La sacrosanta protesta degli indignados, il bacio collettivo dei chicos, i cartelli di denuncia delle vittime degli abusi sessuali commessi da preti cattolici ai danni di minori nelle diocesi di Valencia e di Segovia-Castellón, le presenze anche stavolta assai inferiori a quelle registrate dalle GMG ai tempi Giovanni Paolo II – tutta roba che si può far finta di non vedere. Poi arriva un bambino su una sedia a rotelle, malato di cancro, e in apparenza sembra voglia solo vedere Benedetto XVI da vicino, toccarlo, farsi fare una carezza. E invece gli mette in mano un bigliettino sul quale ha scritto: “Santo Padre, se Dio è buono e onnipotente, perché permette che malattie come la mia colpiscano persone innocenti? Se non mi risponde, mi darà una grande delusione perché sono anni che mi pongo questa domanda”. Ed ecco che ci sarebbe davvero da sprofondare sotto terra, improvvisamente nudo della grande menzogna di cui si è sommo sacerdote. Anche qui, però, si può far finta di non vedere, di non sentire, si può eludere la questione riponendola nel mistero, l’estremo rifugio di una faccia di culo vecchia di due millenni.
Sappiamo già cosa risponderà Zia Pina, dirà più o meno ciò che disse alla bambina giapponese che in aprile gli chiese del perché Dio avesse permesso la morte di tanti bambini come lei sotto un’onda alta dieci metri: “Anche a me vengono le stesse domande… E non abbiamo le risposte… E rimane la tristezza… E un giorno capiremo…”. E per dare una risposta del genere, che poi, al netto degli orpelli teologici, è proprio quella cristiana e cattolica al perché del male – per rispondere “non so, però un bel dì ci sembrerà tutto bello, buono e giusto” – c’è bisogno di essere visitati dallo Spirito Santo? Sulle sofferenze degli innocenti costruire la mostruosità di un Dio che se ne nutre? Ma tienitelo per te un Dio così, non puoi essere meno mostruoso di lui. Se pure esistesse – ma non esiste – varrebbe la pena di sputargli in faccia e andarsene contenti all’inferno. D’intanto porgi la guancia e prendi questo sputo per lui.
Sputi anche da parte mia.
RispondiEliminaQual'è la frase? Impiccare l'ultimo papa con le budella dell'ultimo re?
RispondiEliminama anche così, ci sono re che hanno sicuramente più dignità umana ma se è per liberarsi per sempre dei papi, che muoiano pure tutti i re
TheDreamer
Un bel ci sembrerà tutto bello, un bel dì vedremo...
RispondiEliminahttp://www.youtube.com/watch?v=1woH96ROG-c&feature=related
Zia Pina vestita da Madama Butterfly guarda lontano verso il mare la dignità prendere il largo, il comandante Minkierton è ormai andato, la cameriera George ormai la schifa, resta giusto l'harakiri.
Se mi posso permettere, da non credente. Conoscerà la famosa scena tratta da un libro di Elie Wiesel nella quale si parla di un bambino impiccato in un campo di concentramento nazista. Qualcuno si domandò: come può Dio permetterlo, dov'è Dio in questo momento? La risposta, in quel contesto, mi pare fosse: Dio è quel bambino. Un Dio dunque non onnipotente e soprattutto non mortale, esposto anche lui alla potenza del "male". Credo sia stato il filosofo Schelling ad occuparsi nel modo più radicale di questo tema (il male in Dio). Il succo, alla fine, era questo: Dio può soccombere, per questo ha bisogno dell'uomo, che in un certo senso è il "luogo" della sua manifestazione, così come anche l'uomo, ben più debole di Dio, ha bisogno di Dio. Il mistero non va necessariamente svalutato in quanto involucro di una menzogna. Certo esso nasconde una verità difficile da cogliere. Forse anche il Papa sarebbe d'accordo su questo.
RispondiEliminaPtuah! Ptuah! E Ptuah!
RispondiElimina"I do not mind if I lose my soul for all eternity. If the kind of God exists Who would damn me for not working out a deal with Him, then that is unfortunate. I should not care to spend eternity in the company of such a person."
