giovedì 30 dicembre 2010

Dopocena


Ogni libertà – anche quella che l’individuo esercita sulla sua proprietà privata – deve darsi un limite nel rispetto dell’altrui libertà: nessuna teoria può dirsi liberale immaginando tali differenze tra individui da generare ingiustizia sociale. Non già perché l’ingiustizia sociale sia moralmente deplorevole, ma perché contraddice il fine ultimo di una società pienamente liberaldemocratica (dunque liberata da ogni condizionamento della morale) che è il massimo utile per il massimo numero di individui. E tuttavia, dinanzi a un vero e proprio ricatto come quello che la Fiat pone ai suoi dipendenti, quale soluzione può dirsi liberaldemocratica? Ritenere che gli operai debbano cedere al ricatto o farsi tentare dal filoperaismo di Gobetti? Andare oltre e dichiarare legittime, in casi come questi, le azioni di tipo luddistico?
Dice: le macchine sono mie e, se voglio, devo poterle trasferire a Cracovia o a Tirana? D’accordo, ma se io ti garantisco che prima te le distruggo, sei più liberaldemocratico tu o io?


3 commenti:

  1. Eh! Qui come non mai si evidenzia il grosso limite delle direzioni aziendali italiane e dei sindacati, entrambi inabili a perseguire chi tra i lavoratori si faceva amabilmente i cazzi suoi, facendo poi pagare tutti, anche quelli che si sono fatti il culo come un paiolo per mandare avanti a 1200 euro/mese una azienda.
    Adesso chi ha ragione?
    Marchionne non ha torto, lavora per FIAT e non per l'Italia, ma la FIAT senza l'Italia era fallita da mo, in un gioco a rimpiattino che non ha mai fine bisognerebbe che si ripristinassero le condizioni originali di contrattazione sindacale, con definizioni più stringenti della "giusta causa" per il licenziamento, e fossero finalmente "eliminati" per giusta causa coloro che non si adoperano perché la società, l'azienda in questo caso, cresca. Perché per colpa di 4 non ci possono rimettere in 4000.
    E sarebbe il caso di perseguire i medici che firmano certificati di malattia per qualsiasi sintomo dichiarato e non verificato, i sindacati che prefirmano i permessi sindacali ai delegati aziendali, etc.etc.
    Tu lavoratore esercita la tua libertà nei limiti del contratto nazionale, se li superi, out!
    In ogni contratto c'è un vincolo di fedeltà, esplicito o no, se non è rispettato questo il contratto è nullo.
    Invece i sindacati, per mia esperienza, si prodigano a difendere i peggiori in un'ottica pandifendistica che non tiene in considerazione meriti, impegno, professionalità, serietà.
    A questo ha portato il lassismo e la banalizzazione dell'azione sindacale e delle direzioni aziendali, con l'aggravante che le direzioni aziendali adesso si ritrovano con il coltello dalla parte del manico senza sapere nemmeno da dove è venuto fuori, il coltello, con cui minacciano tutti, senza distinzione di meriti.
    Ma lo sappiamo, l'Italia è questa, quella in cui i sindacati compiacenti, per quanto se ne sappia, non hanno detto nulla in caso di assunzioni sospette fatte da direzioni interessate e viceversa direzioni compiacenti hanno fatto assunzioni a favore dei sindacati interessati.

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  2. La proprietà privata è sacra e la libertà di un individuo, in questo caso l'operaio, non può che scendere a compromessi con la necessità di un lavoro che gli permetta di vivere. In fondo è la necessità a guidare gli uomini, e non è necessariamente una necessità di libertà. Aveva ragione chi diceva che è il sistema di produzione a determinare il destino degli uomini, e aveva torto chi sperava di rovesciare questo stato di cose. Il bisogno di lavorare è la mia guida, non è la libertà.

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  3. "perché l’ingiustizia sociale ... contraddice il fine ultimo di una società pienamente liberaldemocratica"

    anche in Urss il fine ultimo era quello di realizzare l'uguaglianza o quantomeno "il massimo utile per il massimo numero di individui"

    come sai bene, anche nella vicenda Fiat, non abbiamo a che fare con la "teoria" liberaldemocratica o con quella "comunista", con i fini e i principi, ma con la realtà quotidiana del conflitto tra capitale e lavoro, quindi con dei fatti economici

    su una cosa sono d'accordo: la morale non c'entra, e infatti un sistema economico, per quanto iniquo, non perisce per ragioni "morali", anche se queste possono esprimersi come "ragioni" della parte più debole. e anche la politica, come espressione ideologica del conflitto, viene solo come conseguenza

    il punto è un altro: perfino taluni diritti dei salariati (in primis, quelli della rappresentanza sindacale), considerati fino a ieri intangibili e costituzionalmente garantiti, sono diventati mera questione di forza, di confisca da parte del padronato, nella sostanziale complicità dei dirigenti della cosiddetta "sinistra" liberaldemocratica.

    ne consegue il fatto che se i rapporti tra capitale e lavoro diventano questione esclusiva della lotta più cruda tra salariati e padroni, cioè non sono più un problema collettivo della società e quindi politico, allora anche l’ultimo resto di fiducia e di simpatia personale, l'ultima illusione, che poteva un tempo animare i rapporti tra lavoratori e rappresentanza politica parlamentare, viene a cessare.

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