lunedì 23 agosto 2010

Corrispondenze



Caro Malvino, sono in Palestina da settimane e tutte le volte che mi arrabbio ti penso. Dal poco che ti conosco mi verrebbe da dire che non saresti offeso dai calci nei coglioni che ti ho virtualmente tirato pensando ai tuoi post filo-israeliani, e penso lo continuerò a fare: a te, non fanno male, e io mi accontento di questa catartica vendetta prendendo te come capro espiatorio di tutti i mali di questa terra. […] Mi addolora il saperti dalla parte opposta anche su un fronte su cui tranquillamente potremmo accusare per una volta la stessa ingiustizia e lo stesso sopruso. Mi viene il dubbio che questa travona che hai nell’occhietto venga dal non aver visto di persona quello che succede qui. Sei mai stato in Palestina, hai mai visto quello che succede qui? Hai amici, persone, conoscenti che ti hanno raccontato? […] Quello che vedo da varie settimane mi rimane dentro, non ne trovo il motivo, leggo il mio Qohelet e ho semplicemente deciso che bilancerò pigrizia e testardaggine nell’inviarti materiale, testimonianze, informazione dall’altra parte del muro. […] Saluti,

Andrea Zanni



Caro Andrea, leggerò con attenzione tutto ciò che mi invierai, ma non penso che riuscirai a farmi cambiare idea: io penso che lo Stato di Israele abbia il diritto di esistere, ma vedo che questo diritto è tuttora negato dai palestinesi, sicché deduco che non si può essere amico dei palestinesi senza dover essere, per diretta conseguenza, nemico degli israeliani, mentre ho più volte constatato che si può essere amico degli israeliani senza essere costretto a negare un diritto dei palestinesi ad avere un loro Stato, se non per molto indiretta conseguenza, che poi sarebbe quella che i palestinesi hanno fatto in modo che si realizzasse, facendosi usare da tutti i nemici di Israele, dalla fondazione dello Stato di Israele a oggi. 
Non penso che potrai darmi testimonianza di cose che ignoro o che non posso almeno immaginare e non faccio alcuna fatica ad immaginare le condizioni di vita alle quali i palestinesi sono costretti dalle misure di sicurezza, qui deterrenti e lì ritorsive, che Israele realizza a sua difesa. Sono disposto ad ammettere che oggi siano estremamente dure, ancor più di quanto possano essere state in passato, e posso arrivare perfino a concederti che possano di tanto in tanto essere esagerate, ma quello che Israele ha subìto dal 1948 ad oggi basta a spiegare tutto, se non a giustificarlo.
Nei conflitti che impegnano X e Y da lunga data, ogni violenza di X può sempre essere considerata come risposta ad una precedente violenza di Y, la quale può essere considerata come risposta ad una precedente violenza di X, e così via andando a ritroso. Nel nostro caso, stando a quanto sostengono i palestinesi, il primo atto violento commesso dagli israeliani a loro danno sarebbe stato quello di esistere; stando a quanto sostengono gli israeliani, invece, il primo atto violento commesso ai loro danni sarebbe stato l’attacco sferrato dalle forze filopalestinesi di Egitto, Siria, Iraq, Libano e Transgiordania, appena 24 ore dopo la nascita dello Stato di Israele. Così, a lume di naso, propenderei per ritenere che ad innescare la spirale di atti violenti non siano stati gli israeliani, ai quali si può semmai rimproverare solo il non aver mai mancato risposta ad ogni successivo attacco, sia di natura bellica che terroristica (ammesso che la distinzione rimanga poi possibile).
Caro Andrea, siamo italiani e l’Italia non ha mai avuto proprie fonti di energia: abbiamo sempre dovuto esser carini coi paesi arabi, ricambiando con mille piccoli favori, compresa una politica estera filopalestinese. Dalla Fiat all’Eni, dal Pci alla Chiesa, da Moro a Craxi, attraverso i cento diversi antisemitismi di casa nostra, le simpatie del mondo politico, economico e culturale italiano non potevano che andare ai palestinesi: il petrolio che ci veniva dai paesi arabi, l’antigiudaismo cattolico, il romanticismo di scuola marxista-leninista che ci ha sempre spinto a fare il tifo per chi ci sembrava meglio vestisse i panni dell’oppresso e dell’espropriato, quel tic fascista di vedere in ogni ebreo un sordido riccastro intento a complottare coi massoni per la rovina della Patria... Sì, sono disposto a concederti che può continuare ad essere difficile, in Italia, essere amico di Israele. Ma non ti posso concedere altro. Tuo

Luigi Castaldi

P.S.: Sono certo che non ti arrabbierai del fatto che ho sforbiciato dalla tua e-mail tutti i complimenti che mi hai rivolto, un po’ perché davvero esagerati (nel leggerli arrossivo), un po’ perché dopo questa mia risposta non vorrei comprometterti presso la preponderante opinione pubblica filopalestinese della blogosfera. 

31 commenti:

  1. Quello che non ho mai davvero capito è perché dai tempi della Genesi tutti si debbano dar da fare così tanto per conquistare quei quattro sassi spelacchiati, è come scatenare la guerra mondiale per il controllo della Calabria, boh. Malvino, arrendiamoci, quelle zone devono essere sotto l'influenza del soprannaturale.

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  2. Secondo me un viaggetto in Palestina te lo potresti pure concedere. Toccare con mano serve. Io non ci sono stata, ma ho conosciuto chi ci ha vissuto e lavorato. Le cose viste e sentite ti cambiano (li hanno cambiati) e, bada bene, qui si parla di persone, non di politici, non di massimi sistemi, non di petrolio e interessi reciproci, ma uomini, donne e bambini.
    Fuori la politica, avanzi l'Uomo. (Non ne siamo capaci, siamo troppo codardi per guardare in faccia il "nemico".)

