[Qui
riporto quanto un lettore scrive nella pagina dei commenti al post
qui sotto e, a seguire, la mia risposta.]
Egregio
dottore, io fatico ancora a capire cosa c'era di sbagliato nel
ridurre il numero dei parlamentari, i costi della politica, gli
stipendi dei consiglieri regionali (che oggi guadagnano più del
Presidente degli Stati Uniti), abolire il CNEL, sopprimere le
provincie come greppia dei partiti modificandone l'assetto,
introdurre il referendum consultivo, garantire la governabilità di
un paese per 5 anni e un percorso legislativo più efficiente, con
data certa per la formazione delle leggi. Appartengo ai sognatori del
SI, e forse ho sbagliato - è un mio limite - ma tutti quelli con cui
ho parlato e che hanno votato no, mi hanno detto che l'hanno fatto
per delusione circa la politica economica di Renzi, perché sono
esasperati per la difficoltà a trovare lavoro, o per il problema dei
migranti, o per la buona scuola, o per tutta una serie di motivi che
nulla hanno a che fare con il merito del referendum. Alla domanda
"Cosa non ti convinceva della riforma proposta?" la
risposta era un imbarazzato cambio di argomento. A mio modesto parere
Renzi ha pagato l'errore strategico di trasformare il referendum in
un plebiscito sulla sua persona, l'eccessiva sicurezza sulla bontà
delle proprie ragioni, che è stata scambiata per arroganza, la
mancata percezione del grado di disperazione raggiunto da strati
sempre più ampi della popolazione e la scarsa sensibilità verso gli
umori della gente (vedi problema migranti), che con il voto hanno
inteso mandargli un potente segnale di malessere. Non sono cose di
poco conto, certamente, ma per contro va sottolineato come
l'agglomerato del no (non chiamiamola accozzaglia se no si offendono)
che spaziava dai neofascisti all'estrema sinistra, era unito solo dal
desiderio di defenestrare l'odiatissimo toscano, ma nessuno di loro
mi pare in grado di esprimere una proposta politica credibile ed
alternativa all'attuale maggioranza (tranne voler credere ai proclami
dei grillini, che ancora ci devono spiegare con chi vorrebbero
allearsi per formare un governo, o alle velleità di Salvini).
Smaniano per andare subito al voto con una legge sub judice e si
rifiutano di elaborarne un'altra. Grande prova di maturità politica.
Renzi non sarà il meglio che poteva esprimere l'Italia, ma nel
prossimo futuro io vedo solo il ritorno al proporzionale per fottere
Grillo e al consociativismo della prima Repubblica, e non vedo alcun
segno di progresso democratico in questo. Mi sbaglio?
Cordialmente
Giuseppe
G.
Sì,
si sbaglia. Sbaglia, innanzitutto, nel dare della riforma
costituzionale bocciata il 4 dicembre una descrizione infedele, in
tutto simile a quella spacciata dai propagandisti del Sì. Se fra gli
scopi della riforma c’era
veramente quello di ridurre il numero dei parlamentari, perché non
ridurre anche il numero dei deputati? In quale altro paese c’è
un rapporto 1:80.000 tra eletto ed elettore? Se fra i suoi scopi
c’era
quello di ridurre i costi della politica, perché non limitarsi a
dimezzare gli stipendi dei parlamentari? Di più: perché bocciare
ogni iniziativa legislativa fin qui promossa in tal senso? Le
risulta, poi, che la riforma contemplasse una riduzione degli
stipendi dei consiglieri regionali? E le risulta che, cambiando nome
alle province, chiamandole città metropolitane, venga ad essere
ridotto il controllo delle segreterie dei partiti sulle
amministrazioni locali? Pensa che a garantire la governabilità di un
paese per 5 anni (ma perché poi non per 10, per 15 o per 20?) debba
pensare la Costituzione? E allora perché non fare della legge
elettorale un suo articolo? In quanto al «percorso legislativo più
efficiente», scherza, vero? La riforma ne prevedeva una dozzina e
l’art.
70, quello relativo alle pertinenze del nuovo Senato, implicava la
necessità di un ricorso permanente alla Consulta per sanare i
conflitti di attribuzione in materia. Ma, poi, perché su tutto
questo avremmo dovuto decidere a pacchetto? E ancora, e prima, si
arriva alla revisione di un terzo della Costituzione nel modo in cui
ci si è arrivati? Senza alcun esplicito mandato popolare? Per
impulso di un Presidente della Repubblica che accetta la rielezione
solo se il Parlamento gli dà garanzia che la revisione sarà fatta?
