Dinanzi a una sconfitta tanto grave occorre innanzitutto evitare di cedere alla tentazione di lasciarsi andare alla rassegnazione o alla rabbia, perché entrambe fiaccano la ragione che qui è chiamata – dicevamo – a uno sforzo titanico.
Nessuna arrendevolezza: ogni sorte può essere ribaltata. Nessuna stizza: è normale che il vincitore esulti, è cosa abbastanza comune che maramaldeggi, è del tutto naturale che questo faccia male a chi ha perso. Ma bisogna iniziare proprio da questo: resistere al piangersi addosso, resistere al vomitare bile. Anzi, è necessario cominciare proprio dal decostruire rassegnazione e rabbia, individuando in esse ciò che le fa irresistibili come tentazione alla fuga dalla realtà, lasciando il campo al libero dilagare del vincitore.
Per far questo bisogna essere spietati con se stessi, imporsi la necessaria sofferenza di un rapido ritorno alla realtà, possibilmente leggeri di ogni zavorra di vittimismo e risentimento. Per farlo non c’è niente di meglio che guardare la propria sconfitta dal suo rovescio, e cioè dal giudizio (implicito o esplicito) che ne dà chi ha vinto. Per far questo bisogna mettere da parte l’istinto.
Prenderò in considerazione solo il Lazio, dove la sconfitta del centrosinistra ha una valenza che si carica di emblematico per le ragioni cui ho accennato nel post precedente, e mi intratterrò solo sui giudizi relativi alla vittoria di Renata Polverini espressi a caldo da chi a vario titolo desiderava che vincesse, con un carotaggio che dalla superficie (gli estemporanei festeggiamenti in Piazza del Popolo) scende lungo gli strati del blocco sociale che la sosteneva.
In Piazza del Popolo si esulta e si parla della vittoria come di un “miracolo”. Il centrodestra non era affatto certo di vincere, solo la Polverini dice di averne sempre avuto la certezza, e rivela che Alemanno disperasse, non diversamente da molti dei suoi più stretti collaboratori. Tutti nel centrodestra laziale disperavano, e proprio per ciò che invece lasciava sperare il centrosinistra: la mancata presentazione della lista del Pdl, l’autorevolezza della sfidante, la percentuale di astenuti, la largamente dimostrata inconsistenza di un voto cattolico univocamente indirizzato, una riconquistata voglia di vincere del centrosinistra. Erano tutti elementi insufficienti a vincere, evidentemente, sicché alla Polverini può scappare una frase notevole: “Nessuno osi più sfidare la gente”.
La “gente”, qui, diventa parte per il tutto: è il centrodestra che se ne sente (e dunque se ne proclama) unico rappresentante, il centrosinistra rappresenterebbe individui, persone, un pezzo della società, ma non la “gente”.
Qui devo rammentare che circa un anno fa ho proposto il termine di “gentismo” per questa particolare forma di populismo che nutre i suoi clientes di una mistificazione ulteriore rispetto a quelle che i populismi offrono alle masse che si prefiggono di sedurre: l’essere in comunione con quella “gente” che ha pieno diritto di dirsi “gente”, contro chi ne usurperebbe il titolo.
Il “gentismo” è populismo + esaltazione del senso comune (dove il senso comune è da intendere come conformismo + buonsenso, e dove il conformismo è fissità di una somma di caratteri identitari + autocompiacimento).
Il blocco sociale che ha da tempo scelto questo centrodestra come sua espressione affonda le sue radici in questo particolare sentimento identitario che è la traduzione di un autocompiacimento che trova sempre modo di spiegare e giustificare chi offre occasioni di orgoglio a chi altrimenti non ne avrebbe. Gli italiani del 2010 hanno bisogno di ragioni autoassolutorie, lenitive, consolatorie, per quanto false e illusorie siano: vogliono un leader che strizzi l’occhio con fare complice, fornendo loro buone ragioni per non disprezzarsi troppo, anzi, di spiegarsi e giustificarsi (se non allo specchio, davanti alle pagine di una storia tutta ancora da scrivere: vogliono illudersi di poterci mettere mano per poter lasciare una parolina buona sui loro vizi).
