Una legge che preveda il carcere per chi diffama è incivile, ma ogni legge dev’essere rispettata fino a quando non viene cambiata: giusto che Alessandro Sallusti vada in galera, giusto che si discuta di cambiare la legge.
Tuttavia c’è il rischio che, abolendo il carcere come pena per chi diffama, il legislatore possa ritenere necessario un severo inasprimento delle già pesanti sanzioni pecuniarie, consentendo a chi dispone dei mezzi per sostenere una battaglia giudiziaria di vedere enormemente incrementata la sua capacità di intimidire chi non ne dispone.
È evidente che siano necessarie garanzie in favore della libertà di espressione. Penso che a scoraggiare il ricorso alla querela temeraria a scopo intimidatorio possa bastare una semplice regoletta: tu mi quereli perché ritieni che io ti abbia diffamato e stabilisci quale somma ti risarcirebbe del danno, poi, se in giudizio non risulta che io ti abbia diffamato, quella somma la devi tu a me.
non è nuova e non è una cattiva idea, però, visti i tratti aleatori della giustizia in italia, il povero cristo che si sente diffamato ci penserebbe in ogni caso cento volte prima di querelare una ricca divinità.
RispondiEliminanell'ipotesi, chiedere solo 10mila euro con il rischio di perderli e pagare anche le spese legali (non modiche) e di procedimento, credo sia un deterrente per il povero cristo
a limitare la diffamazione, per esempio nel caso sallusti, sarebbero necessari risarcimenti molto più onerosi e non risibili, quindi l'obbligo di rettifica che non può in ogni caso avere il mero risalto dello spazio con cui è stata prodotta l'offesa, quindi l'interdizione temporanea dalla professione e permanente in caso di recidiva
ma infine la domanda è questa: può un parlamento come questo, composto da chi sappiamo, legiferare contro i propri interessi?
Ma quali sono i poveri cristi diffamati da ricche divinità? i poveri cristi non se li caga nessuno - speso che il padrone di casa mi passi il termine -, al massimo si diffamano tra loro, perché in Italia tra classi sociali viviamo in compartimenti stagni.
Eliminadetto anche "Comma Luttazzi"
RispondiEliminahttp://www.youtube.com/watch?v=1mZP6QCPcmY
Stefano C.
:-D
EliminaIl comma Luttazzi!
RispondiEliminaRaf
Penso che il punto non sia tanto la contingenza di Sallusti in carcere o non in carcere (pur condividendo la tua premessa sul non mettere il carro davanti ai buoi nell'attuazione delle disposizioni di legge). Il punto secondo me significativo è che ridurre tutto a un rimborso pecuniario, consente alle prime firme di un giornale nazionale di diffamare sapendo di diffamare senza correre alcun rischio, se non quello di chiedere all'Editore di parargli il culo sganciando eventuali somme di risarcimento.
RispondiEliminaUn conto è opporsi al carcere come diretta punizione per il reato di diffamazione (come del resto non è nemmeno ora, visto che Sallusti è arrivato alle porte del carcere dopo avere con strafottenza rifiutato ogni soluzione di indennizzo), altro conto è arrivare a una legge secondo la quale, sempre e comunque, un professionista che usa le parole come strumento di lavoro, qualunque cosa scriva, qualunque danno procuri, il carcere in ogni caso non lo rischierà mai.
Sarebbe una soluzione da paraculi (e lo dico da pubblicista) davvero avvilente per la professionalità della categoria, che a quel punto si confermerebbe lobby altezzosa e intoccabile.
Non mi dilungo, se può interessare le mie considerazioni le ho fatte.
Ciao e complimenti come sempre.
"Una legge che preveda il carcere per chi diffama è incivile" ma dove sarebbe incivile?
RispondiEliminaSe poi la sostituiamo con un indennizzo diamo la liberta' di diffamazione a chi puo´permetterselo ecco quello e´incivile!
Per inciso Sallusti se finira' in carcere e' solo perche' e' un recidivo e non ha accettato le alternative al carcere.
Ho sempre pensato che questa fosse una soluzione giusta ed efficace (magari non la cifra intera, ma la metà andrebbe bene), però temo che possa essere un tantinello incostituzionale. Se quereli e poi perdi la causa, ti viene applicata una sanzione. Ma per quale colpa vieni sanzionato, per esserti rivolto alla giustizia?
RispondiEliminaOttimo, così se mi diffamano potrò chiedere un risarcimento di venticinque euro, trenta al massimo, di più non potrei osare, con la sua regoletta.
RispondiEliminaottimo, però evitiamo di confondere la libertà di espressione con la diffamazione programmata e prezzolata (soprattutto se a danno di privati innocenti che non dispongono "dei mezzi per sostenere una battaglia giudiziaria" e quindi incapaci di "intimidire chi non ne dispone".)
RispondiEliminaEhi, citiamo le fonti però
RispondiEliminahttp://www.youtube.com/watch?v=1mZP6QCPcmY
Sennò poi ci accuseranno di plagio.
Mi pare che di una cosa simile parlasse Daniele Luttazzi qualche anno fa. Proponeva di chiamarlo comma Luttazzi.
RispondiEliminaCon questa semplice regola, che mi sembra già esista inaltri paesi, elimineremmo il 50% delle cause civili, non solo la diffamazione.
