Su
queste pagine mi sono misurato in diverse occasioni con quelle
congetture più o meno balzane che di tanto in tanto propongono
letture alternative di grandi opere d’arte
del passato, per lo più con la pretesa di rivelarci messaggi che gli
autori avrebbero voluto celare in esse con tale cura da averne fin lì
impedito la lettura a intere generazioni, per ragioni che spesso
restano senza spiegazione anche dopo la rivelazione, mentre talvolta
ne vengono fornite di così bislacche da far miseramente rovinare
l’impianto
dell’ipotesi
avanzata, già di per sé assai instabile, per quanto in certi casi
di qualche indubbio fascino.
Quanta buona fede vi sia nel credere di
aver fatto una sconvolgente scoperta del genere è questione che si
potrebbe pure ritenere irrilevante, ma che assume il suo bel peso nel
constatare che quasi sempre l’opera
d’arte
e il suo autore sono famosissimi: mai una volta che la scoperta sia
relativa all’opera
di un autore minore, la rivelazione pretende sempre di fare il botto
su Leonardo, su Michelangelo, su Caravaggio, d’altronde
a chi mai potrebbe interessare il reale significato di quel «nemo
in patria sua aceptus»
che si legge sullo zoccolo della gabbia in cui è rinchiuso un
pappagallo nella tela di Pier Francesco Cittadini (1616-1681)
riprodotta a pag. 39 del numero di ottobre 2013 della
casa d’asta Dorotheum e messa all’incanto al vil prezzo di base
di soli 25.000 euro? Per il professor Alberto Cottino «the
inscription may refer to the sitter or the collector, possibly a
refugee from another country or italian state, who commissioned the
present painting», ma – beccatevi ’sto scoop – non è così:
posso dimostrarvi in meno di 12.000 battute spazi inclusi che il
riferimento è al Canto XIII dell’Adone
di Giovan Battista Marino, nel quale Adone è trasformato appunto in
pappagallo da Falsirena.
Scherzavo, se non si è capito. Volevo solo
farvi un esempio di come una scoperta del genere otterrebbe solo una tiepida pioggerellina di «e ’sti cazzi!». Altra cosa, converrete, se
avessi detto che ho le prove che furono gli alieni a suggerire a
Leonardo il progetto di quello che tutti fin qui hanno pensato fosse
un prototipo di carrarmato.
Molti mi manderebbero a cagare, qualche
mattocchio potrebbe prendere per buoni i miei argomenti, ma in ogni
caso avrei ottenuto l’attenzione che volevo. In questo genere di scoperte, in fondo, è attiva la stessa vis creativa che interpreta un accadimento come il risultato di un complotto: impossibile negarlo senza con ciò dimostrarsene vittima o, peggio, complice, mentre l’onere della prova inconfutabile pare che passi da chi prospetta l’ipotesi a chi la rigetta, e nessuna obiezione è mai del tutto valida a rigettarla, perché in fondo chi può portare prove inoppugnabili che gli alieni non esistano e non abbiano suggerito a Leonardo il progetto di quella che in realtà è una navicella spaziale? Perché ti ostini a escluderlo?
Così
temo sia accaduto per chi ha creduto di poter dimostrare che, nella
Creazione
di Adamo
affrescata
sulla volta della Cappella Sistina, Michelangelo Buonarroti abbia
voluto «inscrivere
il gruppo di Dio e degli angeli nella sagoma di un cervello umano».
Sulla questione mi sono già intrattenuto con un post (La
bufala di Michelangelo neurologo
– Malvino, 9.2.2014) che a oltre due anni e mezzo dalla sua pubblicazione –
così mi avverte la pagina delle statistiche di accesso al blog –
continua a esser molto letto e linkato qui e lì, ricevendo critiche
che penso possano essere ben riassunte dall’ultimo
dei commenti al post, di appena due giorni fa, che qui riporto
integralmente: «Mi
scusi, ma il fatto che una prima descrizione anatomica del cervello
sia stata pubblicata a stampa nel 1664 non significa che prima di
quella data (anche molto prima) tali studi anatomici non erano stati
fatti. Anzi, proprio perché la prima grande pubblicazione in materia
avvenne nella seconda metà del XVII secolo, mi sembra molto
probabile che gli studi fossero iniziati da almeno un secolo. È vero
non ci sono prove che Michelangelo conoscesse la forma della sezione
sagittale del cervello, ma fossi in lei non liquiderei la questione
solo avendo a disposizione come argomentazione che il Cerebre Anatome
fu pubblicato nel 1664. La
somiglianza con il cervello, una volta fatta notare è sorprendente.
Potrebbe essere pareidolia ma potrebbe anche non esserlo. Questo
fatto non andrebbe bollato come bufala, tutt’al
più come una congettura» (Boulayo). Toni civili. Argomenti che, pur trascurando molto di quanto da me ampiamente spiegato in quel post, meritano comunque di essere presi in considerazione. E dunque.
