domenica 21 marzo 2010

Ha un "sincero dolore", lui


1. La lunga lettera che Benedetto XVI ha scritto ai cattolici d’Irlanda si rivela per ciò che davvero è fin dal quarto dei suoi quattordici paragrafi, dove si legge che l’enorme numero di preti pedofili sia da imputare ad un fraintendimento – l’ennesimo – del Concilio Vaticano II: in pratica, prese piede la cattiva abitudine, “anche da parte di sacerdoti e religiosi, di adottare modi di pensiero e di giudizio delle realtà secolari senza sufficiente riferimento al Vangelo”, con la “tendenza, dettata da una buona intenzione ma errata, a evitare approcci penali nei confronti di situazioni canoniche irregolari”. Siamo dinanzi a un altro tentativo di insabbiare.
L’avevamo già sentita dal cardinal Ruini, che appena tre giorni prima imputava “queste deviazioni legate alla sessualità” alla “tanto conclamata «liberazione sessuale»”: come l’intera società, anche la Chiesa ne era stata fatta vittima, e poco ci mancava che Sua Eminenza ne chiedesse risarcimento, forse trattenuto dal non saperlo quantificare.
Anche Benedetto XVI, dunque, sceglie di “difendersi contrattaccando”, come consigliava Giuliano Ferrara: la Chiesa è innocente, e per ciò di cui sono colpevoli i suoi membri la colpa è declinata ai tempi. Come se i preti avessero cominciato a compiere abusi sessuali su minori solo dal Concilio Vaticano II in poi. Come se schifezze come quelle venute alla luce negli ultimi anni negli Stati Uniti, in Irlanda, in Germania, in Italia e un po’ dappertutto non siano sempre state compiute dai preti.
In realtà, il ruolo di educatore che il prete ha esercitato per secoli in pressoché esclusivo monopolio è stato considerato sempre dai pedofili un’ottima copertura, al punto che pulsione pedofila e vocazione al sacerdozio sono state spesso inestricabili. È che non sappiamo esattamente in quale misura lo fossero prima di adesso, e adesso sappiamo che in moltissimi paesi almeno il 5% dei preti ha commesso abusi sessuali su minori (cifre confermate dalla Santa Sede), mentre fuori dalla Chiesa la percentuale scende a 1 caso su 2000.
Ma questo quarto paragrafo della lettera di Benedetto XVI non irrita solo per questo. Nel passare in rassegna “i molti elementi che diedero origine alla presente crisi” – crisi di valori che dalla società si è diffusa al clero – Sua Santità cita “procedure inadeguate per determinare l’idoneità dei candidati al sacerdozio e alla vita religiosa”, una “insufficiente formazione umana, morale, intellettuale e spirituale nei seminari e nei noviziati” e “una tendenza nella società a favorire il clero”, con “una preoccupazione fuori luogo per il buon nome della Chiesa”, che non si capisce come possano essere imputate ai laici senza insultare la logica prima che mistificare la storia. Ed è superfluo dire che ci vuole una gran faccia di culo per rinfacciare alla società il fatto che il clero abbia goduto dei privilegi per potersi sottrarre tanto spesso alla giustizia civile, perché a parlare è il cardinal Joseph Ratzinger che se ne è sottratto solo grazie all’elezione al Soglio Pontificio, scansando l’imputazione in complicità mossagli da una corte di giustizia degli Stati Uniti.