RispondiEliminaMary McCarthy, Memories of a Catholic Girlhood
@Malvino
RispondiElimina"l’estremo rifugio di una faccia di culo vecchia di due millenni." enesima dimostrazione del fatto che lei è, umanissimamente, un genio.
@Gadilu
"La risposta, in quel contesto, mi pare fosse: Dio è quel bambino. Un Dio dunque non onnipotente e soprattutto non mortale, esposto anche lui alla potenza del "male". "
La domanda diventa:
Che ce ne facciamo di un dio siffatto, che oltre alla sua impotenza ci impone vincoli sulle nostre convinzioni sulla sua esistena, sul senso della nostra vita, sulla disponibilità della stessa e financo sui nostri gusti sessuali e addirittura sulle nostre abitudini alimentari?
Personalmente faccio senza fatica a meno di un dio onnipotente, mi spieghi perchè mai dovrei sentire la necessità di un dio vittima sacrificale quando di vittime sacrificali come il bimbo impiccato ne trovo a bizzeffe ogni giorno? Perchè sacrificare i miei pensieri e la mie identità a un dio non onnipotente quando riscontro me stesso non onnipotete ogni giorno? Se domani mi scippano il portafogli in stazione rompendomi un incisivo divento dio io stesso? Per quanto tempo?
Perchè Dio è liberale.
RispondiEliminaLa Chiesa no.
@-->Malvino
RispondiElimina"tienitelo per te un Dio così" è la madre di tutte le sintesi.
@-->Gadilu
La miglior spiegazione del bisogno di dio che c'è in ciascuno di noi (fu così anche per me e lo superai in tenera età, non senza sforzi immani determinati da anni di condizionamento psicologico), rimane tutt'ora quella di Sigmund Freud.
Detto questo, anche nella chiave di lettura da lei proposta, rimane il fatto che dio non è necessario se non nei medesimi termini di un'origine degli assi cartesiani o di Greenwich per le coordinate geografiche. Ascisse ed ordinate nella realtà non esistono, così come non esistono meridiani e paralleli (camminando, non sono mai inciampato in uno di essi). Il nostro cervello, tuttavia, ha bisogno di rappresentare per comprendere. Il fatto che poniamo dio all'origine del nostro sistema ortogonale, è e rimane pura finzione. Così come Einstein superò la fisica newtoniana, oggi c'è un'esigenza oggettiva sempre più sentita di superare il presunto sistema di riferimento morale costituito dal pensiero religioso - che permea ancora quasi ogni ordinamento politico occidentale, per quanto esso possa dichiararsi laico - che sappiamo tutti essere oramai assolutamente anacronistico e diacronico rispetto all'evoluzione intervenuta nel pensiero scientifico, con il quale si trova pressoché in totale antitesi.
@ nano
RispondiEliminaPrima di tutto una correzione e una integrazione a quanto ho scritto: "un Dio dunque non onnipotente e soprattutto non immortale". Qui prendo alla lettera il famoso aforisma della Gaia Scienza di Nietzsche, "Dio è morto". La mortalità di Dio coincide con il suo omicidio da parte degli uomini. Ci sarebbero alcune considerazioni da sviluppare, in proposito, ma lei fa una domanda e io cerco di rispondere.
Non penso che Dio imponga vincoli di quel tipo. Semmai è una certa formalizzazione della religione (così come si è concretizzata storicamente) ad aver favorito l'emergere di vincoli che, giusta la dinamicità di ogni storia, non sono affatto fissati una volta per tutte. Il punto - lo ribadisco - è un altro: qui non abbiamo un Dio eterno e beato, da un lato, e l'uomo sofferente e sacrificato dall'altro. L'abbassamento (κένωσις) di Dio potrebbe anche essere interpretato come l'esposizione di una sua condizione costitutiva, cioè la lotta con il male che è insediato nella sua stessa "natura". Dio allora non si darebbe al di fuori della lotta per liberare sé stesso dal male, vale a dire liberare l'essere dalla nientificazione che sempre lo minaccia, e in questa lotta, nella "storia" di questa lotta, all'uomo è assegnata una parte fondamentale (Dio ha "bisogno" di noi per "vincerla"). Di un "Dio siffatto" abbiamo però bisogno anche noi per evitare due errori fondamentali: credere che ogni nostra lotta sia inutile in partenza e (soprattutto) pensare che ce la potremmo fare anche da soli. Se non ricordo male queste sono alcune interessanti considerazioni che si possono svolgere a partire da una certa lettura di Schelling (io le ho ereditate dalla lettura dei testi di Pareyson, fatta molti anni fa).
