sabato 10 aprile 2010

“Dacci dentro, Kiesle!”



Immaginate un bambino di sette anni tremante in un angolo d’una sagrestia, un prete a pochi passi da lui pronto a stuprarlo e il cardinal Joseph Ratzinger che uscendo, prima di chiudersi la porta alle spalle, dica: “Dacci dentro, Kiesle, e non temere, perché starò qua fuori a fare il palo. Se arriva qualcuno, ti faccio un fischio”. Bene, neanche un video che avesse catturato questa scena riuscirebbe a convincere un cattolico delle passate colpe di Benedetto XVI, e dunque qui non tenterò nemmeno. Mi limiterò a rigettare le obiezioni sollevate contro l’ennesima prova, stavolta liscia e tonda, della complicità indiretta che fu offerta dall’ex prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede al prete pedofilo di turno in quella sagrestia: un prete (padre Stephen Kiesle) che, alcuni anni prima dei fatti che ora emergono dall’oblio, già era stato condannato per reati a sfondo sessuale (molestie e atti osceni) ai danni di due minori, nel 1978, e che nel 1982 costringeva il suo diretto superiore, monsignor John Cummins, a chiederne la sospensione da ogni attività pastorale. La risposta – tre anni dopo – fu negativa: firmato “Joseph Card. Ratzinger”, su carta intestata “Sacra Congregatio pro Doctrina Fidei”.

Un no che nella lettera del signor prefetto è motivato da un’unica ansia: evitare i danni che una despensatio ab omnibus oneribus sacerdotalibus avrebbe potuto provocare in christifidelium communitate. Così giovane, padre Kiesle, perché lo sollevano dalla cura dell’anime dei nostri figli? Che avrà fatto? Guai se la christifidelium communitas si fosse posta queste domande.
Attendere, lasciar scorrere il tempo. Che infatti scorse. Nel mentre scorse, padre Kiesle ne stuprò 13, tutti bambini.

Le solite facce da schiaffi corrono in soccorso, complici del complice di padre Kiesle. Dicono che una dispensa non può essere accordata prima dei 40 anni, ma a don Romolo Murri non fu inflitta a 36 anni? Dicono che la Congregazione di cui era prefetto il cardinal Ratzinger non era responsabile di casi come questi prima del 2001, ma allora a che titolo monsignor Cummins vi si rivolgeva e a che titolo il cardinal Ratzinger dava disposizioni? Dicono – e qua agli schiaffi in faccia bisognerebbe aggiungere parecchi sputi – che oggi il cardinal Ratzinger è papa e non può dar conto di ogni singolo caso da lui trattato in passato. Ma allora perché su padre Murphy ha mandato i suoi servi a dilungarsi tanto? Dicono – e qua agli sputi dovrebbero aggiungersi vigorose bastonate – che la Chiesa cattolica non può essere giudicata per queste nefandezze come una qualsiasi istituzione umana, perché a garanzia del suo bene i suoi chierici sono tenuti ad una superiore prudenza che può ben sacrificare la mente e il corpo di qualche bambino che di tanto in tanto sia stuprato da uno di loro. Ma allora perché fingono di essere addolorati ogni volta che una storia come questa torna a galla, e solo se torna a galla?

Guardare e non toccare



La sindone di Torino che sarà riposta in ostensione da domani (l’ultima volta fu nel 2000) era, per Pio XI, un “ancor misterioso oggetto, ma certamente non di fattura umana (questo si può dir già dimostrato)” (L’Osservatore Romano, 7.9.1936). La posizione ufficiale del Papato, oggi, è un po’ diversa.
Non importa molto, oggi, se davvero sia il sudario in cui fu deposto il cadavere di Gesù Cristo (oggetto di fattura sovrumana), o invece sia il lenzuolo in cui fu avvolto un poveraccio usato come stampo a perdere di Passio Christi nel XIII secolo, o un prototipo di foto, o un raffinato falso in fieri per apposizioni e trattamenti progressivi (oggetto di fattura umana): si tratta di una imago in cui la devozione può essere chiamata a vedere il corpo del Figlio di Dio, ma anche no, perché l’ancor misterioso oggetto non è punto di fede. E tuttavia la devozione non sarebbe insultata se si trattasse di una falsa reliquia: se sei disposto a credere nella resurrezione di un cadavere, l’artigianato medioevale ti sembrerà sacro mistero gerosolimitano, sputato tale e quale.

Qui consentitemi un inciso: come non restare a bocca aperta dinanzi a costruzioni logiche di questo genere? Ti viene una smania di entomologia, di psichiatria, ti arrapi come davanti a rompicapo. Parlo per me, naturalmente. Chiuso l’inciso.

Sacra impronta o decalcomania farlocca, “certamente non di fattura umana” = “certamente imago della Passio Christi”. Così l’ostensione crea sempre lo stesso indotto, in fervore e denaro, anche adesso che l’unico test al quale si è consentito sottoporre l’imago l’ha datata al XIII secolo.
Test non attendibile, pare. E allora ripetiamolo, stavolta ritagliandone un pezzetto che non lasci dubbi su epoca del telo, caratteristiche del sangue, ecc. Chessò, un rettangolino dalla regione delle natiche, così cerchiamo di spiegarci pure com’è che siano rimaste impresse tanto tondeggianti, come se il cadavere non poggiasse con quelle sulla pietra del sepolcro, al punto da non mostrare alcun segno di schiacciamento.
Niente, pare non si possa: guardare e non toccare.

