Abbiamo già visto come per Jeremy Bentham sia impossibile la piena fedeltà alla tradizione senza ricorso al “sofisma di autorità” (qui). Tuttavia è uno dei “sofismi di pericolo” (“il cui contenuto è il pericolo che nelle sue varie forme e il cui fine è di reprimere senz’altro ogni discussione suscitando allarme”) a fare della fedeltà alla tradizione uno strumento di soggezione: “Il sofisma in questione viene usato quasi tutte le volte che sulle persone di chi governa o sul modo in cui si governa vien pronunciata un’espressione che implica condanna o censura: il sofisma consiste nel fingere di considerare questa condanna o censura, se non intenzionalmente certo tendenzialmente, gravida di pericoli per il governo stesso («opponendovi a chi governa, vi opponete al governo stesso»). […] Di fatto questo sofisma non è se non un modo d’asserire, con parole diverse, che nessun abuso va riformato e che sulla cattiva condotta d’una persona che ricopra una carica non si deve far motto che possa ispirare un qualche sentimento di disapprovazione”. È il sofisma che lega indissolubilmente, fino a farli coincidere, la carica e la persona che la riveste.
Bentham scrive che la condizione più auspicabile è quella che consente ai governati di ridimensionare chi governa senza che venga suscitato allarme in loro sulle sorti del governo stesso. Certo, “chi accetta una carica pubblica sa bene che si espone a imputazioni, alcune delle quali possono essere ingiuste. […] Nella misura in cui ciò avviene, si verifica effettivamente un male, ma anche in questo caso il male non è mai scevro da un bene che vale a compensarlo: nei funzionari contribuisce ad alimentare l’abitudine a considerare la propria condotta suscettibile di esame e a promuovere nel loro animo quel senso di responsabilità da cui dipende la bontà della condotta e in cui un retto comportamento trova la sua migliore garanzia”, giacché “ogni governo non è altro che un mandato”.
Non è data cogenza del tautologico e dell’autoreferenziale fuori dall’interesse ultimo di una oligarchia che sappia far coincidere nell’abuso il fine e il mezzo di un’istituzione: questo è quanto concludevamo la volta scorsa. Oggi possiamo concludere che un governo realmente democratico è dato solo in un mandato che sia inteso come servizio gravoso e ingrato.
Bellissimo, devo procurarmi anche questo.
RispondiElimina(nota personale: tra un mesetto dovrò aggiornarti: ho fatto qualche passo avanti nello studio della teologia politica, ma ovviamente non ho neppure cominciato a scalfire l'elenco dei titoli che mi avevi propinato la volta scorsa - e per cui torno a ringraziarti)