giovedì 10 marzo 2011

“La «nostra» società”


I bambini hanno necessariamente bisogno di una madre e di un padre per crescere bene? La loro psiche rivela disturbi particolari se vengono allevati da una coppia gay? Su Avvenire, lo scorso 16 febbrario, Giuseppe Anzani lo dava per scontato, ma l’Associazione Italiana di Psicologia è intervenuta a correggere quelle che ha definito “affermazioni che non trovano riscontro nella ricerca internazionale sul rapporto fra relazioni familiari e sviluppo psico-sociale degli individui”, perché “il benessere psicosociale dei membri dei gruppi familiari non è tanto legato alla forma che il gruppo assume, quanto alla qualità dei processi e delle dinamiche relazionali che si attualizzano al suo interno”.
Cose ormai risapute, ma chissà quante altre volte si dovrà ripeterle a chi difende, anche contro l’evidenza, questi e cento altri logori luoghi comuni. Poi, però, c’è il professor Francesco D’Agostino, che non nega l’evidenza, ma cerca di eluderla: il problema non sarebbe “psicologico, bensì antropologico”.
“Almeno in linea di principio – scrive – potremmo anche concordare [“«che ciò che è importante per il benessere dei bambini è la qualità dell’ambiente familiare che i genitori forniscono loro, indipendentemente dal fatto che essi siano conviventi, separati, risposati, single, dello stesso sesso» (come sostiene il comunicato degli psicologi)”]; ma ciò che dovrebbe piuttosto stare a cuore a tutti è riaffermare che ogni società, o almeno certamente la «nostra» società, si fonda su strutture familiari stabili e riconosciute, dotate di una potenziale e naturale fecondità, di un fondamento morale personale (il reciproco impegno dei coniugi) e di un riconoscimento giuridico pubblico (il matrimonio). […] Dovrebbe essere chiaro agli occhi di tutti che la cura e la protezione cui hanno diritto i bambini vanno ordinariamente garantite da una coppia genitoriale e da un «normale» contesto familiare e non da una mera «buona volontà» psicologica di adulti disposti generosamente a prendersi cura di loro” (Avvenire, 9.3.2011).
D’improvviso, il bambino ha smesso di stare al centro della questione: nel negare la sua adozione da parte di una coppia gay, il suo benessere sembrava fosse la cosa più importante, adesso non lo è più. Adesso al centro delle preoccupazioni è “la «nostra» società”, “il «normale» contesto familiare”, “l’esperienza storica e morale plurisecolare”. E qui ogni “ricerca internazionale sul rapporto fra relazioni familiari e sviluppo psicosociale degli individui” diventa inutile: le tautologie di «nostro» e «normale» rendono insignificante ogni rilievo scientifico. Provate a cambiare i termini della questione e con questo tipo di argomentazione, contro ogni ragione, si può difendere ogni cosa: basta sia «normale» ed è «nostra», basta sia «nostra» ed è «normale».

3 commenti:

  1. Come antropologa (già, lo sono da 20 anni, e pure una di quelle serie!) però, vorrei farti notare che la categoria di «normale» si potrebbe discutere a oltranza in quanto è esclusivamente basata su 1) uno specifico punto di vista e 2) un lavoro di selezione e accorpamento di situazioni in modo tale da giustificarla, così come il «nostro» potrebbe benissimo annoverare una miride di situazioni storiche in cui i figli crescevano più o meno soli, più o meno malamente, più o meno cartonati dai genitori, o privati dell'affetto e della cura che oggi vogliamo dare noi loro. Già, inutile argomentare, tanto questi non ci sono e sono talmente in malafede, ottisi e assoluti che davanti all'evidenza continuano a urlare le stesse cose prive di qualsiasi fondamento.
    L'unica cosa di cui sono pienamente consapevole come antropologa è che la cultura e la società cambiano in continuazione - e indipendentemente dalle decisioni del mondo della politica - quindi, se una soluzione si rivela funzionale/sana/utile per le persone, la società l'adotterà per ogni via traversa disponibile anche contro la legge, e la politica un giorno sarà costretta a riconoscerla. Certo, sono sempre sforzi che uno si risparmierebbe...

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  2. Alcuni punti:

    - la «nostra» società, si fonda su strutture familiari stabili (mica vero, si basa su relazioni che in alcuni casi sono definite famiglia, in altri amicizia, in altri quel ch'è, mica siamo nella cascina di Olmo che tutto il mondo inizia e finisce lì dentro)

    - e riconosciute (dalla società stessa, quindi mutabili nell'ottica di una società che è mutata, quindi non è dio che stabilisce, qui, per precetto divino, ma l'uomo che dice cosa fare)

    - dotate di una potenziale e naturale fecondità (interna intende qui l'audace teorico, ignorando quanti siano i figli dell'amante, meravigliosa teoria della fedeltà coniugale e al solito una blasfemia sulle famiglie sterili)

    - di un fondamento morale personale, il reciproco impegno dei coniugi (quindi una sorta di contratto, che anche le coppie omosessuali stipulano più o meno apertamente nell'atto di formare una coppia, un contratto di esclusiva)

    - e di un riconoscimento giuridico pubblico, il matrimonio(appunto, riconoscimento giuridico, un contratto firmato davanti ad un "notaio", che suona un po' diverso da benedizione papale, pacca sulle spalle data da dio o roba simile)

    - dovrebbe essere chiaro agli occhi di tutti che la cura e la protezione cui hanno diritto i bambini vanno ordinariamente garantite da una coppia genitoriale e da un «normale» contesto familiare (normale? in una comunità gay, la norma è l'omosessualità, in ua comunità cannibale, la norma è il cannibalismo. Normale che?)

    - non da una mera «buona volontà» psicologica di adulti disposti generosamente a prendersi cura di loro” (ah no? non basta decidere di voler essere generosamente e con buona volontà, con tutto quello che significa, genitori e passare quello che si passa per adottare un figlio, che farebbe passare la pazienza a Giobbe Covatta, o sottoporsi a viaggi per provare ad ottenere all'estero quello che qui è negato? Non basta? Chiaro, ma sarà più un buon genitore uno che si è fatto un culo come un paiolo per avere un figlio o uno cui è capitato, come spesso, per errore?)


    Ma dico, come li selezionano questi che scrivono per Avvenire? Devono aver subito l'escissione del lobo sinistro?

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  3. Cattivi-sadici-meschini-invidiosi-impiccioni. Meritano il paradiso, sicuramente.

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