venerdì 9 aprile 2010

Un piccolo grande passo



Lo scorso 31 marzo, a Strasburgo, il Comitato dei Ministri della Comunità europea ha approvato a larga maggioranza una raccomandazione rivolta agli Stati membri a che promuovano “measures to combat discrimination on grounds of sexual orientation or gender identity”.
Non solo belle parole: richiamando al principio “that neither cultural, traditional nor religious values, nor the rules of a «dominant culture» can be invoked to justify hate speech or any other form of discrimination”, la raccomandazione è a “examine existing legislative and other measures, keep them under review, and collect and analyse relevant data, in order to monitor and redress any direct or indirect discrimination on grounds of sexual orientation or gender identity” e a “ensure that legislative and other measures are adopted and effectively implemented to combat discrimination”, anche per ciò che attiene al diritto di convivenza, matrimonio e adozione.
Naturalmente si tratta solo di una raccomandazione, infatti è fatto salvo quanto di residuale delle vigenti normative in ogni Stato membro che non sia aderente all’assunto, e tuttavia di nuovo c’è che per la prima volta in ambito comunitario si approva un atto ufficiale in cui non si parla semplicemente di “sex” e di “gender”, ma di “sexual orientation” e di “gender identity”: culturalmente è una rivoluzione copernicana, soprattutto se si tiene conto del fatto che il richiamo è a che gli Stati membri della Comunità europea “should ensure that any discriminatory legislation criminalising same-sex sexual acts between consenting adults, including any differences with respect to the age of consent for same-sex sexual acts and heterosexual acts, are repealed” e che essi “should also take appropriate measures to ensure that criminal law provisions which, because of their wording, may lead to a discriminatory application are either repealed, amended or applied in a manner which is compatible with the principle of non-discrimination”.
Un piccolo grande passo, soprattutto per l’invito “to make recommendations on legislation and policies, raise awareness amongst the general public, as well as – as far as national law so provides – examine individual complaints regarding both the private and public sector and initiate or participate in court proceedings” e a farsi carico della sensibilizzazione dei maggiori rappresentanti della società civile, “including media and sports organisations, political organisations and religious communities”.
Anche qui un importante fatto nuovo: viene di fatto assunto il principio che nessuna morale sessuale che ponga discriminazione tra un individuo e un altro, qualunque siano i suoi orientamenti e gusti sessuali, sia autorizzata a farsi fonte di diritto.

«Padre Maciel ha fatto molto per la Chiesa e in più è molto amico del papa»


Da prefetto dell’ex Sant’Uffizio – dal 1981 al 2005, sarà il caso di tenere ben presente – Joseph Ratzinger sapeva essere severissimo, quando voleva. Figlio di poliziotto, non bisogna dimenticarlo, e infatti, quando si trattò di incastrare quel Leonardo Boff che con la sua “teologia della liberazione” attentava alla dottrina sociale della Chiesa cercando di farla torbida di socialismo, lo chiamò a Roma e lo sottopose ad un interrogatorio di quelli coi controcazzi, e l’eretico crollò.
Bene, questa adamantina severità aveva una minuscola carie: il figlio del poliziotto era assai tenero coi pedofili o, diciamo meglio, era molto molto molto garantista nei loro confronti, sicché in 24 anni di carriera in quella prefettura non ne portò mai uno a processo.

Mite verso il presunto sventrachierichetti della sperduta diocesi d’Oceania, figurarsi con un pezzo grosso come Marcial Maciel Degollado. Quando monsignor Carlos Talavera Ramírez, vescovo di Coatzacoalcos (Messico), gli segnalò che il fondatore dei Legionari di Cristo puzzava come un’ostrica andata a male (otto seminaristi ne avevano subito gli abusi sessuali), gli rispose: «Si tratta di materia molto delicata, dato che padre Maciel ha fatto molto per la Chiesa e in più è molto amico del papa» (salvo a rimangiarselo di lì a poco, fu lo stesso monsignor Ramírez a riferirlo, sennò non mi sarei permesso il virgolettato).
Come davvero fu o non fu, il primo provvedimento nei suoi confronti (obbligo di appartarsi in preghiera) fu preso solo nel 2006, quando all’ex Sant’Uffizio v’era un nuovo prefetto, perché quello vecchio era stato fatto papa.

Morto il papa che gli era “molto amico”, la materia non era più tanto “delicata”, e oggi, per la cronaca, Joseph Ratzinger passa per quello che ha inguaiato padre Maciel, perché da papa ha sollecitato il duro provvedimento nei suoi confronti (e qui non sto facendo ironia, perché l’obbligo di appartarsi in preghiera deve essere stata una tortura per uno come lui).
La fama di papa che di più s’è speso per combattere il fenomeno dei preti pedofili, che i suoi servi cercano di cucirgli addosso con affannosa lena, è fatta di questa stoffa: una rancida resipiscenza, screziata da presumibili sensi di colpa. Una merda d’uomo prima che una merda di prefetto.

giovedì 8 aprile 2010

"An irish catholic woman who survived child abuse"



“I ask americans to understand why an irish catholic woman who survived child abuse would want to rip up the pope’s picture”

mercoledì 7 aprile 2010

Il piacere negato

Recupero da un articolo di Franca Fossati su Europa di mercoledì 7 aprile la discussione sviluppatasi sul monologo di Daniele Luttazzi a Rai per una notte, relativamente alla metafora del coito anale come rappresentazione di un atto di violenza che incontra passiva sottomissione. Pare che tutte le voci femminili intervenute sulla questione (Giulia Blasi sul blog di Donna moderna, Sabina Ambrogi su The Front Page, Ida Dominijanni su il manifesto) non abbiano affatto gradito l’uso di quella metafora, come considerandola politicamente scorretta, naturalmente ai danni della donna lì rappresentata. Non pervenute proteste da commentatori gay, invece, per quanto la cultura gay contesti assai vivacemente, e da sempre, la rappresentazione del coito anale come atto violento. (Consiglio la lettura di un post di Cadavrexquis, che è in tal senso emblematico.)
La polemica mi ha richiamato alla mente Il piacere negato di Jack Morin (Editori Riuniti, 1994), che per quanto ne so è il più serio e approfondito studio sulla “fisiologia del rapporto anale” (che è il sottotitolo del volume), col pregio di essere una ricerca priva di ogni tara ideologica, sicché la sua lettura convince sulla correttezza dell’ipotesi posta, e cioè che sul coito anale pesi un tabù che non ha alcun fondamento razionale. Libro che consiglio a chi coltiva il tabù e a chi no, anche perché mi pare che risolva anche la questione sollevata dalla più comune rappresentazione del coito anale, e cioè quella di un atto di violenza che incontra passiva sottomissione previo fastidio o dolore, pressoché inevitabili, giustificabili sul piano anatomico e fisiologico.
Bene, Morin convince: “Quello che di solito si trascura è che sia la virilità che la femminilità [estensivamente: il ruolo attivo e quello passivo] sono legittime ed efficaci strategie di potere. Ci sono momenti in cui agire decisamente e avere il controllo della situazione sono il modo migliore per far succedere qualcosa. […] In altre occasioni, è più efficace un approccio ricettivo ed elastico. Saper cedere è una qualità necessaria in ogni relazione intima e nell’affrontare le sfide che sfuggono al nostro controllo. Un individuo che abbia sviluppato solo alcune capacità e soppresse altre affronta queste sfide da una posizione di svantaggio. La nostra cultura dà molta più importanza alle qualità maschili [come sopra: al ruolo attivo]. La femminilità [idem: il ruolo passivo] è associata all’oppressione sociale ed economica [di qui la straordinaria efficacia della metafora luttazziana]. […] Fintantoché anche la ricettività anale verrà associata alla sottomissione e alla debolezza, sarà difficile se non impossibile che queste donne la trovino piacevole” (pagg. 175-176).

