Nel dar notizia che “una grande mostra dedicata a Paul Gauguin sarà inaugurata il prossimo 30 settembre alla Tate Modern di Londra”, L’Osservatore Romano titola L’esotico devoto (26.9.2010). Sapevate di un Gauguin devoto? Nemmeno io. Sapevo – e l’articolo me ne dà conferma – che fosse un “caustico anticlericale”: L’Église catholique et les temps modernes, che scrisse nel 1898, mi era sembrato – e l’articolo me ne dà conferma – “un pamphlet contro il cattolicesimo”. Cosa dimostrerebbe la sua devozione? Un quadro – “una sorta di opera-testamento”, scrive Sandro Barbagallo – nel quale sarebbe evidente che per Gauguin “dalle parabole di Cristo si potessero ricavare verità profonde”. Qui c’è da trasecolare.
Il quadro è del 1897, dunque antecedente al suo libello anticlericale, e questo – è vero – può non voler dir nulla (si può essere cristiani e insieme anticlericali; si può essere devoti nel 1897 e non esserlo più nel 1898), ma il fatto è che in esso non v’è alcun riferimento a Cristo, tanto meno alle sue parabole, e l’unico elemento di carattere religioso è la statua di un idolo tahitiano,
in tutto simile agli altri che Gauguin ritrasse in almeno altri sette suoi dipinti, su analogo basamento.
Rimanesse qualche dubbio, ci è rimasta una sua lettera a Daniel de Monfreid, nella quale si intrattiene a lungo sul dipinto senza che gli scappi un solo cenno a Cristo e alle sue parabole.
C’è un punto, è vero, in cui Gauguin scrive di aver voluto dipingere un quadro che avesse la traccia narrativa di un gospel e da questo Noemi Margolis Maurer deduce che “he conceived of it as a religious parable” (The Pursuit of Spiritual Wisdom, Fairleigh Dickinson Univ. Press 1998 - pag. 168), ma, ammesso che la deduzione sia esatta, si tratterebbe di una parabola di Gauguin, non di Cristo, e dal testo della lettera si evince che l’allegoria è animista, non cristiana. Può darsi che Barbagallo abbia letto il libro della Maurer, ma lo ha letto male e perciò scrive una grandissima cazzata.
Non basta. Nel tentativo di darci ad ogni costo qualcosa che faccia di Gauguin un buon cristiano, Barbagallo scrive: “Gauguin non amava parlare degli studi teologici della sua giovinezza al Petit-Séminaire de la Chapelle-Saint-Mesmin, nei pressi di Orléans. Dall’età di undici anni, infatti, oltre alle altre materie, studiò Liturgia, insegnata dal vescovo di Orléans, Félix-Antoine-Philibert Dupanloup”. È esatto, ma occorre precisare che non scelse di andare al Petit-Séminaire, che vi restò solo tre anni e che si trattava di comuni lezioni corrispondenti alla nostra ora di religione: non era poco per poter millantare di aver fatto studi teologici?
Ancora: “Nel villaggio di Atuana, compra dal vescovo Martin un appezzamento di terra e fa costruire una nuova casa, che chiama Maison du jouir, dove muore l’8 maggio del 1903. Il vescovo Martin, purtroppo, distrusse alcune opere che considerava blasfeme e oscene. Ciononostante permise che la salma venisse sepolta nel cimitero della chiesa della missione, ma senza un nome”. È una sintesi che edulcora non poco i fatti, perché tra il vescovo e il pittore ci fu sempre un sano odio reciproco. Un discorso a parte meriterebbe quel “ciononostante”, ma non dimentichiamo che Barbagallo scrive per L’Osservatore Romano. Chiediamoci piuttosto come ci arriva.
Nato nel 1973, si è laureato in Storia dell’Arte Contemporanea con una tesi su Simona Weller, che ha sposato nel 2004.
Ventisette anni di differenza, ma pare una coppia felice. La Weller è l’artista che Benedetto XVI ha scelto per la medaglia commemorativa dell’Anno Paolino, non si capisce perché il maritino non possa fare il critico d’arte sul giornale del papa.
Post impeccabile, oserei dire magistrale.
RispondiEliminaBarbagallo arriverà a dire che, pure Martin Kippenberger era un buon devoto, vedrai, ci arriva.
RispondiEliminaDel morire mi fa paura che diranno che anche io, in fondo, a modo mio, ero cristiano.
RispondiEliminaOlindo e Rosa
RispondiElimina"distrusse alcune opere che considerava blasfeme e oscene." Mi pare una buona sintesi della natura del cattolicesimo
RispondiEliminaNon so più quale alto prelato, di De Andrè disse: sarebbe stato degno di cantare per il Papa, che non è sbagliato in sé, purché si aggiunga che il papa, invece, non sarebbe stato degno di tale omaggio.
RispondiEliminaMalvino, ti sei concentrato sul dettaglio sbagliato (l'idolo tahitiano): qui come altrove, il carattere cristiano di un'opera è deducibile quando l'artista dipinga dei seni nudi al vento.
RispondiEliminaNon pago di aver annesso Gauguin alla causa, il Barbagallo passa a Warhol. Operazione in sé più semplice, vista l'indubitabile influenza che su quest'ultimo la religione ha esercitato. Non fosse che, nella foga barbagallesca, il quadro di Warhol che ne esce è più da "santo subito" - con annesse miracolose conversioni - che non quello di un semplice credente (quantomeno non ostile).
RispondiEliminahttp://www.dagospia.com/rubrica-1/varie/articolo-23093.htm