l’ha sempre ritenuta sbagliata”.
Personalmente credo che Magister abbia ragione, ma che non tenga conto del fatto che Benedetto XVI non scrive neanche il 5% dei discorsi che pronuncia e, anche se vi apporta correzioni, è anziano, stanco, s’appisola durante le messe, insomma, potrebbe davvero essergli scappato quel «Chiesa peccatrice», che indubbiamente stravolge l’“immaculata ex maculatis” (“santa e composta di peccatori”), che è uno dei tanti graziosissimi paradossi prodotti dal bimillenario “intellettuale collettivo”.

Fu Ambrogio a costruire l’immagine della “puttana santa” in un passo (Expositio evangelii secundum Lucam, III, 23) che Magister riporta non già dal testo originale, ma da una citazione fattane dal cardinale Giacomo Biffi (lo dimostra l’inserimento di alcuni punti sospensivi in un punto dove sono assenti nel testo in latino – vedi foto): “Rahab, che nel tipo era una meretrice ma nel mistero è la Chiesa, indicò nel suo sangue il segno futuro della salvezza universale in mezzo all’eccidio del mondo. Essa non rifiuta l’unione con i numerosi fuggiaschi, tanto più casta quanto più strettamente congiunta al maggior numero di essi; lei che è vergine immacolata, senza ruga, incontaminata nel pudore, amante pubblica, meretrice casta, vedova sterile, vergine feconda... Meretrice casta, perché molti amanti la frequentano per le attrattive dell’amore ma senza la contaminazione della colpa”.
La cosa è facilmente spiegabile: Magister ha preso la citazione da un testo del Biffi (La sposa chiacchierata: invito all’ecclesiocentrismo, Jaca Book 1998 – pag. 57) e ha messo i puntini sospensivi nel testo di Ambrogio dove Sua Eminenza si sofferma un attimo a fare una considerazione, peraltro insignificante. Come dire: dove Biffi si ferma a fare una pisciatina, Magister fa un attimo di pausa nella lettura di Ambrogio. Tutto normale: questa è la Chiesa e questi sono i suoi vaticanisti, punto.

Suppongo sia superfluo sottolineare la carriera della puttana, da Gerico a Gs 2, 1-21, da Gs 2, 1-21 ad Ambrogio, da Ambrogio al Biffi, dal Biffi al Magister. Vale la pena di segnalare, invece, il titolo che Magister dà al suo pezzo – “Chiesa peccatrice? Una leggenda da sfatare” – e la chiusa: “In giorni calamitosi come gli attuali, pieni di accuse che vogliono invalidare proprio la santità della Chiesa, questa è una verità da non dimenticare”.
Chi è più puttana, Raab o Magister?

lunedì 26 aprile 2010

Voilà


Cover



Vittorio Feltri era retroscenista, il 16 aprile, e ci offriva un grazioso botta e risposta: botta moscia, risposta da dio. Dev’esserne rimasto assai colpito, Berlusconi, perché oggi, come fa con le barzellette, ricicla e fa sue botta e risposta

