«Si è
parlato molto, giustamente, del processo a Paolo Gabriele. Giustamente perché l’oggetto
del giudizio, a parte l’inusualità dell’evento in sé – un processo penale in
Vaticano non si vedeva probabilmente da oltre un anno – riguardava una materia,
il “furto in casa del Papa”, inaudita e, francamente, inaudibile. Nel senso di
inconcepibile, inimmaginabile, al di là della fantasia, se non fosse, com’è
effettivamente, accaduto» (Avvenire, 7.10.2012).
Un furto di casa del Papa, in realtà, non è cosa inaudita. Anche se fu sempre smentito dagli organi ufficiali vaticani, è molto probabile che nel 1969 ci sia stato un precedente. Secondo alcuni si trattava di tre quadri (un Perugino, un Van der Weyden e un Mino da Fiesole), prontamente sostituiti con tre copie, ma alcuni avanzarono l’ipotesi che si trattasse di
«documenti straordinariamente importanti»
(di qui in poi quanto virgolettato è tratto dall’inchiesta che Pietro Zullino firmò per Epoca, XX/999, 16.11.1969 - pagg. 38-43). Secche, dicevamo, le smentite: don Pasquale Macchi, segretario particolare di Paolo VI, monsignor Fausto Vallainc, direttore della Sala Stampa Vaticana, e L’Osservatore Romano
(5.11.1969) reagirono prontamente, anche se con dichiarazioni non del tutto collimanti. Benny Lai, per esempio, annota nei suoi diari (Il “mio” Vaticano, Rubettino 2006 - pag. 424):
E tuttavia erano tempi in cui una smentita ufficiale della Santa Sede equivaleva all’intimazione di non insistere, c’è da comprendere la difficile situazione in cui precipita «il redattore dell’agenzia romana che ha fatto il colpo [il quale] non ha più pace:
“Il segreto professionale mi impedisce di rivelare le mie fonti – protesta – ma sono ottime fonti. Per quali ragioni dovrei rischiare un licenziamento propagando stupidaggini?”».
Le fonti gli avevano rivelato che il furto c’era stato tra la metà di luglio e la metà di settembre, mentre Paolo VI era a Castel Gandolfo e nei suoi appartamenti erano in corso dei lavori di manutenzione. Cosa fosse stato rubato, e chi l’avesse rubato, non si seppe mai. D’altra parte erano tempi in cui un furto non poteva essere acconciato, come oggi, nella pantomima della condanna a 18 mesi: a quei tempi – ci rammenta Pietro Zullino – «per il furto grave la pena vigente è ancora quella del vecchio Stato Pontificio, cioè la fucilazione».
Le fonti gli avevano rivelato che il furto c’era stato tra la metà di luglio e la metà di settembre, mentre Paolo VI era a Castel Gandolfo e nei suoi appartamenti erano in corso dei lavori di manutenzione. Cosa fosse stato rubato, e chi l’avesse rubato, non si seppe mai. D’altra parte erano tempi in cui un furto non poteva essere acconciato, come oggi, nella pantomima della condanna a 18 mesi: a quei tempi – ci rammenta Pietro Zullino – «per il furto grave la pena vigente è ancora quella del vecchio Stato Pontificio, cioè la fucilazione».
Paolo IV (due volte)?
RispondiEliminaLa vecchiezza, la vecchiezza... Grazie per la correzione.
EliminaFigurati, è stato un piacere: noi bambini secchioni e un po' str.. siamo i primi a segnalare alla maestra gli errori dei compagni. :-)
RispondiEliminaCerco di essere dei vostri, comprendo.
EliminaMolto interessante.
RispondiEliminaTra l'altro, Popinga pure qua, eh. :)