venerdì 5 agosto 2011

“Che galantuomo!”


Giulio Tremonti si è recato in Procura per chiarire il significato di quanto aveva dichiarato nel corso di un’intervista: “Ho accettato l’offerta di Milanese, perché in caserma non mi sentivo più tranquillo: ero spiato, controllato, pedinato” (la Repubblica, 28.7.2011). Ha detto che si trattava di una sensazione personale che non basava su alcun dato oggettivo, che quelle affermazioni riferivano di uno stato d’animo, e che il clamore da esse sollevato è stato frutto solo di una “forzatura giornalistica”.
Possiamo archiviare il caso, e con un bel sospiro di sollievo, perché l’idea di un Ministro dell’Economia spiato dalla Guardia di Finanza ci avrebbe tenuti a lungo in sospeso tra ansia e spasso. Resta solo da spiegarci perché “il ministro avrebbe donato al magistrato una copia del suo libro Lo stato criminogeno, edito nel 1997” (ansa.it, 4.8.2011), invece che una copia di una delle sue fatiche più recenti (Meno tasse più sviluppo, 1999; Guerre stellari, 2000; Rischi fatali, 2005) o, come sarebbe stato più naturale, dell’ultima (La paura e la speranza, 2008), che peraltro supera le posizioni de Lo stato criminogeno, correggendole. La risposta è semplice: in quel libro, che è l’unico nel quale Tremonti affronta il tema della giustizia, si offrono garanzie alla magistratura.
Si parla di Tangentopoli e di Mani pulite, e senza dubbio, come si legge fin dalla quarta di copertina, vi è contenuto un atto di accusa allo stato giacobino”, ma riconoscendo alla magistratura il merito di aver messo fine alla cleptocrazia politica” (pag. 127) con una rivoluzione legale” (pag. 128) resa ineluttabile da una classe politica responsabile di un deficit di democrazia che si era tradotto in una “democrazia del deficit(pag. 129). Può darsi che la funzione penale abbia mostrato aspetti poco garantisti, certo, ma la repressione è stata largamente inferiore rispetto alla enorme estensione dei crimini commessi” (pag. 129), sicché molti dei principali fattori criminogeni (la democrazia bloccata, la partitocrazia strutturata) sono scomparsi, ma non basta ancora” (pag. 131).
Non basta l’azione della magistratura, perché la giustizia da sola non è un potere sufficiente” (pag. 132), sicché Tremonti fa proprie le opinioni di Pier Camillo Davigo (Tempo per un nuovo inizio - Economia & Management, 2/1993): per ridurre ulteriormente la portata dei fattori criminogeni [è necessario] stabil[ire] un rapporto nuovo e più equilibrato tra stato e società” (pag. 157), e questo è possibile solo grazie ad una filosofia politica radicalmente diversa da quella finora dominante [...] filosofia che è sintetizzata nel manifesto posto a chiusura di questo libro” (pag. 131), dove Tremonti si mette in posa da homo novus, agli antipodi del politico che vive di mazzette. Un biglietto da visita che a un magistrato non può che far esclamare: Che galantuomo!”.
Possiamo esser certi che Tremonti non sia stato tanto sfacciato da offrire al Procuratore capo di Roma una copia corredata da sottolineature dei passi ai quali intendeva dare evidenza, ma non è difficile immaginare quali fossero.


3 commenti:

  1. Ha scordato di citare l'ultima fatica del nostro, "L'importante è rimanere a galla anche se ti scambiano per uno stronzo", La Chiavica Editori, Milano, 2011.

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  2. Quando uno va dal magistrato a spiegare alcune sue affermazioni, tra l' altro pure abbastanza gravi e inquietanti non va ad un incontro tra amici, o ad un occasione conviviale; il regalo di un libro è fuori luogo.
    Spero il magistrato lo abbia rifiutato.
    Sono i particolari a fare la differenze.
    Alessandro

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  3. Magari però è stato abbastanza sfacciato da offrirlo con una dedica affettuosa
    Caro Alessandro, in qualsiasi altro paese al mondo una cosa del genere non sarebbe neppure concepibile, ma qua?

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