Il decreto emanato la scorsa settimana dalla Conferenza episcopale tedesca poteva destare sorpresa solo in chi ignorasse che in Germania non è mai venuto meno l’obbligo di decima che per oltre un millennio il laico ha dovuto versare al chierico: i vescovi tedeschi non hanno fatto altro che mettere meno su bianco una regola da tempo scolorita in usanza, tuttavia messa in discussione solo da chi ai tempi della Riforma da cattolico diventava protestante. Qui da noi l’obbligo di decima è venuto meno nel 1887, sarà per questo che in Italia i commenti alla notizia sono stati più scandalizzati che in Germania. La cosa più strana, però, è che nessun vaticanista ha spiegato cosa sia davvero la Kirchensteuer che prima del 20 settembre era usanza ed ora è regola: ho letto due o tre dozzine di articoli sull’argomento, ma non ho trovato un solo cenno alla decima, che ne è la sostanza.
Non vi annoierò col trattatello di storia, vi rimando alla pagina che mi pare sintetizzi meglio i termini della questione così come s’è venuta a delineare nel corso dei secoli. Vorrei però richiamare l’attenzione su ciò che spiega perché una tassa di franca impronta feudale sia riuscita a residuare proprio in Germania. Le due gambe con le quali la Riforma mosse i suoi primi passi furono la Bibbia in volgare e il rifiuto dell’autorità romana nelle sue emanazioni ecclesiastiche coincidenti e spesso sovrapposte a quelle civili: un cristiano che intendesse rimanere cattolico in una terra in cui il protestantesimo diventava confessione maggioritaria non aveva altro modo per ribadire la propria fedeltà a Roma che nel continuare ad accostarsi ai testi sacri adeguatamente interpretati da un chierico al quale versare quella tassa che fin dal XII secolo a. C. (Lv 27, 30-32) era stata fissata per la mediazione tra cielo e terra. Già sei o sette secoli dopo abbiamo prova che tra gli ebrei più di un furbetto la evadesse: promettendo «benedizioni sovrabbondanti» se il tributo fosse regolarmente versato, minacciando di mandare «insetti divoratori» a distruggere i raccolti se non fosse fatto, il Signore ingiungeva: «Portate le decime intere nel tesoro del tempio perché ci sia cibo nella mia casa» (Ml 3, 10). Il problema di sempre: i sacerdoti devono pregare, non hanno tempo per lavorare, qualcuno deve pur pensare a riempir loro la pancia. Siamo al nocciolo del problema: se tra cielo e terra c’è bisogno di un ponte, c’è bisogno anche di un pontifex e del pagamento di un pedaggio.
Nel IV tomo della sua Istoria del Concilio di Trento, il cardinale Pietro Sforza Pallavicini registrava quanto la Conferenza episcopale tedesca avrebbe ribadito alcuni secoli dopo, niente di più: «Le decime si paghino interamente alle chiese alle quali toccano. Chi le sottrarrà o le impedirà, si scomunichi».
In Germania non s’è consumato alcuno scandalo, si è solo riaffermato che il gregge deve al pastore quanto è necessario in lana e in latte. Magari si facesse la stessa chiarezza nei paesi di tradizione cattolica come il nostro: alla Chiesa di Roma andrebbe dal 3 all’8 per cento del reddito netto di ogni cattolico intenzionato a restar tale, per tutti gli altri verrebbe meno l’obbligo che di fatto, invece, pesa su tutti.
Non capisco cosa c'entri la Riforma con la Kirchensteuer considerato che la chiesa luterana (e molte altre e anche associazioni non religiose) possono ricevere i fondi della Kirchensteuer!
RispondiEliminaLa Kirchensteur è la forma del modello impositivo subentrato alla decima. Fu creato per consentire ai cattolici di poter continuare a dichiararsi sudditi di un'entità che in Germania aveva perso dimensione civile per mantenere quella ecclesiastica. Nel tempo, le altre confessioni adottarono analogo regime. Trovi tutto in Hermann Lubbe, La secolarizzazione, Il Mulino.
RispondiEliminaIn italia, se una tale tassa fosse pure soltanto il 0,3 per cento, i cattolici si conterebbero a poche centinaia.
RispondiEliminacomunque la Kirchensteuer non e' il "3 all’8 per cento del reddito netto" ma il 3/8% della tassa sul reddito.
RispondiEliminaOk, registro.
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