Fino al 490° abuso sessuale


Nel febbraio del 2002, quando rilasciava l’intervista di cui qui riporterò alcuni brani, Tarcisio Bertone era segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede. Da pochi mesi, il 18 maggio 2001, la Congregazione aveva diramato una circolare interna (De delictis gravioribus) che, insieme ad altro, dettava istruzioni a tutti i vescovi sulla condotta da tenere dinanzi al caso di un abuso sessuale commesso da un sacerdote a danno di un minore, ad integrazione e correzione della fin lì vigente normativa (Crimen sollicitationis).
È su quanto realmente disponeva la De delictis gravioribus che oggi si discute, con interpretazioni discordanti. E allora cosa c’è di meglio che ascoltare dalla viva voce di chi firmò quella direttiva (insieme a Joseph Ratzinger, prefetto della Congregazione) cosa fosse realmente tenuto a fare un vescovo venuto a conoscenza di un crimine di pedofilia commesso da un prete della sua diocesi?

Ringrazio chi mi ha segnalato l’intervista e do la parola a Bertone: “A mio parere, non ha fondamento la pretesa che un vescovo sia obbligato a rivolgersi alla magistratura civile per denunciare il sacerdote che gli ha confidato di aver commesso il delitto di pedofilia. Naturalmente la società civile ha l’obbligo di difendere i propri cittadini. Ma deve rispettare anche il «segreto professionale» dei sacerdoti, come si rispetta il segreto professionale di ogni categoria, rispetto che non può essere ridotto al sigillo confessionale, che è inviolabile”.
Non solo, quindi, quanto saputo in confessione: “Se un fedele, un uomo o una donna, non ha più nemmeno la possibilità di confidarsi liberamente, al di fuori della confessione, con un sacerdote per avere dei consigli perché ha paura che questo sacerdote lo possa denunciare, se un sacerdote non può fare lo stesso con il suo vescovo perché ha paura anche lui di essere denunciato, allora vuol dire che non c’è più libertà di coscienza”.

Felicissima sintesi della De delictis gravioribus, senza dubbio, ma coprendo il delitto, così consentendo al prete pedofilo di reiterare il suo crimine (in un’altra diocesi, se trasferito), non si veniva a creare un meccanismo che possiamo collocare tra favoreggiamento e complicità? E questo meccanismo non era predisposto da un’autorità cui i vescovi dovevano obbedienza?
Oggi, si tiene a precisare che la De delictis gravioribus non vieta la denuncia del prete pedofilo; ieri, non aveva fondamento la pretesa che un vescovo fosse obbligato a rivolgersi alla magistratura civile per denunciarlo. E perché? Tenetevi: perché “la Chiesa è misericordiosa con tutti, anche con quelli che hanno commesso peccati gravissimi come la profanazione di sacramenti e la pedofilia. Memore di quanto ha detto Gesù nei Vangeli: perdonare «non dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette» (Mt 18, 22)”.
Vangelo alla mano, signori vescovi, perdonate il prete pedofilo, senza denunciarlo, fino al (70 x 7 =) 490° abuso sessuale su minore siate misericordiosi, in nome e per conto della Chiesa cattolica.

Capite? Padre Murphy avrebbe potuto stuprare altri 290 bambini sordomuti, perché ne aveva stuprati solo 200.



Postilla amena (Lodo Malvino)

