mercoledì 4 agosto 2010

Postumi in vita

Giorgio Pressburger (Avvenire, 4.8.2010) ci ricorda che “Kafka, in punto di morte, aveva chiesto al suo amico Max Brod, praghese come lui, di bruciare il manoscritto [de Il processo], insieme a tutte le altre opere rimaste inedite” e che “l’amico non l’ha ascoltato”; e si chiede: “È giusto agire come ha fatto Brod? È giusto contravvenire alla volontà di un amico per salvare la sua opera?”. Il quesito mi rimanda allo scambio avuto nei giorni con Luca Massaro sulla scrittura pubblica e su quella privata, e lo risolvo contestando il modo in cui è posto: la questione non è se sia “giusto” o no, ma se la scrittura privata appartenga ancora a chi l’ha prodotta dopo la sua morte. Privato della possibilità di doverne dar conto in relazione al piacere o al dispiacere che la sua scrittura ha provocato e dunque nella impossibilità di essere condizionato per la scrittura a venire, il torto di Brod rimane, ma la libertà di Kafka rimane intatta. Per sempre. E dunque quello che leggiamo di Kafka è totalmente libero e totalmente suo. Più di quanto lo sia per chiunque altro pubblichi in vita.
Sembrerà un elogio della pubblicazione postuma, e probabilmente lo è, ma il fatto è che praticamente impossibile essere postumi in vita. 

6 commenti:

  1. Ma qualcosa può appartenere a uno che è morto? O: uno che è morto, può possedere qualcosa?

    Ciò detto, bisognerà pur fare una distinzione: Brod ha "salvato" sia manoscritti di opere concepite nella speranza e con l'intenzione di prima o poi pubblicarle ("Il processo", ad esempio), sia manoscritti effettivamente privati (diari eccetera).

    O questa distinzione è irrilevante?

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  2. '... ma il fatto è che praticamente impossibile essere postumi in vita'
    A meno di non chiamarsi Musil...

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  3. "Nel momento in cui l'uomo si rende conto del fatto che tutto è nel tempo, e che morirà, nasce lo spirito, che è consapevolezza della caducità di ogni cosa. La sua vita è morte differita, ma la morte è anche vita differente, ciò che resta dopo che l'uomo è defunto come natura e sopravvive come istituzione e storia, cioè, nei termini di Derrida, come s c r i t t u r a "
    Maurizio Ferraris, Introduzione a Derrida, Laterza, Bari, 2003(2a- 2005), p 88.

    [L'intera Introduzione, che illumina, e che ti consiglio (anche in relazione al dialogo con luca), va letta come prodromo alla Grammatologia di J.D.]

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