Giorgio Pressburger (Avvenire, 4.8.2010) ci ricorda che “Kafka, in punto di morte, aveva chiesto al suo amico Max Brod, praghese come lui, di bruciare il manoscritto [de Il processo], insieme a tutte le altre opere rimaste inedite” e che “l’amico non l’ha ascoltato”; e si chiede: “È giusto agire come ha fatto Brod? È giusto contravvenire alla volontà di un amico per salvare la sua opera?”. Il quesito mi rimanda allo scambio avuto nei giorni con Luca Massaro sulla scrittura pubblica e su quella privata, e lo risolvo contestando il modo in cui è posto: la questione non è se sia “giusto” o no, ma se la scrittura privata appartenga ancora a chi l’ha prodotta dopo la sua morte. Privato della possibilità di doverne dar conto in relazione al piacere o al dispiacere che la sua scrittura ha provocato e dunque nella impossibilità di essere condizionato per la scrittura a venire, il torto di Brod rimane, ma la libertà di Kafka rimane intatta. Per sempre. E dunque quello che leggiamo di Kafka è totalmente libero e totalmente suo. Più di quanto lo sia per chiunque altro pubblichi in vita.
Sembrerà un elogio della pubblicazione postuma, e probabilmente lo è, ma il fatto è che praticamente impossibile essere postumi in vita.
W La Palisse!
RispondiEliminaPrima di Kafka, Virgilio.
RispondiEliminaMa qualcosa può appartenere a uno che è morto? O: uno che è morto, può possedere qualcosa?
RispondiEliminaCiò detto, bisognerà pur fare una distinzione: Brod ha "salvato" sia manoscritti di opere concepite nella speranza e con l'intenzione di prima o poi pubblicarle ("Il processo", ad esempio), sia manoscritti effettivamente privati (diari eccetera).
O questa distinzione è irrilevante?
'... ma il fatto è che praticamente impossibile essere postumi in vita'
RispondiEliminaA meno di non chiamarsi Musil...
"Nel momento in cui l'uomo si rende conto del fatto che tutto è nel tempo, e che morirà, nasce lo spirito, che è consapevolezza della caducità di ogni cosa. La sua vita è morte differita, ma la morte è anche vita differente, ciò che resta dopo che l'uomo è defunto come natura e sopravvive come istituzione e storia, cioè, nei termini di Derrida, come s c r i t t u r a "
RispondiEliminaMaurizio Ferraris, Introduzione a Derrida, Laterza, Bari, 2003(2a- 2005), p 88.
[L'intera Introduzione, che illumina, e che ti consiglio (anche in relazione al dialogo con luca), va letta come prodromo alla Grammatologia di J.D.]
Grazie, Devarim.
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