Dunque, ragioniamo. Se la frequenza media calcolata è di 1 individuo pedofilo ogni 2.000 individui che non lo sono, ne avremo 10 ogni 20.000, 100 su 200.000, 1.000 su 2 milioni, ecc. Insomma, è calcolabile che su 6 miliardi di individui presenti sul pianeta vi siano 3 milioni pedofili, forse un po’ più o forse un po’ meno.
Ora, a quanto pare (e la Santa Sede conferma), ci sarebbero 4-5 preti pedofili ogni 100 preti che non lo sono. Diciamo 4 su 100, per semplificare, sicché ne avremo 40 ogni 1.000, 400 su 10.000, 4.000 su 100.000 e, insomma, tenuto conto che i preti sul pianeta sono circa mezzo milione, possiamo calcolare che i pedofili fra loro siano 20.000.
Ma 20.000 preti pedofili sui 3 milioni di pedofili che abbiamo calcolato essere presenti sul pianeta – rinunciamo alla calcolatrice – ne fanno 20 su 300.000, e 2 su 30.000, cioè 1 su 15.000, e 0,1 su 1.500, e 0,01 su 150, che poi non è molto lontano da quello 0,o3% concesso da padre Charles Scicluna, promotore di giustizia della Congregazione della Dottrina della Fede. Qui, per inciso, devo dire che è molto bello trovarsi d’accordo con un prete sulle scienze esatte.
Tirando le somme, dunque, e con questo post chiudo la serie (fino a quando non me la fanno riaprire), possiamo trovarci d’accordo sulla cifra di 20.000 preti pedofili sul pianeta. Tanti? In quanto pedofili, no. In quanto preti, io direi di sì. Perché calcolando una media di 100-150 abusi sessuali per ogni prete pedofilo (è quanto deducibile dai casi noti), avremo sul pianeta 3 milioni di bambini abusati da preti.
Essendo promotore di giustizia, padre Scicluna vorrà risarcirmeli? E con quale cifra pro capite? Si tratta di danni gravissimi, vite rovinate, menti devastate: meno di 50-100.000 dollari ciascuno sarebbe un insulto, sarebbe una beffa dopo l’abuso. Farebbero 300 miliardi di dollari, e alla Santa Sede non mancano. Vogliamo versarli a fondo perso in una cassa gestita da un’autorità laica internazionale? Vogliamo aggiungerci (il 4-5% di 50-100.000 dollari =) 3-5.000 dollari per ogni nuovo prete, a cauzione? Vogliamo aggiungerci un forfait per i crimini commessi dai preti pedofili morti ma le cui vittime siano ancora in vita? A occhio e croce, farebbero 80-100 miliardi di dollari. Giusto per mettere fine all’odiosa insinuazione laicista e anticattolica che la Santa Sede pensa solo a pararsi il culo sul piano economico, insomma, propongo questo lodo: 300-400 miliardi di dollari e si chiude un occhio.
Però, come Gesù disse alla adultera: “Vai, ma non peccare più”. Sennò il pacco di soldi non può intendersi come una tantum.

Certe volte mi sorprendo ad essere più conciliante di quanto pensassi.

Giornalettismo, 7.4.2010

martedì 6 aprile 2010

Ricapitoliamo ("Quando muore, gentilmente, uno uguale")


Va a Ratisbona e, dando voce a Manuele II Paleologo, come José Luis Moreno dava voce al corvo Rockfeller, dice che Maometto era uno zotico violento e irragionevole. Convulsioni isteriche in Medio Oriente, crisi internazionale, precisazione e rettifica: il corvo, cioè, l’imperatore bizantino, s’è espresso “in modo sorprendentemente brusco, brusco al punto da essere per noi inaccettabile”. Che chiavica di ventriloquo, mi son detto, però che spasso.
Dà sfogo a un motu proprio che teneva dentro da un sacco di tempo: messa in latino, pastore che volge le spalle alle pecore, solo musica gregoriana. Per quattro o cinque sfessati bacati di passatismo che vanno in brodo di giuggiole, un coro a labbra stretto di mugugni da un clero che manco più si ricorda se sub voglia l’accusativo o l’ablativo. Precisazione e rettifica: la liturgia in latino e quella in lingua indigena sono entrambe la unica vera liturgia. C’è gente che ancora non si spiega come sia possibile: vescovi, mica papaboys. Si esprime come se parlasse con le coste dei libri sugli scaffali, mi son detto, wow!
Dichiara aperta la caccia al ricchione in tutti i seminari. E i ricchioni già preti? E quelle languide occhiate al bel Georg? Vabbe’, mi son detto, un po’ di ambiguità non guasta. Un po’ torbida, tanto meglio.
Apre le braccia e accoglie in paterno abbraccio i lefebvriani, pazzi fottuti che fino a due minuti prima sputavano quando lo citavano, che soffrono dacché so’ nati perché è finito il Medioevo e da lì in poi cacca-piscia-cacca-piscia: s’è diffusa la peste dell’umanesimo, la lebbra del libero pensiero, la sifilide del modernismo, la messa è diventata beat, la sovranità sociale di Cristo s’è ridotta ad ingerenza delle conferenze episcopali, ecc. Nel mucchio – compatto nel far presente : “Ok, rientriamo, ma il Concilio Vaticano II ci fa cagare” – qualche antisemita, pure un po’ negazionista. Imbarazzo, spiegazioni, scuse, aggiornamento: figli, sì, ma congelati, ovocellule di cristianità fecondate da suggestioni naziste, da impiantare, sì, ci mancherebbe altro, ma più in là, vedremo. Insomma, ennesima figura di merda.
Va in Africa, dove ci si becca l’Aids pure a farsi una sega, e dice che il preservativo non serve a un cazzo, anzi, peggiora le cose. Grandinata di proteste, qualcuno gli dà pure del pericoloso delinquente, mentre tutte le pontificie accademie sono reclutate nello sforzo di dimostrare che più usi il preservativo e più muori di Aids, che Sua Santità ha avuto una geniale intuizione che per leggerla su Nature bisogna aspettare sei o sette generazioni di scienziati. Non mi divertivo tanto dal Sarchiapone di Walter Chiari, ma neanche il tempo di riprendermi…
Neanche il tempo di riprendermi e se n’esce con le eroiche virtù del Pacelli, quello che, mentre le Ss imbottivano di ebrei i vagoni sotto le sue finestre, pensava ad assicurarsi presso il comando tedesco a Roma che in Vaticano non mancassero i viveri. Uomo retto ed equanime, tuttavia, perché non negò riparo nei conventi né ad alcuni ebrei, prima, né alcuni gerarchi nazisti, fino a favorirne la fuga in Sud America con passaporto della Città del Vaticano, dopo. Anche qui scoppia un bordello mai visto, stavolta sono gli ebrei a incazzarsi di brutto. Chiarimento, precisazione, rettifica: mica santo, non ancora, si vedrà.
Neanche il tempo di immaginare come staranno girando i coglioni al Pacelli – in vita passava ore intere allo specchio pregustandosi la santità – ed ecco lo scandalo dei preti pedofili. Un megascandalone, in verità, e anche stavolta tutto grazie a lui, l’ex prefetto dell’ex Sant’Uffizio che proibiva l’insegnamento ai teologi della liberazione ma non stroncava la carriera ai preti pedofili, salvando il culo dalla giustizia americana grazie all’elezione a capo di stato estero. Ma no, precisazione, chiarimento, cioè, ingarbugliamento: non sapeva niente, non poteva sapere e comunque, anche se sapeva, adesso è Papa e dire che sapeva configura il peccato di odio anticattolico…
Uno così, dico, non deve vivere altri cent’anni? C’è chi lo vorrebbe morto, chi ne chiede le dimissioni, ma a mio parere si tratta di gente rozza e insensibile. Per quanto mi riguarda: viva, viva, viva Benedetto XVI. Quando muore, gentilmente, uno uguale.