RispondiEliminaForse basterebbe lo spauracchio delle spese legali per il soccombente (che oggi non vengono quasi mai previste)
RispondiEliminaLa provocazione di Malvino non manca d'interesse né di punti critici, come da altri sottolineato. Quella di scoraggiare gli abusi del diritto di rivolgersi al giudice è esigenza peraltro non ignota al legislatore: un recente dispositivo del Codice di Procedura Civile - “Responsabilità aggravata” - già prevede (anche d’ufficio) il pagamento a favore della controparte di una somma “equitativamente determinata” per chi abbia dato luogo ad una lite temeraria.
RispondiEliminaAnche il Codice di Procedura Penale (cui si riferisce Malvino, che parla di querele ed annesse pene detentive, piuttosto che di citazioni per danno in sede civile) prevede un simile dispositivo, “Condanna del querelante alle spese e ai danni”, invero lacunoso o - meglio - di non sempre possibile applicazione per quanto riguarda la diffamazione a mezzo stampa. Cito:
1. Quando si tratta di reato per il quale si procede a querela [336-340] della persona offesa [90], con la sentenza di non luogo a procedere perché il fatto non sussiste o l'imputato non lo ha commesso il giudice condanna il querelante al pagamento delle spese del procedimento anticipate dallo Stato (1) (2) [542, 691].
2. Nei casi previsti dal comma 1, il giudice, quando ne è fatta domanda, condanna inoltre il querelante alla rifusione delle spese sostenute dall'imputato e, se il querelante si è costituito parte civile, anche di quelle sostenute dal responsabile civile citato o intervenuto (3). Quando ricorrono giusti motivi, le spese possono essere compensate in tutto o in parte [541 2].
3. Se vi è colpa grave, il giudice può condannare il querelante a risarcire i danni all'imputato e al responsabile civile che ne abbiano fatto domanda [541 2] (4).
Il problema sta nel fatto che - nel caso di una non ravvisata diffamazione a mezzo stampa - il giornalista verrà molto probabilmente assolto per aver esercitato il suo diritto di critica/cronaca, con la formula “il fatto non costituisce reato”, piuttosto che con le formule espressamente citate al comma 1 (per non aver commesso il fatto o perché il fatto non sussiste). In soldoni: il nostro cronista non potrà rivalersi sul querelante, nemmeno in caso di conclamata temerarietà. La mia modestissima opinione è che il diritto di rivalsa nei confronti del querelante temerario andrebbe espressamente garantito anche a chi ha semplicemente esercitato un proprio diritto.
Just my two cents. Mi auguro di non essere stato pedante, ma l'argomento non è del tutto privo d’interesse.
http://www.brocardi.it/codice-di-procedura-civile/libro-primo/titolo-iii/capo-iv/art96.html
http://www.brocardi.it/codice-di-procedura-penale/libro-quinto/titolo-ix/art427.html
Quanti reati del nostro codice penale sono puniti con la detenzione o l’arresto? Forse troppi…. E per quanti di questi la misura detentiva appare sproporzionata all’odierna percezione sociale del disvalore sotteso al reato, al punto da farla apparire “incivile”? Molti. Allora il problema è di carattere generale e attiene all’inadeguatezza del nostro codice penale (ossia il rimaneggiato codice Rocco vigente dal 1930) che mostra ancora chiari i segni del regime che lo ha partorito, o magari alle linee di politica penale che il legislatore repubblicano si è dato, o ha omesso di darsi in seguito. Se quello dei reati a mezzo stampa (ma sarebbe meglio dire dei reati per i quali l’uso del mezzo costituisce aggravante, come nel caso di specie) non è che un esempio di un più generale eccessivo ricorso alla pena detentiva nel nostro ordinamento, allora la specifica mobilitazione per Sallusti, il consenso di casta circa l’opportunità di salvarlo dalla galera, lo sdegno per l’iniqua misura debbono necessariamente trovare origine nel suo caso particolare. A chi nutra ancora dubbi sulla "civiltà" della sanzione penale applicata al caso concreto del direttore Sallusti, a chi ritenga si sia trattato solo di un incidente, un errore commesso in buona fede, un caso di ingiusta punizione, consiglio di ascoltarsi la registrazione del suo intervento a Radio 24 di Giovedì scorso in contraddittorio con l’ex magistrato Bruno Tinti.
RispondiEliminahttp://www.youtube.com/watch?v=usBy6uCkefU
Quella povera vittima del sistema, quel campione della libera stampa preso negli ingranaggi iniqui della giustizia di regime é arrivato a paragonare il proprio caso alla vicenda Tortora: assenza di pudore, approssimazione, mistificazione. A me sembra solo il caso di un recidivo professionista della diffamazione la cui pericolosità sociale (se la reputazione altrui è un bene degno di tutela e la calunnia un modo di lederlo) sia dimostrata dalla condotta tenuta prima e dopo il fatto delittuoso…si accomodi pure in cella e mediti....ne uscirà "rieducato". Se esisteva un modo per dimostrare che il ricorso alla pena detentiva in quella fattispecie di reato aggravato non è poi un rimedio così odioso, la coppia Sallusti/Farina è riuscita nell’impresa.