Il dibattito sugli abusi sessuali, e non solo del clero, procede tra notizie e commenti di vario tenore. Come navigare in queste acque agitate conservando una rotta sicura, rispondendo all’evangelico “duc in altum”, prendi il largo?
Nel “duc in altum” che Gesù comanda a Pietro (Lc 5, 4) c’è una graziosa ambiguità che padre Federico Lombardi sfrutta al meglio. Letteralmente, infatti, “duc (te ipsum) in altum” spingerebbe ad elevarsi; nella figura fatta gergo, invece, significa “prendi il largo”.
Nessun dubbio che il portavoce della Santa Sede cerchi di prendere il largo dalla questione, che poi sarebbe l’insabbiamento degli abusi sessuali che molti preti cattolici hanno consumato ai danni di minori: quel “non solo del clero” non rivela sentimenti elevati, anzi, è una vera bassezza.
Anzitutto continuando a cercare la verità e la pace per gli offesi.
Dove cercare la verità se non nell’aula di un tribunale? L’offeso può trovar pace senza che sia punito chi l’abbia offeso e senza che sia risarcito dell’offesa? Domande difficili, ma la fede potrebbe venirci in aiuto: la vera verità è in Cristo, e il papa è il vicario di Cristo; il perdono ripara ogni offesa. Ma sono risposte alle quali padre Lombardi vuol condurci piano piano, con delicatezza, con mestiere. E infatti, fin da subito, sfodera il mestiere:
Una delle cose che colpisce di più è che vengono oggi alla luce tante ferite interiori che risalgono anche a molti anni addietro, a volte di diversi decenni, ma evidentemente ancora aperte.
L’evidenza, tuttavia, non è altrimenti dimostrata. Anzi, colpisce – che colpo! – che queste offese siano lamentate solo adesso. Se non è mestiere questo…
Molte vittime non cercano compensi economici, ma aiuto interiore, un giudizio nella loro dolorosa vicenda personale. C’è qualcosa che va ancora capito veramente.
Ciò che andrebbe capito è come faccia, padre Lombardi, ad essere così sicuro che “molte vittime non cercano compensi economici”. E poi non s’era insinuato – anzi, esplicitamente detto – che queste accuse così tardive in realtà non avessero altra spiegazione che la richiesta di risarcimenti?
In ogni caso: chi dovrebbe darlo, questo “aiuto interiore”? Un prete?
Probabilmente dobbiamo fare un’esperienza più profonda di eventi che così negativamente hanno inciso nella vita delle persone, della Chiesa e della società. Ne sono un esempio, a livello collettivo, l’odio e le violenze dei conflitti fra i popoli, che vediamo così difficili da superare in una vera riconciliazione. Gli abusi feriscono a livello personale profondo. Per questo hanno fatto bene quegli episcopati che hanno ripreso con coraggio lo sviluppo delle vie e dei luoghi di libera espressione delle vittime e del loro ascolto, senza dare per scontato che il problema fosse già stato affrontato e superato con i centri d’ascolto già istituiti tempo fa, come pure quegli episcopati o singoli vescovi che con paterno tratto danno attenzione spirituale, liturgica e umana alle vittime.
Lenta e progressiva perdita del fuoco della questione: padre Lombardi cerca di depersonalizzare la responsabilità penale del prete, trasformandola in un effetto (manco tanto collaterale) della secolarizzazione. Che la Chiesa combatte. Ergo, la Chiesa non è coimputata, semmai parte civile.
Sillogismo a cazzo di cane, ma cane di razza.
Pare accertato che il numero delle nuove denunce riguardanti gli abusi, come sta avvenendo negli Stati Uniti, diminuisce, ma il cammino del risanamento in profondità per molti comincia solo ora e per altri deve ancora cominciare. Nel contesto dell’attenzione alle vittime, il papa ha scritto di essere disponibile a nuovi incontri con esse, coinvolgendosi nel cammino di tutta la comunità ecclesiale. Ma è un cammino che per raggiungere effetti profondi deve ancor di più svolgersi nel rispetto delle persone e alla ricerca della pace.
Sì, è proprio a un prete che s’è pensato. D’altra parte, l’attenzione che s’era detta necessaria verso le vittime era “spirituale, liturgica e umana”. Chi meglio del papa? Gaudeamus, ché s’è detto disponibile.
Accanto all’attenzione per le vittime bisogna, poi, continuare ad attuare con decisione e veracità le procedure corrette del giudizio canonico dei colpevoli e della collaborazione con le autorità civili per quanto riguarda le loro competenze giudiziarie e penali, tenendo conto delle specificità delle normative e delle situazioni nei diversi paesi. Solo così si può pensare di ricostituire effettivamente un clima di giustizia e la piena fiducia nell’istituzione ecclesiale.