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  3. Non ho intenzione di entrare (troppo) nella questione. Non ne so abbastanza. Ma mi pare che in tutto ciò che riporti a difesa di Israele, dimentichi il "problema" dell'espansione delle colonie che nulla c'entra con le colpe palestinesi, ma nemmeno aiuta un processo di pace.
    Ho virgolettato la parola "problema" solo perché non mia: ad usarla, è stata, su questo preciso tema, la Rice. Che certo non me la vedo filo-palestinese.

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  4. Se più gente capisse che l'essere amici di Israele non significa necessariamente essere nemici dei palestinesi, forse si sarebbe fatto un piccolo ma significativo passo verso la pace. Non riesco proprio a comprendere le posizioni della sinistra italica filo-palestinese: sono coscienti del fatto di essere perfettamente allineati con le concezioni in materia (e in politica estera) di Adolf Hitler [*]? Bah .......

    [*]Il quale auspicava la creazione di uno stato d'Israele, dove concentrare tutti gli ebrei, da sterminare poi con il fattivo aiuto dei popoli arabi.

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  5. Hitler, addirittura!
    Smettiamola di dividere il mondo in buoni o cattivi, in bianco o in nero.
    La verità non la conosceremo mai tutta e fino in fondo. L'unica cosa che sappiamo è che la ragione non è mai da una parte soltanto.
    Proviamo ad esercitare la nostra capacità di ascoltare e leggere la vita senza preconcetti. Ce la facciamo, perdio, a metterci un po' nei panni degli altri, diversi da noi?
    Nessuno ha l'esclusiva del discernimento, è una prerogativa che non ci è data. Siamo scimmie intelligenti, sì, ma sempre scimmie, in fondo.
    Smettiamola di prenderci troppo sul serio. Lo dico anche a me stessa, ovvio.
    E non è vero che occorre sempre schierarsi: se non sappiamo le cose non possiamo ergerci a giudici. Io non so cosa succede ai miei nelle 24 ore di un sol giorno: come faccio a sapere cosa è successo in decenni di storia di un paese tanto diverso dal mio? certo, leggo, mi faccio un'opinione. Una delle tante. Ma sono consapevole dell'inadeguatezza di qualsivoglia giudizio sommario, da parte di chiunque. Nè sulla questione palestinese, nè su qualsiasi altro problema globale. Opinioni a confronto. Discussioni e approfondimenti. Ottimo, purchè siamo tutti coscienti che non risolveremo mai le nostre divergenze. Cosa dovrebbe accomunarci? La condizione di esseri umani. Io sto con chi sta peggio. Sarà che sono una donna, sarà che odio la violenza, sarà che ogni Uomo sono io.

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  6. Ottima sintesi.
    Adesso la studio a memoria, e quando mi faranno la medesima domanda (cosa che accade in modo ciclico) cercherò di ripetere pari pari la tua risposta 'chirurgica', senza rischiare di cadere (ri-) nella trappola di cercare di far ragionare chi ha avuto troppe dottrine. (ovviamente con citazione dell'autore!)

    Visto che tutti si prodigano in consigli di viaggi mi ci metto anch'io:

    1) Consiglio di andare in Israele per vedere come sono trattati i cittadini di origine Palestinese.

    2) Consiglio di andare nelle zone gestite dai Palestinesi per vedere come sono trattati i Palestinesi

    3) Consiglio di andare nei paese arabi adiacenti (libano, siria ... (io non ci sono mai stato), giordania ed egitto, per vedere come è trattata la popolazione di origine palestinese. ( mi dicono che adesso in Egitto ed in Giordania le cose sono cambiate radicalmente ... a favore dei palestinesi )

    4) Consiglio di fare un viaggio nel passato ... e studiare un po' di storia degli ultimi 60 anni e vedere come i popoli arabi hanno trattato e sfruttato la causa palestinese.

    Saluto con una frase che ha detto il nonno di un mio amico palestinese, il quale (il nonno) non ha mai creduto che gli stessi palestinesi potessero autogovernarsi, perchè troppo litigiosi e preferiva un governo esterno (come da sua esperienza personale)

    Diceva: " ho provato ad essere 'dominato' dai turchi, dagli inglesi e dagli ebrei, se devo scegliere ... quest'ultimi"

    ettoregonzaga

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  7. Questo pezzo è esemplare per come chiarisce gli errori di tanti filo-israeliani. Attenzione, qui non si tratta di opinioni soggettive (delle quali potremmo discutere per anni, e infatti lo stiamo facendo): qui ci sono due errori che io ritengo oggettivi.

    Errore n. 1: la risalita al peccato originale. Malvino lo dice chiaramente: bisogna risalire a chi ha commesso il primo torto. Secondo lui sono stati i palestinesi, e quindi lui è filo-israeliano. Ma non è semplicemente così che si risolvono le controversie, né all'asilo ("ha cominciato lui") né in seguito. Bisogna evitare di guardare al passato e concentrarci sull'oggi e sul domani: si può trovare un modus vivendi tra israeliani e palestinesi? A cosa dovranno rinunciare i palestinesi? A cosa gli israeliani? Ecc.

    Errore n. 2: non solo si risale al peccato originale, ma una volta arrivati lì ci si accorge che è una favoletta stile Adamo ed Eva. Mi dispiace, ma persino gli israeliani più avveduti (tutt'altro che filopalestinesi) non credono più al mito del povero popolo israeliano accerchiato nel 1948. Mi ritrovo ancora una volta a segnalare un testo israeliano: 1948, di Benny Morris. O ci sono testi più aggiornati che ne smontano la tesi? Potrei sbagliarmi anch'io, eh.

