Un anno fa ho scritto: «Se Dio c’è, se si è incarnato in Cristo, se la Chiesa è il Cristo vivente, se i preti ne sono i ministri e il laicato cattolico è il popolo di Dio, tutti i traffici della Compagnia delle Opere sono in regime di apostolato e la sua rete, già da tempo multinazionale, qualcosa in più di una lobby e poco meno di una mafia, non è altro che una falange della mano di Dio nel campo della politica e degli affari. Voglio dire che non c’è alcuna rottura tra la predicazione di don Luigi Giussani e l’impero economico dai mille tentacoli al quale i suoi ragazzi hanno dato vita: la piovra potrà avere un brutto aspetto, ma è proprio quella pensata dal pretino di Desio ne All’origine della pretesa cristiana (Jaka Book, 1992). Lì non si entrava nel dettaglio, ma c’era già tutto, anche l’incoraggiamento a non temere più di tanto la magistratura inquirente. A Dio, con un giro di affari di oltre 80 miliardi di euro, gli fai un baffo».
Sull’ultimo numero di Micromega (7/2012) lo trovo scritto meglio: «La presenza di Cristo risorto è nella concretezza di un corpo ecclesiale, quindi è solo “il metodo della compagnia” che permette di far toccare Cristo e di appartenere a Lui. […] Appartenere [a Comunione e liberazione] assume un profilo esistenziale molto marcato, coinvolge affetti, casa, lavoro, politica. I ciellini si sposano tra ciellini, lavorano coi ciellini, e in politica votano i ciellini […] Creano un mondo autosufficiente, in cui è facile entrare e difficile uscire, che garantisce ai suoi abitanti di essere nel vero, offrendo un apparato concettuale ben definito da cui attingere risposte ai quesiti della vita e un’organizzazione che accompagna dalla culla alla bara. È per questo impianto, voluto dal fondatore, e non tanto per lo stile bruto di molti dei suoi capi, che il movimento si è meritato il giudizio di “integralismo”. […] Esaltazione del carisma, del linguaggio, delle idee del leader, con […] insistenza sul “noi”».
L’occasione per parlare della Compagnia delle Opere mi era offerta l’anno scorso da Marco Pannella, per il quale «don Giussani si rivolterebbe nella tomba a sapere cosa è diventata Comunione e liberazione»: il brano che ho tratto da Micromega (Giovanni Colombo, Dal vento del Concilio alla tabula rasa – pagg. 25-36) mi pare dia ottima spiegazione del fatto che solo considerando benevolmente il modello settario di Cl si può ritenere che Roberto Formigoni ne sia un momento di degenerazione. Perché, allora, i ciellini muovono miliardi e i radicali hanno le pezze al culo? Perché i primi hanno dalla loro uno Spirito Santo più efficace, una Pentecoste meglio militarizzata. Sembra niente, ma fa la differenza.
don Giussani, se fosse ancora vivo, si rivolterebbe nella tomba!
RispondiEliminaIo penso che si smarcherebbe da Formigoni come ha fatto il cardinale Scola, niente di più.
EliminaOps, scusa, non avevo capito la battuta, peraltro assai carina.
Eliminaarticolo ridicolo a dir poco...coinvolgere don giussani nelle vicende di formigoni...ma d'altra parte è normale...colpirne uno per colpirne cento...lo stile della magistratura di sinistra!a chi vede il male più nelle cose di Dio e della Chiesa che nel resto del mondo, è difficile dare credibilità...
RispondiEliminaMa finiscila, Casini. Invece di fare cristiana autocritica, te la prendi coi giudici (naturalmente, rossi). Semttila, è anche fuori moda ormai.
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