Non c’è bisogno di avere una laurea in medicina per esercitare la professione di psicoanalista, almeno così sosteneva Sigmund Freud, che fin dall’inizio pose la psicoanalisi di là dalle comuni pratiche neuropsichiatriche e demarcò un distinguo tra approccio psicologico e psicoanalitico. Dettò le severe regole per l’esercizio della professione di psicoanalista, questo sì, ma non lo precluse affatto a chi venisse da una formazione di tipo umanistico: non riteneva indispensabili gli studi e i titoli del frenologo, si poteva diventare un buon psicoanalista anche avendo una laurea in Lettere.
Ora, l’art. 35 della legge n. 56 del 18.2.1989 (Legge Ossicini) recita che “l’esercizio dell’attività psicoterapeutica è consentito a coloro i quali, o iscritti all’ordine degli psicologi o medici iscritti all’ordine dei medici e degli odontoiatri, laureati da almeno cinque anni, dichiarino sotto la propria responsabilità di aver acquisita una specifica formazione professionale in psicoterapia, documentandone il curriculum formativo con l’indicazione delle sedi, dei tempi e della durata, nonché il curriculum scientifico e professionale, documentando la preminenza e la continuità dell’esercizio della professione psicoterapeutica”. È abbastanza per vietare l’esercizio della professione di psicoanalista a chi non corrisponda a questo identikit? Solo se sovrapponiamo la figura dello psicoanalista a quella dello psicoterapeuta. Ma questa sovrapposizione è corretta? Secondo Freud – ancora – non lo è.
Basta leggere ciò che scrive, nel 1926, in Die Frage der Laienanalyse (in italiano, a pagg. 345-423 del X volume delle sue Opere, per Boringhieri Bollati [1967, 1989]), e soprattutto nel Proscritto, che è dell’anno successivo, dove rivela che “l’occasione per scrivere questo libretto e il punto di partenza della discussione ivi contenuta fu una denunzia di ciarlataneria a carico del dottor Theodor Reik (un nostro collega non medico) fatta pervenire alle superiori autorità viennesi”.
Presumibilmente a Vienna vigeva qualche legge analoga a quella che in Italia reca come prima firma quella di Adriano Ossicini, grazie alla quale nasceva, 22 anni fa, l’ennesimo Ordine professionale, quello degli psicologi. Freud ci informa che l’accusa al dottor Reik “è caduta, dopo che sono state prese tutte le necessarie informazioni preliminari, e sono stati raccolti i pareri qualificati di vari esperti”. Il problema è che gli effetti terapeutici, quando possibili, sono solo secondari alla pratica psicoanalitica, che la psicoanalisi rimane attività di ricerca, ben al di qua, dunque, di quanto è posto nei fini della psicoterapia: nella psicoanalisi, insomma, non vi è dichiarata finalità “clinica”e allora non si capisce perché lo psicoanalista dovrebbe possedere i requisiti richiesti alla Legge Ossicini.
È da recepire e da appoggiare, dunque, la richiesta di quanti la vorrebbero emendare, escludendo gli psicoanalisti e le loro associazioni e scuole dall’ambito di applicazione della norma che li vorrebbe iscritti ad un apposito albo. I promotori dell’iniziativa tengono a sottolineare che “la psicoanalisi ha per oggetto la descrizione generale dell’apparato psichico, non soltanto delle sue manifestazioni patologiche, e che mira, in tutti i suoi successivi e molteplici sviluppi, a svelare l’importanza dell’inconscio nel comportamento umano, avendo come finalità la conoscenza di sé: la psicoanalisi non è una psicoterapia, anche se l’attività psicoanalitica può avere effetti terapeutici”.
E basta prendere atto dello statuto che Freud ha dato alla psicoanalisi per non poter respingere questa istanza.
Grande!
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