Il silenzio dei fighissimi



Ci sono blogger che si abbeverano quasi esclusivamente a fonti estere, per lo più in lingua inglese, e che stranamente paiono ignorare del tutto ciò che da più di una settimana riempie le pagine dei quotidiani d’Oltremanica e d’Oltreoceano: lo sdegno dell’opinione pubblica dinanzi alla scoperta che una serie lunghissima di crimini odiosi commessi un po’ dovunque da preti cattolici sono stati coperti per decenni dalle autorità locali, e con l’avallo delle alte gerarchie ecclesiastiche.
Camillo e Jim Momo parlano delle ingiustizie che sta subendo Luciano Moggi, Wittgenstein parla di iPad e di iPhone, Manteblog di roba ancora più complicata che manco mi azzardo a citare per paura di sbagliare, Noise from Amerika delle elezioni regionali italiane, Italia dall’Estero idem…
Che aria tira in Usa e nel Regno Unito? Ultimamente di che parla la stampa anglosassone? Che cazzo è questo Protest the Pope? E Andrew Sullivan, che scrive? E Chris Hitchens? Il New York Times e il Washington Post hanno chiuso?
Niente, da questi fighissimi che solitamente masticano più inglese che italiano non si riesce a sapere niente.

Un paese degno di quelle due merde d’uomo

Informato da monsignor Weakland della morte di padre Murphy, monsignor Bertone dichiara chiuso il caso (“the case is, in effect, closed”) e gli raccomanda di mantenere il più scrupoloso silenzio sugli abusi sessuali che la buonanima – si fa per dire – ha commesso ai danni di 200 bambini sordomuti (“the hope that the Church will be spared any undue publicity from this matter”).
La lettera è intestata Congregatio pro Doctrina Fidei, di cui Bertone è segretario, ha il numero di protocollo 11/96-06996, è in data 28 settembre 1998. Continuare a tenere celati agli occhi del mondo i crimini commessi dal morto, come era stato fino a quando era in vita: basterebbe questa raccomandazione – alla faccia di “oportet ut scandala eveniant” (Mt 18, 7) – ad inchiodare la Congregazione, il suo segretario e il suo prefetto, alle responsabilità che oggi rigettano.
La lettera è a pag. 81 del corposo dossier che ha consentito a Laurie Goodstein di muovere l’accusa: Ratzinger e Bertone sapevano dei crimini di padre Murphy, non li hanno segnalati alle autorità civili, hanno continuato ad insabbiarli in vita e dopo la sua morte, e nemmeno l’hanno ridotto allo stato laicale (The New York Times, 25.3.2010). È il caso, quello di padre Murphy, che più di ogni altro prova l’esistenza di una regia centrale nell’occultamento di un fenomeno, quello della pedofilia del clero cattolico, che rivela dimensioni sempre più imponenti man mano che i fatti vengono dissepolti.

Non qui in Italia. Qui in Italia i giornalisti come Laurie Goodstein sarebbero accusati di muovere accuse strumentali, per odio anticristiano, per becero anticlericalismo di stampo ottocentesco. Ecco perché abbiamo dovuto aspettare di leggere in inglese che, di fronte a 200 bambini sordomuti stuprati nel corpo e nella mente, Ratzinger e Bertone ebbero un’unica preoccupazione: “that the Church will be spared any undue publicity from this matter”. Tre anni dopo la morte di padre Murphy, Ratzinger ribadiva che su “this matter” v’era l’obbligo di “segreto pontificio” (De delictis gravioribus, 18.5.2001), la cui violazione comporta la scomunica: non era stato necessario che un prete pedofilo fosse ridotto allo stato laicale, ma continuava ad essere indispensabile minacciare di scomunica chi non rispettasse la consegna del silenzio su casi analoghi. Abbiamo dovuto aspettare di leggere in inglese che merde di uomini siano attualmente alla guida – almeno in teoria e finché dura – della mente e dei cuori di un miliardo di individui. Quello che a noi sembra coraggio è solo onestà intellettuale, quello che a noi sembra uno straordinario zelo di documentazione e controllo delle fonti è solo il minimo indispensabile per chi fa il mestiere di informare, all’estero.
È che qui in Italia i giornalisti che dovrebbero informarci sulle cose vaticane sono quasi tutti delle untuose e fatue macchiette, capaci solo di servile encomio o, al massimo, di cortigiano sussiego, talvolta di miserabili maneggi personali o di cordata. Lo sdegno del mondo civile verso Ratzinger e Bertone, così, è di importazione: mentre qui in Italia è sempre aperta la gara a chi lecca meglio il culo al primo e a chi bacia meglio la mano al secondo, negli Usa chiedono le loro dimissioni, nel Regno Unito si raccolgono firme per annullare il programmato viaggio di Benedetto XVI, in Germania, in Austria, in Belgio la magistratura civile scava, in Canada si inorridisce…

Il mondo intero va aprendo gli occhi sulla reale entità della “sporcizia” che Ratzinger lamentava nella Chiesa nel corso della Via Crucis del 2005, e scopre che proprio lui aveva contribuito a nasconderne un bel mucchio, che poi vuol dire alimentarla: in Italia ne arrivano le reazioni, che qualcuno osa definire “chiacchiericcio”, e più d’uno grida al complotto.
Siamo davvero un paese degno di quelle due merde d’uomo, sicché c’è chi può permettersi di scrivere: “La solidarietà al Pontefice ha una base assai più ampia di quella dell’istituzione, coinvolge grandissime masse di credenti e di persone di buon senso in tutto il mondo. È questa voce potente anche se sommessa del popolo di Dio che deve farsi sentire, che andrebbe messa in primo piano” (Il Foglio, 6.4.2010).
Il mondo intero ci mette sotto gli occhi i crimini commessi dai preti cattolici, le prove che i loro superiori li hanno protetti, e qui in Italia i cattolici dovrebbero – almeno così consiglia Giuliano Ferrara – far sentire la loro voce in difesa di quelle due merde d’uomo. Siamo davvero un paese che è ne degno.