Se uno cerca di pigliarmi per il culo

Se uno cerca di pigliarmi per il culo, di regola m’incazzo. E però dipende. Più sofisticato è il tentativo, meno m’incazzo. Posso arrivare addirittura a non incazzarmi affatto, se ritengo l’inganno di livello sopraffino. Al contrario, se si tratta di una volgare presa per il culo, m’incazzo come un animale, perché nella grossolanità dell’artificio leggo l’aggravante dell’offesa. È questo il caso dell’editoriale di Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera di oggi.
“Ieri l’altro il vescovo di Bruges; giovedì quello di Kildare e Leighlin, ultimo di tre prelati irlandesi; subito prima il vescovo di Augsburg, il vescovo norvegese Muller e monsignor John Magee, ex segretario di vari Papi. In modo impressionante si susseguono a raffica le dimissioni di alti dignitari della Chiesa cattolica, colpevoli più o meno confessi, nella maggioranza dei casi, di abusi sessuali nei confronti di minori. Insomma, l’opera di pulizia auspicata con parole di fuoco da Benedetto XVI quando era ancora il cardinale Ratzinger (e quando su questi temi – mi sembra importante notarlo – l’opinione pubblica non si faceva sentire) va avanti con decisione senza guardare in faccia a nessuno”.
A quell’“insomma” mi offendo e m’incazzo di brutto: rifilarmi le dimissioni a raffica come effetto immediato e diretto di ciò che Joseph Ratzinger – per la stessa ammissione di Ernesto Galli della Loggia – si sarebbe limitato ad “auspicare”, e più di cinque anni fa, mi pare una volgarissima presa per il culo.
Dal 1981 al 2005, mentre è a capo della Congregazione per la Dottrina della Fede, Joseph Ratzinger non fa altro che insabbiare tutti i casi di pedofilia che gli vengono segnalati da ogni parte del mondo, e nel 2001 firma la De delictis gravioribus che in sostanza ribadisce quanto era scritto nella Crimen sollicitationis, col solo merito di portare l’opinione pubblica a conoscenza della sua esistenza; poi, nel 2005, sospira un vago: “Quanta sporcizia c’è nella Chiesa!”, che può significare tutto e niente. Questo, per Ernesto Galli della Loggia, avrebbe provocato le dimissioni degli otto vescovi.
Mica l’ondata di sdegno internazionale dinanzi ai centinaia e centinaia di casi fin qui occultati proprio dietro direttiva della Congregazione per la Dottrina della Fede ed oggi rivelati dalle vittime che piano piano trovano il coraggio di denunciare quello che hanno subito. Mica l’impossibilità di continuare a governare diocesi che sono sgomente e atterrite nel venire a conoscenza di quali criminali le governassero. Macché, tutto accade perché l’ha voluto il papa, fin da quand’era cardinale.
Se uno tentasse di barare in questo modo all’altro capo del tavolo di gioco, mi alzerei e gli romperei la mia sedia in testa. Ernesto Galli della Loggia, per sua fortuna, bara a debita distanza.
“Si tratta di un’importante opera di disciplinamento e in certo senso di autoriforma della Chiesa, dietro la quale si intravedono però fenomeni più ampi e significativi che non rendono troppo azzardato parlare di una vera svolta storica. Per la prima volta, infatti, la Chiesa cattolica si spoglia di sua spontanea volontà di ogni funzione di intermediazione – e per ciò stesso, inevitabilmente, di «protezione» – nei confronti dei propri membri. Si priva di ogni attribuzione e volontà di giudizio nel merito, di decisione sua propria ed autonoma nei loro riguardi. Lo fa, per giunta, non in seguito a provvedimenti giudiziari emanati da una qualche autorità civile di cui le è giocoforza prendere atto, ma per l’appunto in via preliminare”.
“In via preliminare”, un cazzo. Ci sono diocesi che hanno dovuto dichiarare il fallimento negli Stati Uniti ed altre che hanno dovuto sborsare cifre enormi per risarcire le vittime degli abusi sessuali a danno di minori commessi da preti cattolici.
Tranne che in Italia, dove i giornali cercano di mettere la sordina a ciò che avviene in ogni parte del mondo, dall’Australia al Brasile, dalla Germania al Canada, dall’Irlanda al Belgio, ecc. – tranne che in Italia, dove i vaticanisti sono ridicole parodie di giornalisti – ovunque è chiaro che la Santa Sede cerca di tamponare come può, sacrificando chi ormai è indifendibile per colpa palese.
Ad essere buoni, si tratta di un assai tardivo senso di colpa di Ratzinger e Bertone; ad essere maliziosi, i due cercano di rifarsi una verginità, esibendo un rigore che è più nella forma che nella sostanza, perché, ad affondare troppo il bisturi nel bubbone, il pus li schizzerebbe.
Per Ernesto Galli della Loggia, invece:
“Qualunque membro del clero, non importa il suo grado, abbia avuto comportamenti sessuali illeciti ha l’obbligo, per così dire, dell’autodenuncia e di affrontare quindi le conseguenze dei propri atti davanti alla giustizia laica. Allo stesso modo, sembra di capire…”
[la presa per il culo sta tutta negli incisi, si tratta di artificio dozzinale]
“… qualunque istanza gerarchica cattolica venga a conoscenza di atti sessuali illeciti commessi da un membro del clero ha l’obbligo d’ora in avanti della denuncia immediata all’autorità civile. In nessun modo, insomma, il peccato fa più da schermo al reato. Non so quanti precedenti ci siano di un indirizzo del genere: certo pochissimi, forse nessuno”.
Perché, di grazia, quando la gangrena mette a rischia la vita, non si provvede all’amputazione? Che c’è di eccezionale nel liberarsi di ciò che può diventare letale?
“Come si sa, infatti, la Chiesa cattolica si è sempre considerata una societas perfecta, un’organizzazione che non riconosceva per principio alcuna istanza umana a lei sovraordinata, a cominciare dallo Stato. Nella sua ottica essa poteva sì rinunciare, quando fosse il caso, alle più svariate prerogative, competenze, diritti o che altro, ma sempre o per via pattizia (cioè concordataria), o perché costrettavi a forza dallo Stato. Con l’esplodere del problema della pedofilia si ha, invece, nei fatti, un cambiamento di rotta quanto mai significativo: che è la prova indubbia dell’estrema risolutezza con cui il Papa ha deciso di affrontare la questione non indietreggiando di fronte alle conseguenze. Tale mutamento di rotta a sua volta ne implica, mi sembra, un altro ancora. E cioè che in questa circostanza la Chiesa ha finito per fare rapidamente proprio, senza riserve o scostamenti di sorta, il punto di vista affermatosi (peraltro recentemente e a fatica, ricordiamocelo) nella società laica occidentale. Non voglio certo dire che la Chiesa ha avuto bisogno del giudizio della società laica per considerare l’abuso sessuale sui minori un peccato gravissimo (forse il più grave stando alla lettera del Vangelo). Ma esso era tale anche dieci, venti o trenta anni fa quando tuttavia veniva quasi sempre coperto”.
Ecco, per dover dire mezza verità – che, cioè, quando la Chiesa fa qualcosa di appena appena decente, lo fa perché costretta dal secolo – Ernesto Galli della Loggia è costretto a darsi la zappa sui piedi: “dieci, venti o trenta anni fa quando veniva quasi sempre coperto”. E chi lo copriva? Chi c’era a capo della Congregazione per la Dottrina della Fede, dieci, venti e trent’anni fa? Lo stesso che oggi paga Lucetta Scaraffia per i suoi deliziosi pezzulli su L’Osservatore Romano.
“Se oggi non è più così, non può più essere così, se oggi da quella gravità la Chiesa ha tratto le nuove e drastiche conseguenze che sono sotto i nostri occhi, con tutta evidenza ciò è accaduto solo perché il giudizio della società sugli abusi pedofili è anch’esso nel frattempo mutato. Cosicché, mentre su ogni altro uso della sessualità o pratiche connesse, essa ha adottato, e tuttora adotta, un suo proprio metro di giudizio, più o meno diverso rispetto a quello comunemente accettato, in questo caso vediamo invece che si conforma al punto di vista della società”.
Bene, incassiamo almeno questa dal marito della Lucetta: se non era per noi laici, i chierici avrebbero continuato ad abusare dei bambini coprendosi a vicenda. Ad essere pignoli, in verità, ancora il sole girerebbe attorno alla terra, se non era per noi laici. Ma qui non è il caso di allargare la questione ai massimi sistemi.