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  8. Tira di più un pelo di israeliano che un carro di palestinesi.

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  9. Ti rispondo con calma. Intanto, come promesso, questo: http://aubreymcfato.wordpress.com/2010/08/23/vivere-e-resistere-a-tuwani/.

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  10. Perché non applicare il sacrosanto laicismo che Malvino usa di solito verso (qualcuno direbbe contro, non io) il cattolicesimo e le sue gerarchie alla questione israelo-palestinese? Le religioni in fondo, sono tutte ugualmente prepotenti e generatrici di conflitti...

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  11. @ leonardo

    Trovo che il tuo commento sia esemplare dei tanti errori di voi filopalestinesi.

    Correzione n.1: "bisogna evitare di guardare al passato e concentrarsi sull'oggi e sul domani". Cominciamo col rompere i rapporti con Hezbollah, Ahmadinejad, al Qaida, Assad e ogni altro "amico" che abbia tra i suoi scopi l'annientamento di Israele? Cominciamo col depennare la distruzione dello Stato di Israele dallo Statuto di Hamas? O cominciamo col tirare giù il muro eretto da Israele e che ha drasticamente ridotto gli attentati dei kamikaze che andavano a farsi esplodere nei ristoranti e sugli autobus? Cominciamo col fare arretrare ulteriormente Israele, concedendo terreno che i palestinesi pare non sappiano usare diversamente che per piantarci mortai Kassam? Come ce lo immaginiamo quest'oggi e questo domani che dovrebbero farci scurdare 'o passato, chi ha avuto ha avuto e chi ha dato ha dato? Stupisce, caro Leonardo, che nel trattare gli effetti tu voglia trascurare le cause: ti facevo persona razionale.

    Correzione n.2: consigli la lettura di un libro, però scritto da un israeliano, che dovrebbe dimostrarci cosa? Qualsiasi cosa voglia dimostrare, c'è Ettore Gongaza che consiglia di andare in Israele per vedere come sono trattati i cittadini di origine palestinese (vedi il suo commento qui sopra). Che abbiamo risolto appellandoci alle nostre rispettive autorevoli fonti che si annullano a vicenda?

    Ripeto anche per te, caro Leonardo: "Dalla Fiat all’Eni, dal Pci alla Chiesa, da Moro a Craxi, attraverso i cento diversi antisemitismi di casa nostra, le simpatie del mondo politico, economico e culturale italiano non potevano che andare ai palestinesi: il petrolio che ci veniva dai paesi arabi, l’antigiudaismo cattolico, il romanticismo di scuola marxista-leninista che ci ha sempre spinto a fare il tifo per chi ci sembrava meglio vestisse i panni dell’oppresso e dell’espropriato, quel tic fascista di vedere in ogni ebreo un sordido riccastro intento a complottare coi massoni per la rovina della Patria... Sì, sono disposto a concederti che può continuare ad essere difficile, in Italia, essere amico di Israele. Ma non ti posso concedere altro".

    Saluti e grazie per l'attenzione.

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  12. @ anonimo
    Tratto la questione israelo-palestinese considerando che la religione è mera sovrastruttura, da un lato e dall'altro. Non faccio risalire le ragioni di Israele all'essere popolo eletto cui Dio abbia promesso quella terra, non faccio risalire le ragioni dei palestinesi alla guerra santa che mira a scacciare ogni infedele dal suolo sacro all'islam: queste sono favolette per reclutare i sacri furori di qua e di là. Nemmeno sono tanto acritico sulla realtà politica e culturale di Israele, ma rispetto all'analogo palestinese non esito a preferire la prima: in Israele è possibile essere ateo e liberale, per esempio. Sono minimalista: tanto mi basta.

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  13. (Causa limite di caratteri, sono costretto a spezzettarmi in tre. Chiedo venia).

    Nel tuo post e nelle risposte a Leonardo mi appaiono evidenti alcuni errori logici e storici; errori di ben diversa specie rispetto a quelli che vorrebbero farti notare altri.
    Comincio con il dire, sebbene dovrebbe essere superfluo, che per me Israele ha diritto di esistere e che non sono mai stato filopalestinese (1, 2, 3, i primi che ho trovato, un po' rabberciati dalla fretta di rispondere, e ridotti a una discussione sulla guerra di Gaza; ma potrei andare avanti giorni).
    Uno dei primi errori che commetti (comprensibile, da un punto di vista esclusivamente numerico; assurdo, da quello intellettuale) è proprio ridurre chiunque non la pensi come te ad un burattino animato, indirettamente o attraverso un paio di fili che gli sbucano dal culo, da frammenti ideologici schizzati dal fascismo, dal razzismo, dall'antigiudaismo cristiano.
    E' un artificio retorico e provocatorio, ma sia pure: è il minore dei problemi, spesso ne fai uso (e quando non mi sento punto sul vivo, ne godo), e perlomeno mi hai spronato a risponderti, anziché passare oltre.