Oltre il primo strato del campione estratto da un terreno così antropologicamente dissestato, c’è quello che è ben sintetizzato in un breve e derisorio post di Christian Rocca: “Lasciate stare le giustificazioni ridicole, ha vinto Berlusconi”. Dove tutto diventa ridicolo di fronte alla vittoria: chi vince – dicevamo – non ha sempre ragione?
Ancor più nel profondo, quanto è in bella sintesi in un commento lasciato in un post qui sotto da un affezionato lettore di vecchia data, una roba a metà tra un ciellino e un doroteo: “Come godo! Quasi quanto il 13 giugno 2005”. Dove il maramaldeggiare è un evidente scarico della tensione accumulata in attesa del “miracolo”.
Ma su questi due strati del “gentismo” berlusconiamo sarà il caso di parlare a parte: insieme caratterizzano un aspetto rilevante del “miracolo” che porta alla vittoria la “gente”.
[continua]
Mio padre me lo diceva sempre "Non ti mettere mai al tavolo coi bari: perdi sicuramente"
RispondiEliminaPrima perdi perchè loro barano e tu no.
Poi perdi perchè per cercare di vincere cominci a barare anche tu, ma hai a che fare con gente che ha cominciato prima di te a barare e quindi c'ha più esperienza.
I sinistri non c'hanno mai avuto un padre che gli ha detto ste cose.
Oppure, peggio, c'hanno avuto dei padri che gli hanno insegnato ad aver Fede nell'Umanità, che gli hanno insegnato che gli esseri umani non barano e che quelli che barano prima o poi si pentono e non barano più.
La loro tara atavica: la Fede nell'Umanità.
Quando hai a che fare con dei bari quello che devi fare è semplicemente non giocare, oppure iniziare a giocare soltanto dopo aver imposto con la forza il rispetto delle regole.
I sinistri invece si sono messi a giocare coi bari.
Hanno incominciato a perdere.
Poi si sono messi a rubare come gli altri per vincere.
E hanno continuato a perdere perchè gli altri erano più bravi di loro a barare.
In questo modo hanno perso tutto.
Anche la possibilità di rivendicare la loro superiorità morale il giorno dopo aver perso.
Il centro-sinistra dovrebbe smettere di credere nella favoletta di poter portare la società civile nella politica.
RispondiEliminaBerlusconi e i suoi non vincono per i pezzi di società civile che han portato in politica, ma per la loro politica e ideologia che han portato nella società.
Se centro e sinistra non si affrancheranno dalla loro stato-latria e non acquisteranno sostanza e vitalità ( ideologica e pratica, prima ancora che politica ) nella società, continueranno a perdere anche quando vincono.
Il centro-destra propugna un modello di società che offre ai singoli almeno l'ipotesi, o il miraggio, di una vita migliore (secondo i loro canoni), il centro-sinistra ( salvo che nelle cosiddette regioni rosse – e per quanto ancora ? ) offre solo chiacchiere.
La gran parte dei residui elettori di centro-sinistra è un po' come la gran parte dei credenti cattolici: non ci credono veramente, solo hanno bisogno di credere e non sanno in che altro credere.
Ecco: si smetta di credere e si inizi a progettare e costruire: la politica seguirà.
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Certo si potrebbe anche avere un centro-destra meno indecente, ma allo stato delle cose è richiesta persino più pretenziosa. Finché gli piacerà vincere facile grazie a berluscaset, resterà nel pantano in cui si è infilato.
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Le mie scuse a Malvino per la lunghezza, se vorrà cassare anche solo per questo, nulla da obiettare. Dico davvero, non è una captatio benevolentiae.
http://www.youtube.com/watch?v=4mf9-6D2wdg
RispondiEliminati invito a considerare campanilistacamente anche questo caso (chiamatissimo)