[Non vado oltre, perché la pagina da qui in poi è illeggibile: sputando bile sulla firma, la chiusa dell’editoriale è andata sbiadendosi.]

Gianfranco Fini si è solo limitato ad una citazione dotta (Radio Radicale, 13.4.2009)


A cuccia, non si vota!


I soliti due passi avanti e uno indietro, Bossi non pretende più le elezioni: gli bastava far vedere che non le teme, maturando il diritto di minacciarle ancora, quando dovesse essere utile.
Nemmeno Berlusconi ci pensa più, neanche tenta più il bluff, pensa alle riforme, paternamente costituente. Gli fumano i coglioni, ma le elezioni no.
Figuriamoci se può volerle Fini: l’assai insicuro 6% che gli danno i sondaggi varrebbero assai meno dei deputati e dei senatori sui quali può sicuramente contare adesso che l’autodafé li ha temprati e caricati di scintille.
Neppure Bersani vuole le elezioni. Ammesso avesse voce in capitolo, naturalmente.
Tutti gli altri – Di Pietro, Grillo, Pannella – non contano un cazzo. Poco meno di Napolitano, insomma.
E dunque non andremo a votare: nessuno lo vuole, nessuno ci ha mai creduto davvero, quasi tutti l’hanno piuttosto temuto.

Altra cosa sono i rispettivi popoli, quelli sarebbero pronti a votare domani, stanno sempre a smaniare con la matita in mano, voterebbero tutte le domeniche che piove (con licenza di astensione): il popolo padano e quello della Libertà con la bava alla bocca, intenzionati a non fare prigionieri; gli altri giusto per spezzare la routine del regime, scaramanticamente tacendo la speranza in una botta di culo, chessò, un terremoto che rada al suolo Palazzo Chigi mentre è in corso un Consiglio dei Ministri. Tutta plebe, a cuccia, non si vota!

Insomma, ci aspettano tre annetti di quelli sfiziosissimi. Sfiziosissime riforme federalistiche, innanzitutto, di quelle che vogliono il passaggio referendario, ma anche no, chissà, boh. Riforma della giustizia da sfiziare tutti, nessuno escluso, tranne il relatore, poveraccio. Riforma fiscale, puro sfizio. Mettiamo mano al welfare e alle pensioni? Perché no?
Avremmo mille e mille sub-eccezioni ad ogni eccezione, e un’eccezione a ciascuna. Stress a destra, frustrazione a sinistra, malesseri intestini di qua e di là. Terreno propizio agli affari, quelli incolori, solitamente detti bipartisan.

Né tango argentino, né tragedia greca. Frittura all’italiana.

Istigazione al trolling


“Anche nella rete siete chiamati a collocarvi come animatori di comunità, attenti a preparare cammini che conducano alla Parola di Dio [...] Il mondo della co­municazione sociale entri a pieno titolo nella pro­grammazione pastorale”

Benedetto XVI, 24.4.2010