Inizierei dalla fine, perché è lì che mi pare ci sia il fondamento della questione, che poi è quella relativa al metodo che dà o non dà solidità a una congettura. «Potrebbe essere pareidolia ma potrebbe anche non esserlo», dice Buolayo. Certo, ma a chi tocca l’onere della prova per escludere che lo sia? E cosa impedisce di chiamarla bufala quando l’ipotesi non regge, e tuttavia non viene ritirata? Quando la congettura è fallace già in premessa, non assume forse modo e fine dell’affermazione ingannevole? E non è forse sulla verosimiglianza di quanto si afferma che l’inganno può sperare di andare a segno?
Mai poi è davvero così «sorprendente» la somiglianza tra le linee che compongono il disegno della Creazione di Adamo relativamente al gruppo di Dio con gli angeli e quelle che si osservano sulla sezione sagittale mediana di un cervello umano? Il manto che fa da sfondo al gruppo ha senza dubbio un forma che in parte – ma solo in parte – può essere sovrapponibile al contorno della massa cerebrale, ma, se è per questo, anche a quello della conchiglia di un lamellibranco Pecten jabobeus: cosa impedirebbe, a questo punto, di ipotizzare che Michelangelo abbia voluto dare del mollusco al Padreterno?
Nelle linee che compongono il disegno della Creazione di Adamo relativamente al gruppo di Dio con gli angeli, dove sarebbe il cervelletto? E il Ponte di Varolio? E perché l’asse del corpo calloso è spostato così in alto? Perché il bulbo mesencefalico ha forma tanto diversa?
Ma trascuriamo tutto questo, perché chi a ogni costo vuol vedere la faccia di Padre Pio in una macchia di umidità sul soffitto di una cantina difficilmente può essere convinto che si tratta di un’infiltrazione d’acqua dovuta allo scarico del bidet che perde al piano di sopra. Veniamo alla materiale possibilità che Michelangelo avesse entro il 13 ottobre del 1512, data di completamento dei suoi affreschi della volta della Cappella Sistina, nozioni di anatomia del cervello umano relativamente alla sua sezione sagittale mediana.
Una decente descrizione di questa sezione si ha soltanto nel 1664, con Willis. Prima ci sono Vesalio, Varolio, Cartesio, Malpighi, ma tutti arrivano dai 30 ai 110 anni dopo la descrizione che Michelangelo ne darebbe nella Creazione di Adamo. E tuttavia, sì, gli studi anatomici sul cervello umano sono di molto antecedenti. Ve n’è, fra questi, qualcuno che possa aver fornito al Buonarroti le nozioni necessarie a «inscrivere il gruppo di Dio e degli angeli nella sagoma di un cervello umano»? In fondo non gli erano contemporanei degli studiosi che ci hanno lasciato i risultati dei loro studi di anatomia cerebrale? Quel Berengario da Carpi, per esempio. Non è che dia una descrizione della sezione sagittale mediana, ma non fornisce indicazioni per desumerla almeno con qualche approssimazione?
Sì, peccato però che pubblichi le sue scoperte solo dieci anni dopo che Michelangelo ha affrescato la volta della Cappella Sistina, e non c’è notizia che si siano mai incontrati.
Leonardo, allora. Forse che Leonardo non ha lasciato risultati dei suoi studi anatomici? I due, poi, si conoscevano.
Certo, peccato però che si detestavano. Una vecchia ruggine relativa al David. Michelangelo non perdonò mai a Leonardo di aver trattato con sufficienza, e sufficienza è dir poco, quel bel tocco di marmo. «Ohilà, messer Buonarroti, che piacere vederla qui a Roma. Perché stasera non viene a desinare meco? Ho da farle vedere i miei studi anatomici sul cerebro umano, così poi, nel caso, ci cava qualche idea pe’ le su’ cosucce, che ne dice? Se non ci si dà una mano tra noi sodomiti...». No, pare poco credibile.
Ma poi perché su questa benedetta sezione sagittale mediana del cervello non c’è uno straccio di descrizione fino a XVII secolo inoltrato? L’ho già scritto: fino alla «prima metà del Cinquecento si sapeva poco o nulla dell’anatomia del cervello, e per una semplicissima ragione: non si era ancora giunti ad approntare un valido allestimento del tessuto cerebrale in grado di consentirne lo studio macroscopico. Trattandosi di un organo che va incontro a fenomeni degenerativi in tempi brevissimi dopo il decesso, all’apertura della scatola cranica gli anatomisti dell’epoca trovavano al più solo un’informe poltiglia. Non è un caso, infatti, che fino alla metà del Seicento gli studi anatomici relativi al sistema nervoso centrale rendessero conto solo delle formazioni più resistenti ai processi putrefattivi post mortem, come i nervi cranici e il tronco encefalico, mentre il rilievo delle formazioni incluse nelle masse emisferiche trova solo riscontro occasionale e per giunta controverso». Dice niente il fatto che quanto di meno controverso v’è riguardi esclusivamente l’architettura del sistema liquorale?
Ma questo mi rendo conto che non possa bastare a dissuadere definitivamente chi abbia a cuore sostenere la solidità della congettura di un Michelangelo neurologo. Pazienza.