domenica 14 novembre 2010

Corrispondenze


In risposta a M.R. che mi chiede ragione
del mio silenzio sulle persecuzioni che i cristiani
subiscono in molte parti del mondo.


I cristiani sono perseguitati in alcuni paesi, per lo più dalle popolazioni indigene di altra fede (islamica, indù, animista) o dagli apparati repressivi di regimi dittatoriali (Cina, Vietnam, Corea del Nord). Di fronte alla persecuzione religiosa esistono di massima tre opzioni per il perseguitato: convertirsi alla fede dei persecutori (per finta o per davvero); fuggire in un paese tollerante e ospitale; restare dove si è, disposti al martirio. L’attuale posizione della Chiesa al riguardo può sintetizzarsi in alcuni recenti interventi di Benedetto XVI.
In generale, “il martirio e la vocazione al martirio non sono il risultato di uno sforzo umano, ma sono la risposta ad un’iniziativa e ad una chiamata di Dio, sono un dono della Sua grazia, che rende capaci di offrire la propria vita per amore a Cristo e alla Chiesa, e così al mondo […] Il martire è una persona sommamente libera, libera nei confronti del potere, del mondo; una persona libera, che in un unico atto definitivo dona a Dio tutta la sua vita, e in un supremo atto di fede, di speranza e di carità, si abbandona nelle mani del suo Creatore e Redentore; sacrifica la propria vita per essere associato in modo totale al Sacrificio di Cristo sulla Croce. In una parola, il martirio è un grande atto di amore in risposta all’immenso amore di Dio” (1). Certo, il martirio non è un obbligo, e “molti dei vostri amici cristiani sono emigrati, nella speranza di trovare altrove maggiore sicurezza e migliori prospettive”, voi però “abbiate il coraggio di essere fedeli a Cristo e di rimanere qui” (2).
Così, ai cattolici che vivono in paesi nei quali non sono perseguitati non è richiesto il martirio, ma Gesù ci domanda la fedeltà nelle piccole cose, il raccoglimento interiore, la partecipazione interiore, la nostra fede e lo sforzo di mantenere presente questo tesoro nella vita di ogni giorno” (3). Altro discorso per i cattolici che vivono in paesi nei quali per la loro fede sono a rischio di essere uccisi: “Siano dei testimoni consapevoli che testimoniare la verità può portare ad essere perseguitati” (4), accettino il rischio, non cerchino di salvare la pelle fuggendo o rinunciando a dar segno della loro fede.
Bene, gentile M.R., a chi dovrei venire in soccorso con la mia solidarietà? Difendendolo da chi?




 

10 commenti:

  1. Si può decidere di essere martiri di un'idea, certo, non solo di una fede religiosa, e tuttavia mi pare che ci sia una differenza sostanziale: in questo caso non c'è promessa di ricompensa nell'al di là. Quando c'è un Dio a chiederti di morire in suo nome, sei ripagato col paradiso: la solidarietà umana ti è superflua, non chiederla, non crucciarti se non la ricevi.

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  2. Non sono d'accordo, Signor Malvino. Le violazioni dei diritti umani sono da condannarsi, chiunque sia la vittima. Quanto al "martirio", bè, non so se Ratzinazi e la sua corte di preti grassi e salmodianti abbiano chiesto ai loro confratelli perseguitati cosa ne pensano. Io li manderei tutti in India o in Sudan, a farsi martirizzare DI PERSONA. Comodo predicare il martirio in scarpette di Prada.

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  3. Le persecuzioni sono sempre da condannarsi e qui non si faceva sconto a chi perseguita i cristiani: qui si discuteva della posizione dei cristiani (non di tutti, ma di quelli che vogliano obbedire al Papa) dinanzi al martirio. Data per scontata la condanna di ogni violenza, qui era in questione altro: la geopolitica cattolica, questo marcare il territorio con il sangue, come i cani fanno con le urine.

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  4. Mettiamolo così, un destino banale:

    1. ho la sfortuna di credere a Cristo e compagnia bella (magari a causa dell'evangelizzazione forzata di qualche anno fa con annessi e connessi);
    2. non ho intenzione di diventare martire ma ho paura che una pur falsa abiura pubblica mi "condanni all'inferno" (si sa, dio in certe regioni è particolarmente vendicativo, soprattutto quando la ragione latita);
    3. non ho i soldi per scappare dai vari paesi in cui sono perseguitato per andare a professare liberamente la mia devozione.

    Domanda: sommamente libero de che?

    Peggio incastrato di così si muore.

    Se chiedo asilo politico in Vaticano, me lo danno (l'asilo)?
    E i soldi per scappare?


    Ha ragione, caro Castaldi, sembra quasi che questi poveri avamposti debbano marcare il territorio con il sangue che verseranno.
    La frase scellerata è questa: "voi però abbiate il coraggio di essere fedeli a Cristo e di rimanere qui"
    Facile fare i froci con il culo degli altri (detto da gay, eh!).

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  5. "Di fronte alla persecuzione religiosa esistono di massima tre opzioni per il perseguitato: convertirsi alla fede dei persecutori (per finta o per davvero); fuggire in un paese tollerante e ospitale; restare dove si è, disposti al martirio".

    Secondo te qual è l'opzione migliore?

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  6. Non saprei dirti, perché non ho alcuna fede religiosa, né riesco a immaginarmi ad averne una. Perciò mi sarebbe facile - troppo facile, credo - dire "convertirsi alla fede dei persecutori (per finta o per davvero)"; impossibile, invece, mi sarebbe "restare dove si è, disposti al martirio": la cosa più ragionevole mi pare "fuggire in un paese tollerante e ospitale". Trovo la prova del nove della sua ragionevolezza nel fatto che BXVI consigli di restare e affrontare il martirio.

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  7. 11 Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. 12 Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti hanno perseguitato i profeti prima di voi.
    Vangelo secondo Matteo, c.5, vv. 1-12.

    Quindi perché si lamentano? Dovrebbero suonare a festa le campane di San Pietro, per quante anime hanno guadagnato il paradiso!
    Laicamente, però, da ateo, dico che tutte le oppressioni sono da condannare, anche quelle religiose. Ma ricordando che la ricerca del martirio è vocazione cristiana, e non solo.

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  8. Grazie della risposta. Io suggerirei di restare, non per affrontare il martirio, ma per ribadire il diritto di chiunque a vivere dove ha casa e cittadinanza.

    Tempo fa, quando dalla striscia di Gaza piovevano razzi su Ashkelon e altre città israeliane, un tale (dichiaratamente cattolico, ammesso che rilevi) suggerì una soluzione a suo dire molto semplice e utilissima per favorire il processo di pace: spostare le città colpite un po' più in là, fuori dal raggio di tiro dei quassam. Pura follia, secondo me.

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  9. Lei dimentica la Lettera a Diogneto: il vero cristiano non ha patria, non appartiene a questo mondo, ecc.

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