lunedì 5 aprile 2010

Una vigliacca consolazione: nessun blogger può stare dietro a tutte le schifezze commesse dalla Chiesa cattolica e dai suoi preti



Il genocidio dei nativi canadesi fu consumato metodicamente, con un’intesa tra Stato e Chiesa degna dei tempi in cui era difficile distinguere se l’evangelizzazione fosse strumento dell’imperialismo o viceversa. Ai nativi canadesi furono strappati i figli, per affidarli a preti che avrebbero dovuto trasformarli in cristiani, distruggendo alla radice una cultura, una lingua, un’etnia. Ma i preti incontrarono particolari resistenze nei bambini e lo sforzo nel piegarle ne uccise 50.000, lasciando i sopravvissuti morti dentro, segnati per sempre da orribili crudeltà inflitte ai loro corpi e alle loro menti.
Non ne sapevo nulla prima di leggere l’articolo di Marco Cinque (il manifesto, 4.4.2010) sulla ricerca condotta da Kevin Annet (The Canadian Holocaust), ma questo l’ho già scritto. Qui devo confessare che scoprire un massacro di tali dimensioni, protrattosi per così tanto tempo, di cui ero completamente all’oscuro, mi ha fatto sentire in colpa, all’inizio senza riuscire a capire il perché. Poi l’ho capito, anche se ho avuto bisogno di sfogliare i miei taccuini per averne conferma.
In data 24.4.2009 leggo: “Phil Fontaine è a Roma, da BXVI. La Sala Stampa Vaticana dirama una nota – in sola lingua inglese – nella quale si legge: «Given the sufferings that some indigenous children experienced in the Canadian Residential School system, the Holy Father expressed his sorrow at the anguish caused by the deplorable conduct of some members of the Church and he offered his sympathy and prayerful solidarity». «Deplorable conduct»: i soliti 200 preti pedofili? 300? 500? Approfondire”.

Non approfondii, chissà quale stronzata catturò la mia attenzione. Di qui il senso di colpa, ma anche una puntina di vergogna e, infine, una vigliacca consolazione: nessun blogger può stare dietro a tutte le schifezze commesse dalla Chiesa cattolica e dai suoi preti, senza lasciarsene scappare una, di tanto in tanto. Ma 50.000 bambini morti sono un’enormità rispetto alle puttanate alle quali mi sarò dedicato, quel 24.4.2009. Vado a controllare: puttanate (Alexander Stille che tratta Christian Rocca come merita; i danni subiti dalla croce simbolo delle Giornate mondiali della gioventù; la ripresa degli attentati terroristici a Baghdad), proprio puttanate. Ancora senso di colpa, ancora vergogna.
Riprendo dai link che avevo annotato, riporto a brani, senza alcun ordine:

“Nel XVII secolo, tra il 1642 ed il 1649, otto missionari di origine francese subirono il martirio nel Nord America: sei sacerdoti gesuiti e due coadiutori, laici che si mettevano gratuitamente al servizio dei gesuiti in cambio del loro sostentamento. I primi tre furono uccisi dagli irochesi ad Ossenon, odierna Auriesville, nei pressi di Albany e New York, quindi oggi in territorio statunitense. Gli altri cinque invece, tutti sacerdoti, subirono il martirio in Uronia, a 200 km a nord di Toronto, dunque in territorio oggi canadese. Ispirati dai racconti dei primi missionari, questi religiosi chiesero ai loro superiori di poter essere inviati nell’allora cosiddetta Nuova Francia per farsi portatori della Buona Notizia del Vangelo ai popoli autoctoni del Canada. Coscienti dei pericoli a cui si esponevano, vivendo in seno a nazioni spesso soggette agli attacchi nemici, parecchi di loro avevano infatti lucidamente previsto ed accettato la probabile prospettiva del martirio in odio alla fede. Si dimostrarono sempre attenti ad annunziare il Vangelo nel pieno rispetto della cultura degli uroni e degli irochesi, vivendo con loro, imparando la loro lingua e, durante i repentini attacchi, non esitando a mettere a rischio la loro stessa vita” (santiebeati.it, “Giovanni de Brébeuf, Isacco Jogues e compagni”).

“Una sola missione: cristianizzare e civilizzare gli indigeni. L’obiettivo, nelle parole di un alto funzionario degli Affari Indiani del 1920, era quello di «distruggere l’indiano finché è bambino». Questa sorte in cento anni ha travolto 150 mila piccoli appartenenti ai gruppi etnici aborigeni Inuit, First Nations e Metis. […] Le comunità indigene puntano il dito verso quel programma di colonizzazione, non solo culturale, e lo ritengono alla radice degli alti tassi di suicidi (11 volte superiori tra gli Inuit e i First Nations rispetto agli altri canadesi) e di dipendenze da droghe e alcool che affliggono le loro comunità” (repubblica.it, 11.6.2008).

“Nel 2006 è stata istituita una class action da 5 bilioni di dollari - la più importante nella storia del Canada - tra i 90.000 sopravvissuti, il Governo e le chiese. La commissione sarà sovvenzionata da circa 60 milioni di dollari, ed avrà accesso garantito ai documenti statali e delle chiese. Secondo l'accordo, gli studenti che hanno seguito queste particolari scuole sono eleggibili ad un risarcimento di 10.000 $ per il primo anno scolastico, ed ulteriori 3.000$ per ogni anno successivo. Le vittime di abusi fisici e sessuali riceveranno di più” (mondoanord.it, 5.6.2008).

