Mi sono
sempre detto a favore di un’amnistia, e non ho cambiato idea, ma ho sempre
tenuto a precisare che la considero una soluzione squisitamente emergenziale,
resa ormai indispensabile a fronte dell’incapacità dello stato di rispettare i
diritti umani di chi è detenuto nelle sue carceri, ma sostanzialmente
inadeguata a risolvere in via definitiva il problema che la rende necessaria:
senza strumenti di pena alternativi alla detenzione in carcere, senza una
revisione della misura di carcerazione preventiva, senza la depenalizzazione di
alcuni reati, ci troveremmo in breve a dover considerare indispensabile
un’altra amnistia, come d’altronde insegna l’esperienza dei tempi in cui se ne
decideva una ogni tre anni, con la stessa filosofia che consigliava la
concessione dei condoni edilizi.
Anche
per questo ho sempre ritenuto, e non ho mai mancato di rimarcare su queste
pagine, che cercare di far forte la necessità di un’amnistia col darle il
valore di soluzione definitiva o addirittura «strutturale», come qualcuno si
ostina a sostenere con sprezzo di onestà e buonsenso, significa giocare sporco
sulla pelle di chi sta in carcere, poco importa se per basso calcolo o vacuo
umanitarismo.
Questo
insistere sulla necessità di un’amnistia di là dallo stretto necessario che la
richiede come soluzione emergenziale, d’altronde, produce anche altri argomenti
fallaci, tra i quali il più frequente è quello che ce la propone come sanatoria
a fronte di un’«amnistia mascherata», per di più «di classe», dunque tanto più
odiosamente ingiusta, che si sostanzia nell’impunibilità dei reati che arrivano
ad essere prescritti grazie ad avvocati tanto più costosi quanto più bravi che
si può permettere solo chi è ricco. Qui, credo, siamo dinanzi a un singolare
sproposito che coniuga un luogo comune, vedremo quanto malamente fondato, con
la convinzione che l’equità sociale si ottenga segando le gambe a chi è troppo
alto, piuttosto che a dare trampoli a chi è troppo basso.
Lungi
da me negare che un buon avvocato costa e che il costo è spesso proporzionale
all’abilità sul campo e alla conoscenza delle variabili che lo rendono
scorrevole o accidentato, d’altra parte, come ogni luogo comune, anche quello
dell’avvocato Coppi che sicuramente ti farà assolvere in Cassazione ha un fondo
di verità. Di fatto, i numeri dicono che più di un terzo delle prescrizioni
maturano nel corso delle indagini preliminari, fase del procedimento in cui il
ruolo dell’avvocato è irrilevante. Non è tutto, perché anche gran parte delle
prescrizioni che maturano nel corso del processo sono in gran parte dovute a
disfunzioni della macchina giudiziaria (difetti di notifica, assenza dei
giudici, cambio del collegio giudicante, testimoni che non compaiono in udienza,
ecc.), che è non certo il difensore a causare. In pratica, le prescrizioni che
si ottengono grazie alla strategia difensiva sono assai meno di quelle che gli
stessi avvocati tendono a far credere ai propri clienti per ovvi motivi, senza
voler tener conto del fatto che gli espedienti per cercare di far arrivare a
prescrizione un reato li conoscono anche i praticanti dopo due o tre anni di
esperienza in un qualsiasi studio legale.