Ricordati
di vivere (Bompiani, 2013) si presenta come un libro di memorie: «Se mi decido
a scrivere non è per rivendicare meriti o per riscattare torti, non sono spinto
da risentimenti e neppure da nostalgia… Scrivo per sottoporre la mia esistenza
a un esame…» (pag. 7). A leggerlo come autoesame, però, ci si distrae: tutta l’attenzione
va nel cogliere gli istanti di contraddizione tra come ce la ricordavamo noi e
come ce la racconta Claudio Martelli, e ci si perde la dimensione più autentica
del libro, che è quella lirica, anzi, epica. D’altronde non ha indice dei nomi
e, giunti in fondo, si sente che la trama era un pretesto. Abbandonato sull’isola
di Lemno, Filottete ripete: «Io so poche cose, ma le ricordo benissimo» (pag.
594).
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