    1) Mi sembra che Leonardo muova un punto fondamentale, quando spiega il tuo primo errore. Ti contesta la risalita al peccato originale, e tu gli rispondi spostando il problema a chi continua a risalirvi (gli attori in conflitto) e non agisce nell'oggi. Il nuovo piano di risposta diventano le conseguenze della volontà di distruzione, non le cause prime. E qui, dunque, l'errore raddoppia:

    1a) tu non stai combattendo, non sei parte in conflitto. Dovresti perciò essere sufficientemente lucido da ricordare che i problemi dei palestinesi sono iniziati almeno dalla fine degli anni Dieci, e che le prime rivolte degli arabi di Palestina datano dai Venti e i Trenta e sono spiegabili da una parte con il contesto di generale sollevamento delle popolazioni arabe in Arabia, Egitto, Giordania; dall'altra con l'accelerazione della colonizzazione israeliana. Un osservatore dovrebbe decretare l'impossibilità di stabilire quando tutto sia iniziato, mentre tu arrivi a sostenere che solo l'attacco combinato degli stati arabi nel 1948 fu scintilla equiparabile al peccato originale (e si vorrebbe sapere, qui, chi si merita l'appellativo di 'cattolico'). Smentendoti appena sopra, quando sostieni che i palestinesi furono sempre oggetto e non soggetto della politica internazionale - e di certo così fu, almeno, nel '48 -, in un rapido trasferimento di colpa: dagli stati arabi che premono su Israele, lo minacciano, lo attaccano; direttamente ai palestinesi.
    Come dice Leonardo le cause originarie, specialmente in un conflitto di lunga data, non esistono.

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  14. 1b) nel merito delle azioni di israeliani e palestinesi nell'oggi, emerge chiaramente una tua nuova faziosità. Ascrivi ai palestinesi tutto ciò che è di Hamas, di Hizbullah, di al Qaida (?). Se non si rompe con tali soggetti, una pace non potrà mai giungere. E sebbene sia perfettamente disposto a concederti, poiché è lapalissiano, che i soggetti estremisti siano il principale ostacolo alla risoluzione del conflitto, non è affatto vero che la maggioranza dei palestinesi sia animata da sentimenti che coincidono con la Carta costitutiva dell'organizzazione. Nello specifico, non è affatto vero che vogliano la completa distruzione dello stato di Israele. D'altra parte tu non citi chi preferirebbe la cacciata del popolo palestinese, o eventualmente la sua riduzione al silenzio all'interno di una Grande Israele. Il differenziale di potere politico posseduto dal sionismo revisionista, da una parte, e da Hamas dall'altra è scusante solo parziale di questa volontaria dimenticanza, poiché in molti potrebbero spiegarti che il consenso di cui gode Hamas non si spiega unicamente con il contenuto della sua dottrina, e che anzi questo deriva sia dal capillare, odioso indottrinamento da parte di un'organizzazione che, purtroppo, è uno dei pochi enti a fornire istruzione, sia proprio dai servizi (istruzione, ospedali, protezione armata) che Hamas, ben prima di prendere il potere nella Striscia, era l'unica a offrire.
    Quando invece ti rivolgi ad Israele, ne giustifichi qualsiasi infrazione del diritto, anche sancita e certificata dall'interno dello stato israeliano, citando a favore delle infrazioni solo le conseguenze positive di queste. Accanto all'utilità del muro, allora, comincia con il considerare che il suo tracciato non risponda ai due più elementari principi di equità: a) costruirlo in corrispondenza del confine post-1967 tra Israele e Cisgiordania, e non più avanti di chilometri, per annettersi tacitamente territori e popolazioni, in attesa che una nuova conferenza ratifichi il fatto compiuto; e b) costruirlo garantendo alle popolazioni per le quali quel muro è causa diretta di vessazioni (perché gli devono abbattere la casa, perché il loro paese diventerà una Berlino in miniatura, o perché i trasferimenti di acqua, cibo e corrente elettrica si faranno più complicati) il massimo impegno per trovare sistemazioni alternative. Nessuno dei due basilari principi è stato seguito.
    Inoltre, ancora: la sacrosanta garanzia della sicurezza dei confini israeliani, anche con la costruzione di un muro, non sembra aver diminuito le insicurezze dei suoi governanti. In Israele, il terrorismo è drasticamente diminuito: i passi avanti verso una risoluzione pacifica del conflitto sono paradossalmente diminuiti.
    Di nuovo la situazione si complica e sfuma, dimostrando che un ragionamento consequenziale che si basi su logica e storia è generalmente impossibile, e che il tuo in particolare è minato da parecchie semplificazioni. Curiosamente, ogni semplificazione è modellata attorno al gioco delle argomentazioni a favore di Israele; ogni riduzione va a detrimento di quelle palestinesi.

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  15. 2) "Essere amico di Israele". Non è vero, e lo sai meglio di me, che solo in Italia sia difficile essere amico di Israele: è così in quasi tutta l'Europa continentale. Le cause ideologiche e strategiche che citi sono interessanti e, come al solito, virate verso l'insulto. La dipendenza energetica, il marxismo militante, l'ideale del popolo oppresso: in tutti questi casi, politici e uomini della strada si ritrovavano e si ritrovano concordi nella difesa dei palestinesi.
    La risposta non deve essere una reazione opposta, però. Se incontro un filopalestinese, sta' tranquillo che ci discuterò ore, e che probabilmente, preso dalla foga del dialogo, prenderò posizioni anche troppo filoisraeliane. Da ciò non discende che nel mio giudizio privato io abbia scelto la difesa a oltranza di una parte nel conflitto: discende soltanto che preferisco bilanciare le opinioni estremiste, piuttosto che aggiungere benzina sul fuoco. Un sionista incazzato non meriterebbe trattamento diverso, dovesse passarmi sotto il naso.
    Non eri tu, quello dell'invettiva contro il gioco del calcio, e il tifo? Il tuo comportamento, quello che mostri sul blog ogniqualvolta Israele è attaccata da un punto di vista politico, è precisamente quello di un tifoso, sebbene un tifoso che procede con il dialogo piuttosto che con gli insulti (in genere, ma come ti facevo non mancano gli sfottò). Sei una persona che si getta nella mischia prendendo sin da principio una parte ben precisa. La giustifichi con qualche artificio logico, che ai miei occhi è più che frammentario, quando non proprio assente. Ma, a prescindere, chiudi gli occhi sul caso concreto e riconduci qualunque considerazione a quella causa prima, iniziale: il tifo. La Mavi Marmara? Legittima difesa, poche ciance, e filopalestinese chi cerca di mettere in luce tutti gli errori tattici dell'abbordaggio, quelli politico-strategici su tempi e modi dell'azione, e i controversi nodi giuridico-politici di un blocco navale. Tutti stronzi, fanno male alla causa.
    No, per me non è così che si comporta un amico di Israele. Ma il problema è addirittura precedente: essere amico, con tutta quella logica di schieramento forse non in armi (ma spiegalo a Carl Schmitt), ma certo pregiudiziale, è il peggior torto che si possa fare alla causa della riduzione a lungo termine della violenza. Significa aver metabolizzato, nel più surrettizio dei processi nazionalistici e familistici, qualche spunto che collega una terra a delle rivendicazioni, e dei soggetti a dei privilegi giuridici per il solo fatto di essere persone che ci stanno amiche. E, infine, protegge tali sproporzioni sinché proverranno da amici.