Dio è grande, lui sta li, ci osserva e alla fine ci giudicherà. Avrà pure una memoria di ferro per ricordarsi tutti i misfatti delle singole persone, ma non ha la capacità di intervenire nel giornaliero. Non sarà che anche lui è un incompiuto?
RispondiEliminaforse quel Dio di cui si riempiono la bocca e niente sanno è una cosa diversa, molto diversa, più grande ed universalmente espansa.....vi sono altre religioni e filosofie da percorrere per farsi idee diverse, il cervello serve anche per esplorare e non solo per farselo riempire da dogmi interessati.
RispondiElimina@gadilu
RispondiEliminaDi un dio siffatto avrà bisogno lei, io no.
Preferisco effettivamente "pensare che ce la potremmo fare anche da soli", per quanto a lei possa apparire un errore.
@ lector
RispondiEliminaPenso che anche Dio, nel modo da me proposto, sarebbe d'accordo con lei. Dio non è affatto "necessario in assoluto" (o meglio: è "necessario" per non finire dritti nel nichilismo) una volta stabilito che la sua "essenza" (per così dire) è fatta di libertà (prima mi mancava la parola, ma l'ontologia della libertà è precisamente il titolo di quella proposta teoretica che continuo ad evocare: Schelling > Pareyson). Ciò detto, nel nichilismo ci possiamo tranquillamente finire (lo sa anche Dio, quel Dio non onnipotente che teme il nichilismo al pari di alcuni di noi). Riperto: è una questione che attiene alla libertà e dunque, anche se può parere abbastanza velleitario, alla nostra scelta individuale.
@ nano
RispondiEliminaContinua a rovesciare la questione essenziale. Io sostengo che Dio ha soprattutto avuto ed ha bisogno di noi. E noi possiamo rispondere come vogliamo (ci sarà chi aderisce con slancio, chi rimane dubbioso, come faccio io, e chi invece dirà che tutto questo discorso è un immane cumolo di cazzate). Sul farcela da soli bisognerebbe intenderci su cosa. Dal mio punto di vista è questo: farcela da soli ad estinguerci accettando pienamente la nostra finitezza e la contingenza di ogni senso che attribuiamo alla vita (non solo la nostra). Bene, a quel punto (per rovesciare Heidegger) NEPPURE un Dio ci potrà "salvare".
le stesse considerazioni e annessi sputi valgono anche per l'ebraismo e l'islam ? O solo per il cristianesimo ?
RispondiEliminaROMEO
@-->Gadilu
RispondiEliminaDio è stato necessario, come lo fu il pallottoliere per poter arrivare al computer.
Oggi, ha oggettivamente esaurito questa sua utilità, alla quale - mi sembra di comprendere, in maniera fortemente analogica con la Sua proposta - si riferiva pure William James ("Non possiamo respingere alcuna ipotesi se ne derivano conseguenze utili alla vita"). Lo constatiamo anche nel fatto che qualsiavoglia offerta di divinità, proveniente da qualsiasi religione, risulta sovrabbondante di antinomie e inserita in un contesto mitico paradossale, che la rende totalmente inaccettabile al pensiero razionale contemporaneo di matrice occidentale. Il sistema di riferimento, di cui continuamo a sentire l'esigenza e del quale accennavo nel commento precedente, pretende oggi proposte nuove, anela a una teoria della relatività generale che occupi la nicchia ecologica che sta per essere progressivamente lasciata libera dallo homo religiosus nella storia del pensiero umano.