“A Roma, mercoledì 29 [aprile 2009], ci sarà il leader dell’Apn, Phil Fontaine, e monsignor James Weisgerber, presidente dei vescovi canadesi, entrambi alla guida delle rispetti e delegazioni. Nell’occasione, il Papa ne approfitterà per esprimere la propria sollecitudine all’indirizzo degli autoctoni del Canada che portano con sé la sequela dei trattamenti subiti nei collegi canadesi gestiti dalla Chiesa cattolica. Ma […] secondo il presidente dei vescovi canadesi, tuttavia, il Papa difficilmente presenterà delle scuse ufficiali per quanto accaduto negli istituti gestiti dalla Chiesa cattolica” (padovanews.it, 20.4.2009).

Avevo questi materiali, non bastavano per un post? Ancora senso di colpa, ancora vergogna.

The Canadian Holocaust


Per ultimo ne ha parlato Marco Cinque, su il manifesto di domenica 4 aprile (Genocidio canadese), ma i fatti erano noti già dal 2008, grazie alle testimonianze giurate di decine e decine di sopravvissuti, raccolte da Kevin Annet in un volume (The Canadian Holocaust) e in un documentario che allego in coda (da arcoiris.tv, sottotitolato in italiano).
Parliamo di 50.000 bambini morti nelle scuole residenziali cattoliche del Canada tra il 1922 e il 1994, parliamo di torture e abusi sessuali, di una incredibile sequenza di crudeltà durata per tre quarti di secolo, con la complicità del governo canadese. Scariche elettriche alla testa, agli arti e ai genitali, aghi infilati in mani, guance, lingue, orecchie e genitali, docce gelate, somministrazione di cibi avariati, percosse, stupri, incredibili violenze fisiche e psicologiche, e tutto ai danni di bambini anche di soli 5 anni, con una sola colpa: essere indiani nativi, refrattari al cristianesimo.
Un orrore senza fine, l’ennesimo di quelli consumati dalla più schifosa razza che mai abbia abitato la terra, quella dei preti cattolici. Un altro capitolo di violenza ai danni di minori che tornano a galla dall’inabissamento in capsule di omertosa complicità. Armatevi di stomaco prima di cliccare play.

venerdì 2 aprile 2010

Parole, parole, parole


L’impegno di Cota e Zaia ad impedire l’impiego della Ru486 nelle regioni che si apprestano a governare è fatto mettendo le mani avanti: “farò di tutto per contrastarla – dice Cota – ma è ovvio che rispetterò la legge, non posso fare diversamente” (Avvenire, 2.4.2010); “la regione – promette Zaia – studierà le modalità per far valere un punto di vista nettamente contrario” (ibidem); e così, in entrambi i casi, l’impegno è condizionato.
Sanno che sarà assai arduo dichiarare l’autonomia di Piemonte e Veneto fino al mancato rispetto della vigente normativa europea sui protocolli d’impiego dei farmaci che abbiamo già ottenuto l’autorizzazione alla commercializzazione e alla distribuzione, e sanno che possono al massimo aprire un contenzioso a fine ostruzionistico, ma dall’esito insidioso sul piano delle responsabilità personali, prima politiche, poi giudiziarie. (Si pensi ad una donna che muoia a causa dell’anestetico usato per farle un raschiamento dopo che abbia chiesto di interrompere la gravidanza con la Ru486 e le sia stato negato.)
L’impegno di Cota e Zaia ha un solo fine pratico: spiazzare il Pdl nell’asse privilegiato che si è venuto creando in questi anni con la Cei.

Quando Tommaso Debenedetti intervistò Philip Roth la prima volta...



Philip Roth, John Grisham, Gore Vidal, Herta Müller, Banana Yoshimoto, John Le Carré, ma finora, a quanto mi risulta, nessuno ha segnalato che fra gli intervistati da Tommaso Debenedetti ci sono anche Günter Grass, Wilbur Smith, Elie Wiesel, Abraham Yehoshua, Amos Oz, Nadine Gordimer, Surajprasad Naipaul, Jean Marie Gustave Le Clézio, Toni Morrison, Meir Shalev: tutti per Il Piccolo, tra il 2003 e il 2009, interviste che al momento sono tutte recuperabili nell’archivio de ilpiccolo.gelocal.it, domani chissà.
Ma questo è ancora niente rispetto a un’altra cosa che finora, a quanto mi risulta, nessuno ha segnalato: prima di quella ormai famosa pubblicata su Libero alcuni mesi fa, Philip Roth ha concesso un’altra intervista a Tommaso Debenedetti, anche questa pubblicata su Il Piccolo, il 13 febbraio 2008, a pag. 13.
Qui Philip Roth credeva ancora in Barack Obama. Dal cicalino in prima pagina: “Al telefono da New York, la sua voce, quando parla di Obama, perde il suo tono solitamente riflessivo, talora malinconico, per assumere tratti più alti, quasi gioiosi”.

giovedì 1 aprile 2010

"Fuorviante"