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  16. la religione è sempre bistrattata come sovrastruttura

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  17. Fatto. Qui: http://aubreymcfato.wordpress.com/2010/08/24/corrispondenze/.

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  18. qubrick, pur essendo io un "ottuso filopalestinese", esprimo tutto il mio rispetto per i tuoi commenti! è bello leggere due menti come te e malvino.

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  19. @ qubrick

    Riduco chiunque non la pensi come me a prodotto del milieu? Discutiamo innanzitutto se il milieu è quello. A me pare di sì: l'Italia è sempre stata filopalestinese, intere generazioni di democristiani, comunisti, socialisti, missini, ecc. sono stati filopalestinesi. Quale posizione ha maggiore probabilità di essere condizionata dal milieu? Ad Andrea e a Leonardo ho solo rammentato e concesso che la posizione filopalestinese è forte di ragioni ulteriori: nessun artificio retorico in ciò, ma solo l'invito a fare sgombro il campo da queste ulteriorità.

    Di poi, mi rimproveri di andare alla ricerca di una causa prima del conflitto. Perché? Perché "le cause originarie, specialmente in un conflitto di lunga data, non esistono". Ma poi riesci a trovarne una "più originaria" di quella che individuo io (gli anni '30, anzi '20, anzi '10). La contraddizione mi pare che stia nel correggermi l'errore di andare troppo indietro col suggerimento di andare ancora più indietro: nella fattispecie, a quando il tanto odiato Stato di Israele neppure esisteva. Devo supporre che l'odio verso Israele sia una ragionevole reazione alle sopraffazioni che i palestinesi hanno subìto da turchi e inglesi? Se il conflitto è tra i palestinesi e lo Stato di Israele (i kamikaze palestinesi vanno a farsi esplodere a Tel Aviv, non ad Ankara o a Londra), mi sembra scorretto trovare "cause originarie" antecedenti alla fondazione dello Stato di Israele, e l'attacco sferrato da Egitto, Siria, Iraq, Libano e Transgiordania il 15 maggio 1948 ai danni dell'appena fondato Stato di Israele (in nome e per conto della causa palestinese) mi pare sia una decente "causa originaria". Perdurando il dichiarato fine di distruggere lo Stato di Israele da parte di Hamas (prima, da parte di Al Fatah) e degli attuali "amici dei palestinesi" mi pare che quella "causa originaria" abbia motivo di essere richiamata come "causa" e come "originaria", in quanto legittima la difesa e l'eccesso di difesa da parte degli israeliani. Voglio dire: se hai intenzione di annientarmi e la dichiari ragione ultima del tuo esistere, la tua stessa esistenza diventa una minaccia dalla quale ho diritto di difendermi, e diventa assai difficile cogliermi in eccesso di legittima difesa.

    [segue]

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  20. Mi dici: "Ascrivi ai palestinesi tutto ciò che è di Hamas, di Hizbullah, di al Qaida (?)". (Quel punto interrogativo è superfluo: ci sono prove delle infiltrazioni di al Qaida in Palestina, peraltro ben motivate dall'antecedente "terreno" di seppur ancora vaga matrice jihadista [per dire: "Al Fatah" letteralmente significa "vittoria con lotta santa", e Al Fatah nacque nel 1959, ben prima che nascesse al Qaida, ma dopo la nascista dei Fratelli musulmani]). E aggiungi: "Non è affatto vero che la maggioranza dei palestinesi sia animata da sentimenti che coincidono con la Carta costitutiva [di Hamas]". Ma io non l'ho mai detto (e qui mi pare che tu mi attribuisca in modo strumentale una posizione che ti è più facile contestare, ma che ha il piccolo difetto di non essere la mia), anzi, già che ci troviamo, colgo l'occasione per dire: non è affatto vero che la maggioranza degli israeliani sia animata da sentimenti che coincidono con le peggiori intenzioni del peggiore integralismo ebraico. Pari e patta, proseguiamo.