Credo che di ciò se ne rendano conto anche le gerarchie ecclesiastiche. Il solo fatto di percepire che potrà essere così, in un futuro più o meno prossimo, lo rende pure estremamente probabile. Certo è l'an, incerto solo il quando.
Magnifico.
RispondiEliminaLector, le invidio molto la fiducia nelle magnifiche sorti e progressive e la metafora del pallottoliere del computer. Che poi l'età del computer (e dunque lo status d'avanzamento culturale rispetto a quello del pallottoliere) coincida - fuor di metafora - con il "pensiero razionale contemporaneo di matrice occidentale" non mi fornisce putroppo grandi motivi di gioia (mi attengo qui a Wittgenstein, quando diceva che se anche tutte le domande della scienza ricevessero una risposta, i problemi dell'uomo non verrebbero neppure sfiorati). In ogni modo io non ho nessuna intenzione di convincerla del contrario (non essendo a mia volta veramente convinto, di quel contrario). Mi ha fatto piacere scambiare qualche pensiero con lei, la saluto cordialmente e saluto cordialmente anche il nostro padrone di casa, Luigi Castaldi, che leggo sempre con grandissimo profitto.
RispondiElimina@-->Gadilu
RispondiEliminaComprendo e ricambio. Ad maiora.
P.S. Non ho alcuna fiducia nel c.d. progresso né v'investo particolare speme: un meteorite come quello che investì lo Yucatan 65 milioni di anni fa e addio spirito del mondo. Per le previsioni formulate, mi sono attenuto solo all'esperienza, al contingente e alla legge delle probabilità, ceteris paribus. Il computer è unicamente uno strumento in grado di soddisfare esigenze pratiche in maniera più efficiente del pallottoliere, cui è comunque tributario; era questo l'unico senso della metafora, a prescindere da qualsiasi paragone qualitatitivo, che va oltre le mie intenzioni, cosicchè, se a tale interpretazione si prestava, me ne dispiaccio.
@gadilu
RispondiEliminaNon rovescio un bel niente, checchè ne dica lei. Per me dio non esiste, non ne sento il bisogno e non mi importa se lui abbia o meno bisogno di me.
Quanto al "farcela da soli" riguarda semplicemente il coraggio e la forza di affrontare, magari gustandosela quanto possibile, la nostra esistenza e la fine che essa implica senza necessità di appigliarsi a esserei superiori cui attribuire meriti o colpe e da c ui attendersi ricompense o punizioni dopo la nostra esperienza.
@ nano
RispondiEliminaPerfetto. Se la giusti meglio che può. La discussione in realtà era un'altra, ma è già passato il treno. Cordialità.
@gadilu
RispondiEliminaLa sua discussione, effettivamente, era un altra. Ma non è sempre facile rispondere a proposito. Quanto al treno non mi spiace affatto che sia passato, io preferisco di gran lunga la bicicletta. Ci si gusta megglio il paesaggio, si fa fatica e ci si tiene in forma.
@gadilu: mi dispiace che sia "già passato il treno": letta di passaggio, la sua esternazione sembra un rifiuto di quel dialogo del quale lei ha appena terminato di essere anima.
RispondiEliminaContribuisco comunque ad una discussione dalla quale lei ha già dichiarato di volersi ritirare, con un paio di risposte che, per quanto non esaurienti, avranno valore di nota a margine:
a) lei si rifà continuamente a Schelling, al più a Nietzsche, per poi sfondare in Pareyson. L'ultimo filosofo degno di nota che menziona mi pare sia Wittgenstein. Pur tralasciando gli sperimentali pionieri del pensiero debole, dunque, mi pare che lei abbia deciso di mettere del tutto da parte i pensatori contemporanei, per affidarsi in sostanza a Pareyson, anacronistico fautore di un "pensiero forte". Se questo può essere un problema, certo non è ancora grave; basta riconoscerlo: lo smarrimento provocato dalla modernità ha contagiato centinaia di pensatori, dando adito a decine di esiti antitetici (si pensi ai percorsi bio-bibliografici di Carl Schmitt, Hannah Arendt, Simone Weil). Il discrimine sta sempre lì, tuttavia: c'è chi è capace di accettare un'etica che non si fondi su un ente esterno e assoluto, ma si costruisca su parametri evanescenti come i rizomi di Deleuze-Guattari o la pragmatica pragmaticista di Peirce; c'è, d'altra parte, chi proprio pensa di non potercela fare.