Come se in qualche paese ai pedofili dessero un premio invece che il carcere.
Come se l’unica collaborazione possibile con le autorità civili non fosse la denuncia dei casi noti e la segnalazione di quelli sospetti.
Come se il giudizio canonico prevedesse il carcere o il risarcimento, facendo così le veci di quello civile.
Come se il fine ultimo non fosse la giustizia, ma un “clima di giustizia”, necessario ad ottenere “la piena fiducia nell’istituzione ecclesiale”.
Non so voi, ma a questo punto io ho perso di vista i bambini abusati.
Si è dato il caso...
Il caso...
... che diversi responsabili di comunità o di istituzioni, per inesperienza o impreparazione, non hanno pronti e presenti quei criteri che possono aiutarli ad intervenire con determinazione anche quando ciò può essere per loro molto difficile o doloroso. Ma, mentre la legge civile interviene con norme generali, quella canonica deve tener conto della particolare gravità morale della prevaricazione della fiducia riposta nelle persone con responsabilità nella comunità ecclesiale e della flagrante contraddizione con la condotta che dovrebbero testimoniare. In questo senso, la trasparenza e il rigore si impongono come esigenze urgenti di una testimonianza di governo saggio e giusto nella Chiesa.
Solo adesso? Ma in passato non s’era detto che l’urgenza stesse tutta nell’evitare lo scandalo, e che trasparenza e rigore fossero sconsigliati dalla prudenza?
In prospettiva, la formazione e la selezione dei candidati al sacerdozio, e più generalmente del personale delle istituzioni educative e pastorali, sono la premessa per un’efficace prevenzione di abusi possibili.
Neanche abbiamo parlato di terapia e già la Santa Sede parla di profilassi, come se le promesse per il futuro lavassero le colpe del passato.
È un’ulteriore perdita del fuoco della questione, ma ormai abbiamo “preso il largo”. E allora:
Quella di giungere a una sana maturità della personalità, anche dal punto di vista della sessualità, è sempre stata una sfida difficile; ma oggi lo è ancor di più, anche se le migliori conoscenze psicologiche e mediche vengono in grande aiuto alla formazione spirituale e morale. Qualcuno ha osservato che la maggiore frequenza degli abusi si è verificata nel periodo più caldo della “rivoluzione sessuale” degli scorsi decenni…
Qui taglio il passaggio che è riproposizione del sillogismo di cui sopra: per un pelino padre Lombardi non arriva a incolpare la pillola anticoncezionale, il divorzio, eccetera, ma solo per un pelino. Poi, un’altra diversione:
Nel solo 2008 negli USA sono stati identificati oltre 62.000 attori di abusi su minori, mentre il gruppo dei sacerdoti cattolici è così piccolo da non essere neppure preso in considerazione come tale.
E qui siamo alle solite. Con mano lesta da treccartaro, padre Lombardi ci invita a considerare che i preti sono pochissimi fra quei 62.000 pedofili, mentre dovrebbe darci ragione del perché nel clero si riscontri una percentuale di pedofili più alta che altrove. Qui, quasi alla fine del comunicato ufficiale, siamo ormai molto “al largo”, e neanche vediamo più da dove eravamo partiti: una media di 4-5 preti pedofili ogni 100, e in certe diocesi (Brasile) fino a 19.
Il papa Benedetto XVI, guida coerente sulla via del rigore e della veracità, merita tutto il rispetto e il sostegno di cui gli giungono ampie testimonianze da ogni parte della Chiesa. Egli è un pastore all’altezza per affrontare con alta rettitudine e sicurezza questo tempo difficile, in cui non mancano critiche e insinuazioni infondate. Senza pregiudizio va affermato che egli è un papa che ha parlato molto della verità di Dio e del rispetto della verità, divenendone un testimone credibile. Lo accompagniamo e impariamo da lui la costanza necessaria per crescere nella verità, nella trasparenza, continuando a tenere ampio l’orizzonte sui gravi problemi del mondo, rispondendo con pazienza allo stillicidio di “rivelazioni” parziali o presunte che cercano di logorare la credibilità sua o di altre istituzioni e persone della Chiesa.
Siamo in alto mare, è evidente.
Di questo paziente e fermo amore della verità abbiamo bisogno nella Chiesa, nella società in cui viviamo, nel comunicare e nello scrivere, se vogliamo servire e non confondere i nostri contemporanei.
Serviti? Vi è tutto un po’ più chiaro adesso? Bravi, lasciate i bimbi a padre Murphy o a padre Kiesle, e venite a messa. Una bella messa di riparazione, così dopo saremo tutti più puliti.