    [segue]

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  21. Per tutta la seconda parte del tuo (1b), vale quanto sopra e sopra ancora, qui in combinato disposto: Israele certamente esagera talvolta, ma il suo esagerare è ben spiegabile se non giustificabile sul piano morale o legittimo sul piano del diritto internazionale. Il fatto è che in guerra non si può rimproverare al proprio nemico di essere più forte o più cattivo. La guerra - come si dice - è guerra: sporca, crudele, costosa, ecc.
    Sul punto (2) dovrei difendermi dall'accusa di avere passioni e simpatie. Non ho mai detto di esserne immune, ma di non riuscire ad attivarle dinanzi a due squadre di calcio in campo: di fronte a due popoli che mettono in gioco la vita o la morte non ci riesco, e scelgo. Quando a questa scelta do il nome di "amicizia", non mi muovo nella logica schmittiana del nemico-amico: se mi consenti una puntina della vanità intellettuale di cui hai qui dato prova, anch'io so criticare Israele quando discuto con un israeliano. Diciamo che mi piace opporre oltranza a oltranza.

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  22. io sono un'egoista banale e scientista: penso solo che per una donna o un gay sia meglio nascere in Isreale piuttosto che in Iran o in Palestina.
    Qualcosa può voler dire.
    klingsor

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  23. Discutiamo innanzitutto se il milieu è quello. A me pare di sì: l'Italia è sempre stata filopalestinese, intere generazioni di democristiani, comunisti, socialisti, missini, ecc. sono stati filopalestinesi.

    D'accordo, ma ammesso che Leonardo sia filopalestinese per milieu, potrei rinfacciarti che tu sei filoisraeliano per senso di colpa – cosa che, tengo a precisarlo, non credo affatto. Non mi pare si sia fatto un passo avanti, né uno indietro, ma solo un piccolo balzo laterale.


    Perché "le cause originarie, specialmente in un conflitto di lunga data, non esistono". Ma poi riesci a trovarne una "più originaria" di quella che individuo io (gli anni '30, anzi '20, anzi '10).

    Non è così: citando tre periodi - e non atti, che tra Dichiarazioni, Libri bianchi e Misure d'emergenza non si finirebbe più; né date specifiche di rivolte o sollevazioni - ho indicato altrettanta incertezza.
    Il conflitto israelo-palestinese è nato, per circoscrivere almeno la storia in una nube probabilistica più ristretta, in qualche punto del tempo tra il 1919 e il 1948, incubava già almeno dal 1870, e qualunque identificazione di date e atti in questo caso mi pare sempre discutibile. Ci furono successioni definibili di punti di rottura, è vero: ma quale di queste sia la causa originaria del conflitto, quale la colpa più grave, e se poi appartenga davvero agli attori che si danno battaglia o non fosse altrimenti dovuta a potenze esterne, è anche questo materia di discussione.
    Inoltre non propongo di rintracciare cause originarie del conflitto, bensì di smetterla di cercarle: in questo la mia posizione, ti dicevo, coincide con quella di Leonardo. Se guardo 'ancora più indietro' è perché tu hai indicato il 1948 (la scelta indubbiamente migliore, tra tutte quelle che invece guardano avanti, perché corrisponde alla nascita formale di uno stato fuori tutela). Ma, dacché il terrorismo dinamitardo non nasce insieme alla guerriglia nel 1948 e diventa endemico solo nei tardi anni Settanta, e poiché invece il terrorismo suicida prende le mosse solo dalla guerra in Libano e poi si trapianta nei Novanta e raggiunge un picco in Israele, e poiché infine il movimento di resistenza fu molto più frammentato e controverso di quanto vorresti fare intendere sottolineando che i palestinesi volessero l'eliminazione dello stato di Israele, è certo che non si possa negare a chi voglia trovare nuove 'cause originarie' la possibilità di muovere ben più avanti rispetto al '48.
    Il problema è uno solo, ed è poi duplice: tentare di identificare una 'causa originaria' è un'operazione storicamente capziosa, in questo come in moltissimi altri casi, e pragmaticamente controproducente. Ciò non ti impedisce di fare un calcolo delle colpe complessive, ad esempio - ma certo senza identificarne una sola, e scartare le altre. E, una volta stilato il tuo sommario elenco, seguendo la metodologia che più ti convince (e assicurandoti che non sia anche quella che già più ti conviene), avrai stabilito una gerarchia inapplicabile alle dinamiche di oggi, ammesso che non serva a instillare nuovo odio. Tzvetan Todorov, anticomunista per eccellenza, non ha fatto che riscrivere ciò che moltissimi altri già avevano detto (a me piace ricordare il geniale István Bibó di “Miseria dei piccoli stati dell’Europa orientale”), delle storture dei tentativi di rievocare le cause primigenie dei conflitti aperti, e dell’inevitabilità del regressus ad infinitum. Per dirne un paio, è la solita storia: Kaliningrad dovrebbe essere Königsberg, Królewiec o Karaliaučius? Leopoli, L'viv o L'vov?

    (1 - cont.)

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  24. se hai intenzione di annientarmi e la dichiari ragione ultima del tuo esistere, la tua stessa esistenza diventa una minaccia dalla quale ho diritto di difendermi, e diventa assai difficile cogliermi in eccesso di legittima difesa