Il Castaldi qui ha parlato in un paio di occasioni di George Edward Moore: a me torna spesso alla mente un suo discepolo, Olaf Stapledon, autore di bellissimi romanzi e di un trattato sull'etica forse ancora più chiaro di quello di Moore, e dal quale molti teorici del pensiero debole hanno preso le mosse per spiegare come sia possibile un'etica senza Dio. Se questo non le basta è questione di sensibilità personale: non è il pensiero ad essere alla ricerca della necessità, ma lei, e lei soltanto (un altro fortunato lascito di Nietzsche è l'anti-idealismo, che ci permette di distinguere il suo pensiero dalla Storia del pensiero);
(segue)
(segue e termina)
RispondiEliminab) non è forse un caso che nelle grandi narrazioni contemporanee siano in pochi ad essersi avvicinati alla sua interpretazione di Dio (un Dio mortale; un Dio non infallibile; un Dio in lotta, e che ha bisogno dell'uomo per vincere la lotta). Quando ciò è accaduto, i pochi che mi tornano alla mente sono nella grande maggioranza dei casi sempre stati affetti da disturbi neurologici o psicologici gravi quando non mortali. Oltretutto la loro e la sua, checché lei possa dirne, sono state tra le visioni più distanti possibili rispetto a quelle propalate dai vertici cattolici (avvicinandosi invece, pur modificate, al catarismo albigese -- quando non scadendo nel tutto nel manicheismo).
Per limitarmi ad un paio di esempi, filosofie sempre sincretiche e sempre simili a quelle da lei suggerite sono state abbracciate da Philip Kindred Dick (legga i primi due libri dell'incompiuta trilogia di Valis: "Valis" e "Divina invasione") e da Giovanni Lindo Ferretti (ascolti "Per Grazia Ricevuta"). Persone che potremmo eufemisticamente descrivere in quel periodo della loro storia come non più sane, il cui legame con la realtà andava sempre più disgregandosi, e che ebbero bisogno di spiegarsi come fosse possibile un'etica proprio nel momento in cui ne avevano perduta la prassi quotidiana. Ritengo Dick uno dei più grandi scrittori dello scorso secolo, malgrado non ne abbracci la filosofia. C'è, inoltre, qualcuno che arriva ad apprezzare Ferretti sotto il profilo musicale - mentre qui per me giudizio estetico e giudizio etico vanno a braccetto. Qualunque considerazione si possa avere dei due soggetti, mi figuro sempre che il probabile decorso delle loro patologie sarebbe potuto sfociare in questo.
Se la sua non è malattia, è comunque pratica ereticale e residuale dell'esperienza religiosa. Se l'etica non può prescindere dal dato sociale, la sua teoria non può adeguatamente rappresentare il sostrato di alcun pensiero etico: certo non quello che oggi sostiene l'attuale pensiero cattolico, e forse neppure quello del classico pensiero cristiano. Vale in sé, dunque, quanto qualunque teoria etica del pensiero debole: nulla. Se la sconcerta che l'etica possa poggiare sul nulla eppure continuare ad esistere, torni pure a Pareyson, ma senza dimenticare che c'è chi continua a vivere "etsi Deus non daretur", derivando principi morali dalla società e spogliandoli della necessità dell'esistenza di un Dio.
Cordialmente.
