venerdì 22 luglio 2011

Sta per scatenarsi ancora la speranza di un paese normale?


Nell’impossibilità di avere una piena comprensione del presente, che è uno dei limiti insuperabili della natura umana, solitamente ci affidiamo a ciò che ci sembra relativamente chiaro del passato prossimo o di quello remoto, lo pigliamo, lo adattiamo per quanto ci è possibile in analogia e traiamo conclusioni, che talvolta ci tentano addirittura ad azzardare previsioni sul futuro, a costruire modelli e sistemi, e a illuderci di avere una chiave buona per ogni porta chiusa. Miserie dello storicismo, ma è che siamo inconsolabili orfani della storia, che peraltro non ci ha lasciato altra eredità che un album di foto e didascalie sbiadite, sulle quali consumiamo nostalgie insensate e rimpianti molto poco motivati.
È che ogni limite insuperabile della natura umana ha in sé l’irresistibile sfida a tentare di superarlo e, quando si comincia, non si finisce più. In questo, acuti o ottusi, colti o incolti, ci somigliamo tutti, e anche nel più stupido e ignorante degli esseri umani c’è un Sisifo che inutilmente suda. D’altro canto, la sfida posta nell’impossibilità di una piena comprensione del presente non può essere affrontata con maggiori garanzie affidandoci all’azzardo di chi pure abbia solida reputazione di persona estremamente acuta e straordinariamente colta, perché nell’uso dell’analogia non c’è intelligenza o esperienza che possano assicurarci un risultato efficace, e qui è superfluo portare esempi dei tragicomici infortuni capitati lungo il corso della storia a veri giganti del pensiero. E tuttavia ci consola sbagliare in buona compagnia piuttosto che da soli, sicché ogni epoca produce azzardi di gran pregio, proponendoci un uso dell’analogia che risponde ai gusti e alle più intime aspettative del momento.

Oggi, per esempio, l’azzardo che pare dare garanzia di una più piena comprensione del presente e di una più probabile previsione del futuro è quello di ritenere che siamo alla vigilia, anzi all’esordio, di una riedizione di Mani Pulite. Certo, nessuno spinge l’azzardo fino all’uso dell’analogia come ricalco. C’è chi sembra farlo, certo, ma è evidente che si tratta di una neanche tanto sottile forma di scaramanzia: più o meno consapevolmente, c’è chi cerca di scongiurare che la riedizione di Mani Pulite faccia gli stessi danni e chi spera che non tradisca le stesse speranze.
In questo senso, la bipolarizzazione del sistema politico produce un significativo uso strumentale dell’analogia come ricalco, dagli opposti fini secondo chi vi faccia ricorso, ma dallo stesso risultato, che è insieme danno e voglia di vederlo stavolta evitarlo, speranza e voglia di non vederla stavolta delusa. Mi pare, tuttavia, che non sia molto chiaro – neanche ai grandi del pensiero del nostro presente – che è proprio il bipolarismo (ancorché imperfetto) a rendere improponibile l’analogia, sovrastimato il calcolo dei possibili danni, esagerata ogni possibile speranza. Non c’è molto spazio, in mezzo, per una diversa rilettura di Mani Pulite e, così adattata al presente, l’analogia ritorna indietro deformata, come scritta da Travaglio o da Ferrara.

Davvero non è possibile rinunciare all’uso dell’analogia? E quale analogia fu usata nel tentativo di comprendere cosa fosse Mani Pulite nel mentre era in corso? Servì a molto sentirla come Liberazione? E servì a molto sentire la Liberazione come un nuovo Risorgimento? Anche il fascismo ci provò e non gli servì a molto. E quale analogia fu calcata sul Risorgimento? Quale dannazione ci condanna a fare sempre peggio, e sempre nella convinzione che, se non la sprechiamo, stiamo riavendo l’occasione per rivivere un passato migliore, che invece è a malapena una bugia consolatoria? Domande retoriche, naturalmente, e che perciò hanno in sé già una risposta.
Dunque, sta per scatenarsi ancora la speranza di un paese normale? Ma i paesi normali fanno un uso diverso del passato prossimo e remoto, e quindi questa speranza può scatenarsi come e quanto vorrà, ma sarà sempre delusa. Oppure: dobbiamo temere che stia per scatenarsi un’altra guerra civile, un altro inconcludente saldo fratricida? Ma le guerre civili finiscono, prima o poi, e qui, invece, dopo che il sangue è scorso, i nemici li vedi sempre a cena insieme, e la mattina dopo pronti a recitare ancora la loro parte, ritagliata sull’analogia preferita dagli uni o su quella preferita dagli altri. E con frequenti cambi di parte, giusto per illudersi che qualcosa, nonostante tutto, si muove, si è mosso.

2 commenti:

  1. A me, un po' alla volta, sembra che i paesi normali necessitino di futuro, i paesi italiani invece necessitino di revival fatti meglio, poiché siam maestri dell'impasse.

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  2. Io non ho un numero di neuroni paragonabile ai suoi, perciò mi accontento dell'equazione "se rubi e ti beccano, allora finisci dentro".
    E con questo dolce pensiero, incrocio le dita e spero in tempi migliori e in politici più onesti.

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