    Qui ci siamo, e siamo concordi: illustri perfettamente e in poche parole i motivi della percezione di insicurezza di Israele, e l'insopportabile radicalismo della causa palestinese.
    Questo prova che Israele ha diritto di esistere e di difendersi, e che la strategia politica di Fatah sotto Arafat prima, di Hamas poi, è odiosa, perché la minaccia all'esistenza - ovviamente inapplicabile e soltanto declamata almeno dal 1975, dalle trattative di pace dell'Egitto che porteranno a Camp David, vista la totale sproporzione delle forze - pendeva sul capo di Israele in qualunque contesto negoziale [a questo punto, però, mi chiedo: perché non fare la stessa distinzione tra dichiarazione del dogma e sua applicazione nel mondo che operi tu nel caso dell'infallibilità papale? Gli attentati suicidi ribadiscono l'intento di sradicare Israele e fare brandelli di tutti i suoi abitanti, ebrei e gentili e persino musulmani conniventi, ma oggi sono punteggiature sempre meno frequenti -- il che non equivale certo a dire che Hamas si sia fatta più cortese, così come neppure la Chiesa, se avesse riacquistato parte del suo potere temporale e fosse, a tutt'oggi, un po' più potente [ma non troppo], probabilmente si servirebbe di nuovo del grimaldello dell'infallibilità; però serve a ricontestualizzare tale minaccia, per fare i conti con quella che proprio qui sopra è la tua semi-negazione di proporzionalità in guerra --; ma sto divagando].
    Dicevo: parli di minaccia, del diritto ad Israele di difendersi e dello spostamento dell'asticella dell’intensità della risposta che può essere ascritta a legittima difesa: benissimo, sono cose che condivido in pieno con te. Ma cosa c'entrano con l'identificazione di un colpevole, e soprattutto con lo sgravio delle colpe da Israele? Il nostro schieramento è una tendenza ideale: anch'io preferisco uno stato in cui gli organi di stampa hanno il diritto di criticare fortemente il governo in carica, e lo esercitano, e dove vi sono meno limiti a tutte le libertà personali, civili e politiche. Ma identificare una causa originaria ti tramuta da sostenitore della libertà a parte in conflitto assoluta (dal punto di vista pratico), nonché, e torno a ribadirlo, ti fa scadere in quella rincorsa al punto originario che è davvero più vicina ai teologi che agli storici, più al positivismo che al relativismo: e non dirmi che sogni un liberalismo da Ottocento.
    La precaria soluzione che adotto è quella di criticare Israele quando fa stronzate, e continuare nella ferrea critica della condotta di Hamas, senza dare per assodato che vi sia perennemente un colpevole, né che Hamas resterà sempre sulle sue posizioni. La situazione può mutare in qualsiasi momento, e allora si deve essere pronti a riaprire la trattativa; se torna a peggiorare, la si critica o la si tronca. Hamas non sarà per sempre un nemico assoluto, ai palestinesi è difficile e superfluo attribuire una colpa. E esprimere una preferenza, oggi, mi sembra non soltanto legittimo ma inevitabile (io preferisco Israele); trarre conclusioni unilaterali da quella preferenza è, invece, il peggior errore che si possa compiere.

    (2 - cont.)

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  25. Il fatto è che in guerra non si può rimproverare al proprio nemico di essere più forte o più cattivo. La guerra - come si dice - è guerra: sporca, crudele, costosa, ecc.

    E lo dici a me, che sono rimproverato da più parti di essere uno sporco realista? Ma, da una parte, quella che si combatte in Palestina non è sempre guerra. La costruzione di un muro fa parte di un'operazione bellica difensiva? E se anche così fosse, è giustificato – da un punto di vista del mero realismo politico – distruggere parte del processo di pace erigendolo oltre confini che entrambe le parti in conflitto ritengono già di per loro insufficienti, ma l'unica base per procedere a ulteriori trattative? D'altra parte, qualunque realista sa alla perfezione che non vi è guerra senza diplomazia, e dunque senza l'esercizio il più razionale possibile dei mezzi bellici, e l'impiego il più limitato possibile della propria superiorità (il che non equivale a dire che Hamas nel 2009 non andasse annientata, sradicata, menomata tramite una - poi fallita - invasione di terra; ma che nessun tentativo è stato fatto per identificare e poi coinvolgere i soggetti moderati del proprio avversario – come se davvero Hamas fosse un corpo unico, monolitico, quasi trascendente).
    Passare dalla preferenza per Israele alla sua aperta difesa quando fa cazzate, alla giustificazione dei peggiori errori di Israele perché, sì, lo preferiamo, è a mio parere un errore madornale, e fa involontariamente il gioco di chi, insoddisfatto, preferisce che il conflitto prosegua. Forse, in questo caso, l'unica differenza tra me e te è il punto dove fissiamo l'asticella. Secondo me la tua va troppo oltre, e il tuo ragionamento non riesce a frenare una guerra che, da 'assoluta' per le parti in conflitto, deve essere il più possibile, e sempre, ricondotta nei limiti della relatività e del doppio binario politico-diplomatico.

    [ho mancato di ringraziarti per la lunga e articolata risposta. Lo faccio adesso].

    (3 - fine)

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  26. Mi astengo sul merito perché mi sembra che la discussione sia già sufficientemente articolata e vi contribuiscano persone più degne di lettura di quanto non lo sia io.

    Un appunto, però, sento di doverlo fare.

    >> il suo esagerare è ben spiegabile se non
    >> giustificabile sul piano morale o
    >> legittimo sul piano del diritto internazionale.

    Tralascio la 'spiegabilità' e anche la 'moralità', perché è evidente che ognuno ha i propri criteri per determinare il significato di tali canoni. La 'legittimità sul piano del diritto internazionale', invece, è questione meno opinabile. Spiace dirlo, ma molto spesso Israele ne è drammaticamente al di fuori. Il fatto che nel mondo sia in buona compagnia non aggiunge certo legittimità ad ogni singola violazione.