@ qubrick
RispondiEliminaLa ringrazio molto delle sue note al margine, caro qubrick. C'è un pochino (giusto un pochino) d'inutile spocchia, ma in certi ambienti da lei frequentati (e anche da me, devo dire) capisco che faccia parte del gioco. Ora, io le risponderei volentieri se mi riuscisse sgombrare prima il campo da un grave fraintendimento (lo leggo nel suo richiamo: "non è il pensiero ad essere alla ricerca della necessità, ma lei, e lei soltanto..."). Me lo sono chiesto con un briciolo di contrizione, dopo aver letto le sue due glosse: ma io davvero sono alla ricerca della necessità? E devo dire di no, neppure io - contrariamente a quanto forse è apparso - di quella necessità sento una grave mancanza (ma, in caso contrario, dovrei vergognarmene? No, non me ne vergognerei affatto). E le dirò di più: che quando NON CI PENSO anch'io mi ritengo abbastanza soddisfatto della mia formazione pragmaticista (e preferisco senz'altro Ian Curtis a Giovanni Lindo Ferretti). E allora? E allora niente. Io non mi occupo più di filosofia da una ventina d'anni e non credo che a breve lo rifarò. Mi ricordavo (non in modo troppo sfocato, come mi hanno dimostrato le sue glosse) che esisteva una discreta tradizione del pensiero onto-teo-logico occidentale che (dal manicheismo a Pareyson passando per Schelling, mi perdoni l'approssimazione genealogica) fosse in grado di proporre una Gottesaufassung, diciamo così, appena più "mossa" e "partecipativa" o almeno "problematica" di quella proposta dai vertici cattolici (per i quali non nutro una cospicua simpatia). Se invece per lei - che è così dotto e sicuro di sé - queste "mie" povere ideuzze indicano una latente malattia psichica o una "pratica ereticale e residuale dell'esperienza religiosa" (urca!) particolarmente disdicevole mi sorge esattamente lo stesso dubbio che poneva all'inizio nei miei riguardi: "lette di passaggio, [anche] le sue esternazioni sembrano un rifiuto del dialogo". Peccato.
Stempero subito i toni, e mi scuso se le sono apparso spocchioso! Purtroppo ne convengo, è il rischio che si corre quando si interviene a gamba tesa in discussioni già iniziate. In realtà, vorrei almeno precisare due punti.
RispondiEliminaInnanzitutto, quel "pratica ereticale e residuale dell'esperienza religiosa" dovrebbe a mio parere tenerselo stretto: sono perfettamente contento quando un pensiero libero giunge a delle conclusioni interessanti, e l'eresia - atta a fiaccare l'ideologia centrale costringendola ad erigere dogmi di vario genere, sempre meno probabili - è la prima forma della manifestazione della libertà del pensiero che possa darsi. "Residuale" in tanto in quanto elitaria, vorrei dire.
Quanto alla nota sulla malattia (mentale, fisica, psicofisica) preciso che il mio era un tentativo di spiegazione: quando, per qualsiasi motivo, viene a mancare un appoggio per la prassi etica - in Dick a causa delle droghe, di tentativi di suicidio falliti e di matrimoni altrettanto fallimentari; in GLF a causa del crollo dell'Unione Sovietica e di tutto un sistema di valori -, allora anche 'battitori liberi', ancorché ammantati di tragica disperazione e fatalità, possono avvertire la tentazione di aggrapparsi ad un pensiero forte approssimandosi ai più strenui conservatori.
Quanto a tutto il resto, rimane da capire - o, almeno, credo di non aver capito - in che senso e sotto quali aspetti lei abbraccerebbe, o incoraggerebbe ad abbracciare o almeno a contemplare, quello che lei trae dal pensiero di Pareyson.
Ho capito. Adesso lei fa il "carino" perché spera d'inchiodarmi a una discussione chilometrica su queste tematiche. Giuro che farò di tutto per deluderla. (Sto scherzando. Però è vero che per me è faticosissimo svolgere una discussione del genere, non ci sono più abituato e poi non ho neppure tanto da dire).
RispondiEliminaMi concentro su quel che lei afferma di non aver ancora capito. Quel qualcosa che io abbraccerei o incoraggerei ad abbracciare a partire dal pensiero di Pareyson.
