domenica 14 ottobre 2012

Appunto

Un anno fa ho scritto: «Se Dio c’è, se si è incarnato in Cristo, se la Chiesa è il Cristo vivente, se i preti ne sono i ministri e il laicato cattolico è il popolo di Dio, tutti i traffici della Compagnia delle Opere sono in regime di apostolato e la sua rete, già da tempo multinazionale, qualcosa in più di una lobby e poco meno di una mafia, non è altro che una falange della mano di Dio nel campo della politica e degli affari. Voglio dire che non c’è alcuna rottura tra la predicazione di don Luigi Giussani e l’impero economico dai mille tentacoli al quale i suoi ragazzi hanno dato vita: la piovra potrà avere un brutto aspetto, ma è proprio quella pensata dal pretino di Desio ne All’origine della pretesa cristiana (Jaka Book, 1992). Lì non si entrava nel dettaglio, ma c’era già tutto, anche l’incoraggiamento a non temere più di tanto la magistratura inquirente. A Dio, con un giro di affari di oltre 80 miliardi di euro, gli fai un baffo».
Sull’ultimo numero di Micromega (7/2012) lo trovo scritto meglio: «La presenza di Cristo risorto è nella concretezza di un corpo ecclesiale, quindi è solo “il metodo della compagnia” che permette di far toccare Cristo e di appartenere a Lui. […] Appartenere [a Comunione e liberazione] assume un profilo esistenziale molto marcato, coinvolge affetti, casa, lavoro, politica. I ciellini si sposano tra ciellini, lavorano coi ciellini, e in politica votano i ciellini […] Creano un mondo autosufficiente, in cui è facile entrare e difficile uscire, che garantisce ai suoi abitanti di essere nel vero, offrendo un apparato concettuale ben definito da cui attingere risposte ai quesiti della vita e un’organizzazione che accompagna dalla culla alla bara. È per questo impianto, voluto dal fondatore, e non tanto per lo stile bruto di molti dei suoi capi, che il movimento si è meritato il giudizio di “integralismo”. […] Esaltazione del carisma, del linguaggio, delle idee del leader, con […] insistenza sul “noi”».
L’occasione per parlare della Compagnia delle Opere mi era offerta l’anno scorso da Marco Pannella, per il quale «don Giussani si rivolterebbe nella tomba a sapere cosa è diventata Comunione e liberazione»: il brano che ho tratto da Micromega (Giovanni Colombo, Dal vento del Concilio alla tabula rasa – pagg. 25-36) mi pare dia ottima spiegazione del fatto che solo considerando benevolmente il modello settario di Cl si può ritenere che Roberto Formigoni ne sia un momento di degenerazione. Perché, allora, i ciellini muovono miliardi e i radicali hanno le pezze al culo? Perché i primi hanno dalla loro uno Spirito Santo più efficace, una Pentecoste meglio militarizzata. Sembra niente, ma fa la differenza.

5 commenti:

  1. don Giussani, se fosse ancora vivo, si rivolterebbe nella tomba!

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    1. Io penso che si smarcherebbe da Formigoni come ha fatto il cardinale Scola, niente di più.

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    2. Ops, scusa, non avevo capito la battuta, peraltro assai carina.

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  2. articolo ridicolo a dir poco...coinvolgere don giussani nelle vicende di formigoni...ma d'altra parte è normale...colpirne uno per colpirne cento...lo stile della magistratura di sinistra!a chi vede il male più nelle cose di Dio e della Chiesa che nel resto del mondo, è difficile dare credibilità...

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  3. Ma finiscila, Casini. Invece di fare cristiana autocritica, te la prendi coi giudici (naturalmente, rossi). Semttila, è anche fuori moda ormai.

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