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  27. In guerra, esprimere un giudizio, e pertanto schierarsi da una parte o dall'altra in seguito a considerazioni razionali, è difficile per due ordini di motivi: in primo luogo perché le considerazioni morali sono difficilmente districabili da quelle pragmatiche; infatti, dal momento che meno dura una guerra meglio è, per cui ogni impiego soverchiante della forza, in quanto accelera la fine del conflitto, è allo stesso tempo giusto e utile, ma implica un sovrappiù di distruzione che può essere inaccettabile dal punto di vista etico e persino da quello tattico. In secondo luogo, perché i giudizi sulla guerra, come ha ben argomentato Micahel Walzer, anche quando si vogliano puramente morali, devono necessariamente distinguere tra ius ante bellum, in bello e post bellum. Ad esempio, è chiaro che durante la Seconda Guerra Mondiale gli alleati fossero dalla parte giusta e che ogni sforzo fosse giustificabile di fronte alla minaccia di asservimento o sterminio per intere popolazioni; d'altra parte, alcune azioni sistematicamente intraprese dagli alleati (i bombardamenti delle città tedesche e giapponesi da parte angloamericana, le vessazioni della popolazione tedesca e dei prigionieri di guerra da parte sovietica) siano state ingiustificabili crimini di guerra.
    Nel caso del conflitto israelo-palestinese, mi pare che vi si commettano spesso diversi errori di giudizio, indipendentemente da qualsiasi altra considerazione. In primo luogo, i torti e le ragioni vengono attribuiti in modo sproporzionato sulla base di un evento originario, messo a nudo il quale ci si possa schierare in modo definitivo. Al di là del fatto che non si tratta di una ricerca neutrale ma di poco più che di una petizione di principio, il problema strutturale è l’inadeguatezza di questo approccio, che finisce per perdere di vista il quadro generale, in cui più che le cause iniziali contano le finalità effettivamente perseguite. Per tornare al caso classico della Seconda Guerra Mondiale, a definire il regime nazista come nemico dell’umanità stessa non è stata l’illegittimità dell’invasione della Polonia, quanto la sua politica razziale e genocida; ciò vale anche al di là delle specifiche intenzioni dei belligeranti, che almeno in un primo momento si erano mobilitati per ragioni di alleanza e non per difendere gli ebrei di Varsavia, di cui, in tutta franchezza, non sembra che a Churchill importasse poi molto.
    (segue)

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  28. Il secondo errore di impostazione riguarda la mancata distinzione degli aspetti ante bellum e in bello, vale a dire la bontà delle ragioni con cui israeliani e palestinesi sostengono la loro causa rispetto alle modalità con cui conducono il conflitto. Chiunque sostenga la causa israeliana non può che condannare la complicità nelle stragi di Sabra e Chatila, così come qualsiasi filo palestinese dotato di un minimo di razionalità non può che rifiutare i massacri di civili israeliani, con attentati suicidi o altri mezzi; sembra però che tutto il gioco sia nel trovare giustificazioni per la propria parte, come se fosse inconcepibile che la parte giusta possa commettere dei crimini ingiustificabili, quando la storia mostra una messe sterminata di esempi contrari.
    Certo, il problema sta tutto nel decidere se la somma dei crimini prodotta dalla parte che si riconosce come giusta si bilanci con quelli degli altri e quando essa possa essere tale da inficiare le ragioni iniziali. In ogni caso, dirimente non è tanto chi avesse ragione in un dato momento del passato, ma quale configurazione ci si potrebbe aspettare in caso di vittoria totale di una delle due parti, e quali obiettivi vengono concretamente perseguiti, sia nella condotta della guerra, sia nella definizione della vittoria.
    Con questo tipo di approccio, l’esame dei fatti per come li conosco mi mette indubbiamente dalla parte di Israele, ma ciò non impedisce che possa riscontrarne gli errori tattici (la maniera dilettantesca con cui è avvenuto l’abbordaggio alla Mavi Marmara e la conseguente strage evitabile), le violazioni più o meno occasionali e non adeguatamente investigate e punite (vessazioni verso la popolazione palestinese e in particolare di quella di Gaza), i veri e propri crimini (la citata acquiescenza verso i falangisti libanesi a Sabra e Chatila), le politiche non condivisibili (la colonizzazione sistematica di territori palestinesi da parte dei gruppi più sgradevoli della popolazione israeliana).
    (fine)

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  29. @ qubrick

    Può darsi - dico: può darsi - che in questa e in altre occasioni io abbia dato l'impressione di dare tutte le ragioni a Israele e tutti i torti ai palestinesi: me ne assumo la responsabilità, devo essermi fatto prendere la mano. Se posso correggere questa impressione e farla collimare meglio al vero, riconosco i torti di Israele nella sua forza e nella sua determinazione, che talvolta si compiace di portare fino alla spietatezza. D'altro canto, riconosco le ragioni dei palestinesi nella loro frustrazione e nella loro cocciutaggine, che fin troppo spesso si compiaccioni di portare fino alla disperazione.
    Sui punti nodali del nostro scambio - se sia conveniente o no risalire ad una causa originaria del conflitto, se sia legittimo che una preferenza generi unilateralità di giudizio in una posizione che è inevitabilmente (anche) passionale - rimango fermo: diciamo che non ho indole da casco blu.

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  30. (continuando, ma) @ urzidil

    "In guerra, esprimere un giudizio, e pertanto schierarsi da una parte o dall'altra in seguito a considerazioni razionali, [sarà] difficile", ma non impossibile. Quando la II guerra mondiale è finita, è facile dire che a Hiroshima si è consumato un crimine umanitario; mentre è in corso, è più difficile. Ma in questo - vedo - c'è una certa qual concordanza di vedute, mi pare. Il fatto è - e l'ho detto in uno dei commenti precedenti - che mettermi nei panni del peggior israeliano mi è più facile che mettermi nei panni del peggior palestinese.

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  31. "mettermi nei panni del peggior israeliano mi è più facile che mettermi nei panni del peggior palestinese"

    per me è questo "doversi mettere nei panni di qualcuno" a fregarti.
    bobo

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