Guardi, sono andato a risfogliarmi quel libro che non leggevo da anni e ho trovato, sottolineate, frasi come questa: "Non basta dire Dio è il bene, come vuole la tradizione platonica: egli è assai di più. Egli non è il bene, ma il bene scelto, cioè il bene anteposto al male, affermato con la negazione e il rifiuto del male. Egli è la scelta del bene, cioè la vittoria sul male; e per di più tanto quell’opzione quanto questa supremazia sono irreversibili e definitive. Dio è più che bene: è la scelta del bene stabilitasi e consolidatasi, e quindi resasi definitiva, è la riduzione del negativo a possibilità vinta e quindi inoperosa e inerte. Il nulla è stato vinto per l’eternità; il male è una possibilità giocata una volta per tutte e per sempre perduta, perché risulta perdente in quell’atto immane e primigenio. Questo significa Dio e la sua esistenza.” (L. Pareyson, Ontologia della libertà, Einaudi, Torino 2000, pag. 178)
Ho molti problemi con affermazioni del genere e, se devo dirlo, me lo ricordavo diversamente (quindi le sto per annunciare una roba grossa: mi sento parecchio eretico anche nei confronti di Pareyson). A questo punto vado avanti da solo.
Di fronte a una problematica del male inteso radicalmente (unde malum?), la prospettiva di una lotta "originaria" tra bene e male (e dunque la tesi di un Dio che "sceglie") mi pareva la meno idiota. Lo confesso. E questo non perché io "credessi" a una simile opzione, ma solo perché riuscivo ancora a pensarla in qualche modo degna di essere pensata (abbia misericordia di me, è anche tardi e non sono più tanto lucido). Poi però avevo bisogno subito di dire che quella lotta lì non è decisa per nulla (altro che "il nulla è stato vinto per l’eternità; il male è una possibilità giocata una volta per tutte e per sempre perduta, perché risulta perdente in quell’atto immane e primigenio. Questo significa Dio e la sua esistenza"). Concederei ancora un po' di valore a questa idea sprofondando Dio in una sorta di precariato. La possibilità di vincere il male a mio avviso se la deve ancora guadagnare, insomma, e per farlo (dicevo) ha bisogno dell'uomo (che deve così far vivere Dio dentro di sé, scamparLO cioè alla morte – per questo citavo Nietzsche - e salvando, o meglio credendo così di salvare anche sé stesso).
A questo punto però vorrei veramente tranquillizzarla. Queste non sono cose alle quali io penso spesso. Anzi, non ci penso MAI. Le penso adesso perché sto rispondendo a lei che mi sta simpatico con tutti quei suoi autori strani che scrivono di fantascienza e di etica. I miei interessi sono veramente tutti di altra e più rilassante natura. Per cui la mia eventuale eresia non causerà nuovi scismi e spero anche di scampare alle attenzioni di qualche psichiatra.
Adesso veramente la voglio salutare. Ho fatto qualche lettura interessante sul suo blog, ho ascoltato anche questo gruppo, come si chiamano, ah sì, Ulterior, che mi fanno pensare a lei nei panni di una persona giovane, o più giovane di me. Comunque molto sveglia e anche colta (più colta di me).
Se avrà voglia di contattarmi altrimenti (su facebook, alla mail che trova da qualche parte nel mio blog), mi piacerebbe ancora imparare molto da lei. Grazie.
Gabriele Di Luca.
@-->Gadilu
RispondiElimina"solo perché riuscivo ancora a pensarla in qualche modo degna di essere pensata"
Simpatico il riferimento a Heiddeger :-)
Giusto lector, in uno stato di assopimento delle facoltà intellettive rispunta sempre fuori il substrato (ὑποκείμενον) heideggeriano che pensavo di aver sepolto a dovere. Questo thread è per me meglio di una seduta psicoanalitica.
RispondiEliminaCaro gadilu, probabilmente sono più giovane di lei; sicuramente non più colto. Ho avuto il vantaggio di parlare per primo, che sempre permette di attirare gli altri nel proprio campo, ma - come tutti - soffro di immense lacune appena ne esco, Heidegger incluso (ne conosco solo epigoni e critici, e nutro una forte repulsione nei confronti dei filosofi che tentano di scardinare la realtà restando nell'indefinitezza, ma senza definire con precisione i neologismi che fondano; e tale, pregiudizialmente, Heidegger m'è sempre parso).