E a promuoverne l’iter,
conducendolo poi come lo si è condotto, lei crede igienico sia
l’esecutivo? Lei si definisce un «sognatore del Sì», ma
la riforma non era un sogno: era un incubo. Dice che tutti
quelli con cui ha parlato e che le hanno espresso l’intenzione
di votare No le hanno detto che l’avrebbero
fatto per tutta una serie di motivi che nulla avevano a che fare con
il merito della riforma. E a chi vuole imputare questa impropria
strumentalizzazione del referendum? Chi l’ha
fatto diventare un voto sul governo? Chi lo ha insistentemente
personalizzato cercando di trasformarlo in un plebiscito?
Lei riconosce che questo sia stato un errore, ma pensa che Renzi l’abbia
pagato. E come? Sul piatto aveva messo il ritiro della politica e
invece si è limitato a dimettersi dalla Presidenza del Consiglio
pilotando la crisi verso un governo fotocopia del suo e presieduto da
un prestanome. Questo sarebbe il prezzo pagato per aver spaccato il
paese al solo fine di tentare un rafforzamento delle sue posizioni?
Mi fa venire il sospetto che abbia voglia di scherzare. Quando poi
dice che in Renzi abbiamo scambiato per arroganza l’eccessiva
sicurezza sulla bontà delle proprie ragioni, il sospetto è che voglia prendermi in giro. Avrà avuto modo di sentirlo nel faccia a faccia con
Giovanni Minoli: egli stesso fa ammissione di essere arrogante (e impulsivo e cattivo), e in
un modo molto compiaciuto che direi arroganza dell’arroganza.
Lei prosegue la sua difesa della riforma oltre termine massimo
concedendo che il tempo e le energie che il governo vi ha sprecato
sopra e attorno sarebbero state meglio impiegate nel cogliere il grado di
disperazione raggiunto da strati sempre più ampi della popolazione.
E le sembra poco? No, non le sembra poco, ma cosa le sembra che
bilanci tanta bestialità? Il fatto che chi ha votato No non sia in
grado di esprimere una proposta politica credibile ed alternativa
all’attuale
maggioranza. E che c’entra?
Sono diventate agglomerato, come benevolmente concede rinunciando a
dire accozzaglia, perché contrarie alla riforma, non perché
intenzionate a offrire un’alternativa
di governo. Forse che all’indomani
del referendum sul divorzio c’era da attendersi un governo guidato
dai radicali? Credo che lei debba chiarirsi un po’ le idee sul
significato che vuol dare al voto del 4 dicembre, perché mi pare
patente la contraddizione tra affermare che fosse in questione una
riforma costituzionale che chiunque poteva trovare buona,
indipendentemente dalla sua appartenenza a questo o quel partito e
dal sostegno a questo o quel governo, e poi pretendere che quanti
l’hanno trovata cattiva adesso abbiano il dovere di presentarsi
uniti alle prossime elezioni politiche. Lei trova che l’accozzaglia
– pardon, l’agglomerato – mostri l’insana smania di andare
subito al voto, probabilmente per incassare i dividendi della
vittoria del No. A me pare che questa smania sia più di Renzi e dei
suoi, convinti che il 40% di Sì andrebbe tutto al Pd, ma in entrambi
i casi si tratta di impressioni, penso si possa trascurare la
questione. Di certo c’è che la legge sub judice era quella che
tutta l’Europa ci avrebbe copiato, tant’era giusta e buona e
bella, e adesso fa paura innanzitutto a chi l’ha scritta perché
favorirebbe il M5S. Direi che con la riforma costituzionale bocciata
dal popolo e con quella della pubblica amministrazione bocciata dalla
Consulta faccia un trittico che illustra a dovere l’asineria di chi
le ha scritte. Renzi non
sarà il meglio che poteva esprimere l’Italia,
dice. Anche su questo non mi trova d’accordo:
penso che al livello in cui era caduta non potesse esprimere altro, e
che è difficile, ma non impossibile, possa anche far peggio. Sia
chiaro che, nel caso, questi ultimi due anni e mezzo si riveleranno essere stati determinanti.