“Puntare l’attenzione esclusivamente su coloro che evidentemente sono iscrivibili nel novero generale degli abusatori sessuali, essendo però dei sacerdoti, può essere veramente fuorviante. In questo caso, infatti, la percentuale scende fino a diventare un fenomeno statisticamente minimo”. All’orecchio suona bene, vero? È Joaquin Navarro-Valls che dà un saggio di come tratterebbe “la struggente realtà dei casi criminali di pedofilia”, se fosse ancora direttore della Sala Stampa Vaticana. L’esecuzione è brillante, ma è la solita musica.
Navarro-Valls, infatti, ci invita a considerare che i preti che commettono abusi sessuali su minori sono pochi sul numero totale. Sul numero totale dei preti? No, sul numero totale di quanti commettono questo tipo crimine. Come a dire che non dobbiamo puntare l’attenzione su quei 4 o 5 preti pedofili ogni 100 preti, ma dobbiamo considerare il numero di abusi sessuali commessi dai preti sul totale degli abusi sessuali commessi.
Concentrarci sulla frequenza di un crimine in un dato gruppo di persone, in questo caso i preti, sarebbe “fuorviante” – dice Navarro-Valls – mentre non lo sarebbe, invece, lasciar perdere i preti e concentrarci sulla pedofilia in generale, per dire che il problema è diffuso, più diffuso di quanto si pensi, e che è “struggente”. Non dovremmo puntare l’attenzione su quanto la pratica criminale sia diffusa fra i preti, ma prendere atto che i preti vi contribuiscono in piccola misura.
Argomentando in questo modo, porsi la questione della pedofilia nel clero cattolico sarebbe “fuorviante” anche se i preti colpevoli di abusi sessuali su minori fossero il doppio, il triplo o il quadruplo di quelli che sono: sempre troppo pochi per essere un problema nel problema, per considerarlo in quanto tale o – guai! – interrogarci su ciò che lo produce. Concentriamoci su quanto sia “struggente” il problema in generale.
Quanti preti sono pedofili? Domanda “fuorviante”, Navarro-Valls dice che quella corretta è: quanti pedofili sono preti? E la sensazione è che la riposta giusta sia: sempre troppo pochi per poterne chiedere conto alla Santa Sede.

Le protesi mammarie non "esplodono"


Una partita di oltre 50.000 protesi mammarie con un difetto di produzione sta creando grossi fastidi in Francia: l’eccessiva fragilità dell’involucro aumenta il rischio di rottura, con conseguenze che, per il Tg5, sono il “cedimento” e l’“esplosione”.
“Cedimento” è termine adeguato, perché include vari aspetti dell’evento (la protesi perde forma e consistenza, aderenza e sede), ma “esplosione” è il solito fetente cedimento al sensazionalismo che droga tanta informazione: l’“esplosione” è evento “rapido e violento” (Devoto-Oli), la protesi mammaria non “esplode” (se non per pressione esterna, proporzionalmente rapida e violenta).
Diciamo che “esplosione” è rappresentazione sciatta e infedele, pericolosamente ansiogena, forse un pochino sadica.

Ma il sensazionalismo è niente rispetto a ciò il Tg5 allega all’“esplosione”, “evento che, se verificatosi, creerebbe non pochi problemi all’interno della coppia. Nella donna perché, oltre al danno, si aggiungerebbe la beffa della scomparsa di ciò che, con entusiasmo e con esborso economico, ha fortissimamente voluto. Per l’uomo, al quale all’improvviso verrebbe meno ciò che sognava e ammirava nella sua pienezza. E il rischio è ne esca – con rispetto parlando – una coppia col botto”.
Sulla donna e sull’uomo qui rappresentati si potrebbe scrivere un trattato: siamo dinanzi a una “filosofia del corpo” che piglia i referenti da Drive in.

mercoledì 31 marzo 2010

Niente di più che un leggero disgusto


Ci assicurano che Berlusconi e Bossi “saranno marmorizzati come patrioti” (Il Foglio, 31.3.2010). Ma questo è niente: “Umberto Bossi è il sangue e il suolo, Silvio Berlusconi il sogno e la tempesta. Messi assieme danno corpo e senso a una nuova forma d’identità popolare […] Non si può essere capi della nazione senza avere intercettato le forze viscerali di un popolo. […] Ogni popolo ha un bisogno intermittente di eroi eponimi e padri ri-fondatori [e Berlusconi] ha inaugurato l’era berlusconiana essendo se stesso e propagando la propria sintonia pre-logica con i suoi simili: la maggioranza degli italiani”.
E cosa non è diventato il Bossi, per Il Foglio, oggi, dalla merdaccia incolta che era, quando sfanculava i vescovi: “Bossi è il capo di un patriottismo complementare e terragno di tipo ottocentesco”.

È su questo genere di provocazioni tra l’osceno e il grottesco (con ampia licenza di ridicolo) che il centrodestra conta: per buttare benzina su un ardente antiberlusconismo già di parecchio combusto. Senza antiberlusconismo, il berlusconismo soffre: ha bisogno di consenso, sì, e ne ha, e di un certo tipo, ma gli è indispensabile pure un dissenso di un certo tipo e la sua propaganda mira a fargli fare vampe, guai se gli dovesse venire a mancare.
Prima della vittoria del centrodestra, mi sarei stracciato le vesti dallo scandalo nel leggere queste bestialità ricalcate dalla più frusta retorica della mistica fascista (che Corrado Guzzanti su Marte mi pare più serio). Oggi, nemmeno mi stropiccio: le statue sono sagome, esche esposte al tiro per provocare una escalation.

Ciascun propagandista ha il suo stile. Il Foglio ricorre all’epica, il Giornale al panegirico, il Tg1 al ciclo encomiastico, ma è tutta roba volutamente esagerata, per provocare indignazione, tenere caldo l’odio senza il quale l’amore non risulta amore.
Ci si dovrebbe limitare a segnalare le produzioni di questa propaganda, rubricarle come agguati, passare oltre con la faccia un po’ disgustata. Niente di più che un leggero disgusto.

Ma non è detto


“Per il Giubileo del 1950, il monopolio di Stato inventò una marca di sigarette «Anno Santo». Niente di simile – commenta Alberto Ronchey – sarebbe oggi possibile” (Accadde a Roma nell’anno 2000, Garzanti 2000 – pag. 80).

Quadrerebbe




Margherita di Savoia (già Saline di Barletta) è un comune pugliese che nello stemma ha un motto tratto dal De viris illustribus di Cornelio Nepote: “[aedificium] plus salis quam sumptus [habebat]” (Atticus 13, 2). Tratto un po’ impropriamente, forse, perché il “salis” che in Nepote sta per “dal sobrio buon gusto”, contrapposto a “sumptus” (“di lusso”), qui starebbe ad evocare il “sal” estratto nelle sue saline. Col sindaco che si son dati ieri, però, ai margheritani è data un’opportunità: correggere quel “salis” in “sales” (“amene cazzate”), e lo stemma finalmente quadrerebbe.