RispondiEliminaMa a parte le divagazioni, e sorvolando sulle piccole punzecchiature che mi riserva, torno nuovamente a consigliarle almeno 'Divina invasione' che, le assicuro, è di natura decisamente "rilassante". A quanto mi è parso di capire, dentro ci troverebbe molto di quello che pensa - più, prima (e dunque meglio) ancora delle conclusioni 'forti' cui giunge Pareyson. Ci troverebbe una realtà cangiante e non fondativa, che proprio per questo costringe Dick a ri-fondare l'etica in una sorta di eccentrica, ma non per questo meno 'vera', religione artificiale.
A presto.
Chiedo scusa per aver invertito le doppie. Me ne sono accorto solo ora. Ho postato troppo di getto.
RispondiEliminaCaro qubrick, ti (passo al tu, ok?) per il suggerimento di lettura, cercherò di tenerne conto anche se ci sono un paio di difficoltà: 1) una lista già nutritissima di libri in attesa di essere letti (a cominciare da questo "Contro Cesare" di Emilio Gentile sul quale appoggio il gomito); 2) la fantascienza non è il mio genere (posso dirlo? non ho mai letto un libro di fantascienza in vita mia, attaccai Solaris quando andavo al liceo e lo mollai dopo poche pagine in preda a un attacco di noia devastante). Come già detto, ti invito sul mio blog per conoscerci meglio e continuare magari a parlare di Dio e altre amenità:
RispondiEliminahttp://sentierinterrotti.wordpress.com/2011/08/08/quando-emigreremo-negli-spazi-2/
Strano che non ti piaccia la fantascienza. La metafora di dio che muore e morendo si frantuma in una miriade di consapevolezze, di cui s'attende la ricomposizione tramite il genere umano, si ritrova in "Dune" di Frank Herbert, un classico del genere, peraltro adottato in molte scuole superiori USA come testo di letteratura.
RispondiEliminaNei paesi anglosassoni la fantascienza, o sci-fi, come s'usa dire adesso, è un genere che ha dignità pari agli altri. E' un malvezzo tutto italiano quello di distinguere la letteratura secondo varie categorie, di cui alcune degne di rispetto e altre no [*]. In realtà, i generi letterari sono solo due: al primo appartiene tutta la letteratura buona, cioè scritta bene; al secondo, quella cattiva.
[*] Abitudine che si ritrova anche nel cinema nostrano e, infatti, i film italiani "impegnati" sono divenuti talmente di maniera che non li va a vedere nessuno.
Spero di non aver detto che la fantascienza rientra in una categoria di letteratura inferiore. Lungi da me pensarlo. Ugualmente non penso che in quel "genere" non si trovino dei capolavori. Ho solo detto che io non mi diverto a leggere libri d'ambientazione o d'argomento fantascientifico. Tutto qui.
RispondiEliminaEppure una cosa che faccio sempre fatica a capire c'è (e mi riferisco a questa lunga e articolata discussione): essa mi si presenta quando immagino due tali:
RispondiEliminaTizio A: è convinto di avere alla propria destra e alla propria sinistra due energumeni invisibili, di quelli stile buttafuori, i quali (egli sostiene) gli vogliono un gran bene e hanno pure qualche superpotere in più di lui. Tuttavia, se un passante dovesse sferrargli un pugno in faccia, i due colossi sarebbero impotenti nel fermarlo. Al vedere il livido susseguente -afferma Tizio A- se ne dolgono certamente e sperano che in futuro la cosa non si verificherà più.
Tizio B: non crede a nulla di tutto ciò. All'occorrenza, purtroppo, anch'egli il pugno in faccia se lo prenderà tutto.
Ecco, la mia fonte di confusione si può enunciare così: quale diamine di significato si vuole attribuire alle condizioni umane dei due tizi a confronto, quando si afferma che il tizio B pensa di potercela fare da solo ad affrontare i pungi in pieno volto, differentemente dal tizio A? Secondo quale diavoleria di ragionamento si vorrebbe sostenere che il primo tizio affronti l'esistenza come se fosse realmente in compagnia, o guidato?