venerdì 28 gennaio 2011

“Non è un problema di pubblica moralità”


Silvio Berlusconi ha il culo flaccido, si sa, ma Il Foglio fa opera di misericordia e lo intervista sull’imposta patrimoniale che Giuliano Amato ha proposto sul Corriere della Sera dello scorso 22 dicembre, vestendo l’ignudo di uno splendido mutandone liberale, dentro il quale il Cav. può far vanto di glutei estremamente tonici: “Patrimoniale mai. […] Bisogna fare esattamente il contrario: liberalizzare, privatizzare, riformare e incentivare la crescita dell’occupazione qualificata, della spesa per infrastrutture, dell’istruzione e della ricerca, insomma delle occasioni di sviluppo che generano il futuro di un grande paese, e farlo attraverso meccanismi che limitino l’invadenza insopportabile dello stato fiscale”.
È quello che Silvio Berlusconi va dicendo dal 1994, rimandandolo sempre, anzi, facendo sempre l’esatto contrario: nessuna liberalizzazione, per non toccare i monopoli e i privilegi delle corporazioni; privatizzare solo se svendendo agli amici, ai sodali e ai famigli; fanculo ai disoccupati; infrastrutture, sì, prego rivolgersi al comitato di affari che sta all’ombra del governo; tagli all’istruzione e alla ricerca; non un euro di tasse in meno, basta promettere di farlo ogni 3-4 anni. Viene il sospetto che la patrimoniale ci sarà, che non si possa farne a meno – troppo tardi per riformare il sistema economico italiano, forse era già troppo tardi nel 1994, non rimane che raschiare il fondo del bidone – e viene il sospetto che Giulio Tremonti già si stia scervellando per trovarle un nome diverso.
Al momento, però, la natica sembra tornata soda, come sempre quando c’è aria di elezioni: “Se la mia parabola politica ha un senso, questo senso è nell’estendere e tutelare la libertà del cittadino, conferendo alla società e alle famiglie quel peso, quella centralità, quella autonomia e quella libertà economica e civile che la vecchia Italia non è stata capace di dar loro”. Tutto dovrebbe avere realizzazione negli ultimi tre minuti della parabola, perché finora il centrodestra ha esteso e tutelato solo la libertà del cittadino Silvio Berlusconi, che si andava arricchendo mentre società e famiglie si impoverivano.

A favorire tutto questo c’è stato anche Il Foglio, con quella “lunga storia di contiguità e perfino di complicità” che ora, in coda alla parabola, sarà ripensata in “una serie di lettere che alcuni foglianti scriveranno al presidente del Consiglio”, inaugurata da Giuliano Ferrara sullo stesso numero che pubblica l’intervista all’Amor Loro. È qui che si rivela il fine ultimo dell’opera di misericordia: “All’inizio degli anni Novanta, per salvare la sua ghirba e la sua robba, lei ha messo al sicuro un po’ anche noi, i nostri piccoli e grandi interessi, le nostre idiosincrasie umiliate dai gendarmi, le nostre poche virtù e la nostra insofferenza per il cipiglio borioso di borghesi raramente dignitosi, spesso poco coraggiosi e sempre radicalmente bisognosi”. Con lei, amato Cav., è pure Il Foglio a mostrare il culo flaccido: non c’è che lo stesso mutandone per coprire entrambi.
“Non è un problema di pubblica moralità. Nel 1968 ci siamo storicamente liberati del «comune senso del pudore», categoria arcigna e censoria dell’Italia anni Cinquanta, e ne lasciamo volentieri gli avanzi ai pm politicizzati e a quella parte della sinistra azionista, incarognita con la bella Italia alle vongole, che li segue triste e avvilita”. È interessante leggerlo su Il Foglio, che per anni ci ha rifilato interminabili pipponi sulla esiziale crisi di quella morale pubblica che è andata a farsi fottere per colpa del Sessantotto. Neanche lo si poteva nominare, il Sessantotto (si raccomandava la pudica espressione “1967+1”), e adesso Silvio Berlusconi e le sue puttane diventano espressione di una emancipazione dei costumi sessuali. Almeno per oggi, su Il Foglio, non c’è trippa per gatti teocon, e il Sessantotto non è da combattere. Almeno per oggi, “lasciamo volentieri gli avanzi” dell’amato senso del vietato e del peccato, che ha fatto forte l’occidente cristiano, alla sinistra azionista e ai parrucconi togati. Almeno per oggi, al diavolo la lectio ratzingeriana e viva il bunga-bunga.

E allora come la mettiamo? “È una questione politica. Il Sultano è il Sultano. Lei deve difendere pubblicamente, in modo generoso verso tutti gli italiani e anche verso la platea dei suoi amici, il suo comportamento. [...] Deve accettare un contraddittorio televisivo, deve parlare con schiettezza e capacità autoriflessiva della sua vita personale che è finita, in parte grottescamente deformata dal demoniaco meccanismo delle intercettazioni telefoniche, sotto gli occhi, negli orecchi e sulla bocca di tutti. [...] Accetti generosamente una posizione debole, sfidi un D’Avanzo in tv, e vedrà che ne uscirà più forte”.
Ricapitolando: vendiamo il Colosseo, costruiamo il ponte sullo Stretto di Messina, marchionniziamo le dinamiche socio-economiche, mettiamo in primo piano Antonio Martino per far dimenticare Nicole Minetti e così ci sentiamo liberisti; poi, andiamo in tv per fare il pieno di simpatia e complicità di quanti vogliano concedere che concussione e prostituzione minorile siano conquiste del Sessantotto e così ci sentiamo libertari. E quando un D’Avanzo dovesse far presente che fino a ieri il Sessantotto era la causa di tutti i mali che strozzano la società italiana, buttar lì: “Il Sultano è il Sultano”. Come a dire: non per me.

4 commenti:

  1. E comunque, chi nel 94 abbia creduto anche solo un pò a S.B. dovrebbe darsi una controllatina alle valvole.

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  2. Mi sa tanto che questo bisogna andare sollevarlo di peso e buttarlo fuori, perché a come sta attaccato alla sua poltrona di presidente del consiglio non lo stacca nessuno.
    Il peggior presidente del consiglio degli ultimi 150 anni. Ma per quanto lo dobbiamo sopportare ancora? A mio parere è colpa anche di coloro che ci mangiano sopra attraverso preziosi incarichi e guadagni, ecco perché dopo ogni rivoluzione è giusto che paghino anche chi lo ha servito, perché senza, non sarebbe durato tanto. Lui è stato salvato dai suoi, ma la Minetti, Lele Mora e Fede, spero tanto che vedendosi alle strette parlino e dicano la verità. E' l'ultima speranza di un popolo che anche se non è ancora alla canna del gas, poco ci manca.

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  3. Ma che pazienza che hanno alcuni conduttori quando sentono le assurdità che i suoi difensori usano. Secondo Belpietro, la sinistra che non è indagata si dovrebbe dimettere per prima, per far dimettere B. Ma nemmeno nelle barzellette di B se ne sentono di questa portata.

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