2. Non era iniziata male, questa lettera. Almeno non malissimo. “Sincero dolore per il danno arrecato alle vittime e alle loro famiglie”, con piena considerazione (almeno dichiarata) della “gravità di queste colpe” e della “risposta spesso inadeguata a esse riservata da parte delle autorità ecclesiastiche”, con fermo impegno a “riconoscere davanti al Signore e davanti agli altri i gravi peccati commessi contro ragazzi indifesi”. Poi, al punto in cui si deve pagare pegno, viene fuori il solito Joseph Ratzinger di sempre, che propone “uno sforzo concertato per assicurare la protezione dei ragazzi nei confronti di crimini simili in futuro”, nel tentativo di cambiare le carte in tavola: da coimputata la Santa Sede cerca di farsi parte civile.
Sua Santità sa bene di essere coinvolto in prima persona per l’aver continuato, da prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, a raccomandare il “segreto pontificio” sulle cause che avessero a imputati dei preti pedofili dinanzi ai tribunali ecclesiastici, e allora si esercita in una patetica excusatio che gli è petita dai fatti, per chi volesse rinfacciarglieli: “In diverse occasioni sin dalla mia elezione alla Sede di Pietro, ho incontrato vittime di abusi sessuali, così come sono disponibile a fare in futuro...”. In realtà, s’era rifiutato di farlo prima.
Ora, da pontefice, non gli è possibile e “alle vittime di abuso e alle loro famiglie” è costretto a dire: “Avete sofferto tremendamente e io ne sono veramente dispiaciuto”, per subito aggiungere: “So che nulla può cancellare il male che avete sopportato”, come a glissare su ciò che può e deve risarcire il danno. E infatti propone alle vittime di compiere uno sforzo: chiudere un occhio aiutati dall’esempio di Cristo, “egli stesso vittima di ingiustizia e di peccato”. E chi volete che incarni Cristo qui in terra? La Chiesa, “una Chiesa purificata dalla penitenza e rinnovata nella carità pastorale”, ma non alleggerita dai risarcimenti, bitte.
Per meglio marcare la distanza tra preti e preti, prima indistinguibile tra quelli che erano dediti agli abusi sessuali e quelli che abusavano di semplice circonvenzione di incapace a scopo di plagio, Benedetto XVI si lascia andare a parole terribili “ai sacerdoti e ai religiosi che hanno abusato dei ragazzi”, facendo quasi finta di non sapere che, in virtù dell’ordinazione, un prete rimane un alter Christus qualsiasi cosa faccia: “confratelli che hanno tradito una consegna sacra”, i preti pedofili, ma pur sempre “confratelli”, per sempre, in virtù dell’ordinazione; “confratelli” anche quelli che “non hanno affrontato in modo giusto e responsabile le accuse di abuso”, tanto più che obbedivano a ordini superiori, poveracci, e allora come si può affermare che non abbiano affrontato le accuse nel “modo giusto”? Come si può rimproverare ai vescovi irlandesi di aver “mancato, a volte gravemente, nell’applicare le norme del diritto canonico codificate da lungo tempo circa i crimini di abusi di ragazzi”, quando proprio quelle norme raccomandavano loro di insabbiare ogni cosa?


3. Chiacchiere, un’enorme montagna di chiacchiere, in questa lettera. In sostanza, Benedetto XVI cerca solo di scrollarsi di dosso la responsabilità passata (la rete di copertura di cui i preti pedofili potevano godere grazie a disposizioni emanate dalla Congregazione per la Dottrina della Fede) e quella presente (il risarcimento alle vittime di abusi sessuali cui la Santa Sede sarebbe tenuta come responsabile del suo clero).
È vero, la responsabilità penale per ciò che attiene all’abuso sessuale è personale, ma quella relativa alla complicità coi colpevoli e quella civile riguardante il risarcimento del danno come possono essere sollevate dalla Santa Sede? Quale sofisma potrà far diventare un pedofilo qualsiasi, che nulla ha a che fare con la Chiesa di Roma, il prete cui oggi si dovrebbe affidare un proprio figlio in quanto ministro della Chiesa di Roma? Chi ne certifica l’affidabilità, oggi? La risposta è semplice: la stessa Chiesa che gliela negherà dopo che si sarà saputo che era un pedofilo, se si saprà.
È la stessa Chiesa che per voce del suo più alto rappresentante propone alcune risibili “iniziative concrete per affrontare la situazione”: il “digiuno”, la “preghiera”, la “lettura della Sacra Scrittura”, le “opere di misericordia”, “il sacramento della Riconciliazione”, l’“adorazione eucaristica” da parte della Chiesa di Irlanda; per ciò che attiene alla Casa Madre, “una visita apostolica in alcune diocesi dell’Irlanda, come pure in seminari e congregazioni religiose”, per “aiutare la Chiesa locale nel suo cammino di rinnovamento”. Subito? No, non subito, “a suo tempo”.

3 commenti:

  1. Quello che ripugna è che il papa crede di potersela cavare con qualce parolina mielata, dando poi la colpa dei preti pedofili...alla liberalizzazione dei costumi sessuali, come se la pedofilia, dei preti o meno non ci fosse sempre stata. Avete presente i "castrati" Vaticani? Avete presente il documento sul "Crimen sollicitationis", risalenta aii tempi di papa Giovanni XXIII? il gatto e la volpe di Pinocchio erano più sinceri

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  2. Vedrai che il vero dolore gli arriva presto, quando dovrà tirar fuori i quattrini per risarcire le vittime dei suoi "confratelli".

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