“Nelle cripte del Tribunale Vescovile di Saragozza, al cader di una sera di tanto tempo fa, il venerabile Pedro Arbues d’Espila, sesto priore dei domenicali di Segovia, terzo Grande Inquisitore di Spagna – seguito da un ‘fra redemptor’ (maestro torturatore) e preceduto da due famigli del Santo Uffizio, che reggevano delle lanterne – scese verso una segreta perduta”. È l’incipit de La torture par l’espérance di Villiers de L’Isle-Adam (La speranza, ne: Il convitato delle ultime feste, FMR 1980), e nella cella c’è rabbi Aser Abarbel, che “da più di un anno [è] stato quotidianamente sottoposto a tortura”, ma non si è ancora deciso a convertirsi, sicché “il venerabile Pedro Arbuez d’Espila [ha] le lacrime agli occhi, pensando che quest’anima così ferma si priva[…] della salvezza”. L’Inquisitore va ad annunciargli che l’indomani ci sarà l’autodafé, che talvolta spinge l’infedele a convertirsi in extremis e visto che con lui ogni opera di persuasione è stata vana…
Volevo esprimere un concetto prendendo a prestito dalla letteratura e Villiers de L’Isle-Adam mi tornava a fagiolo. Ma non voglio intrattenermi troppo sul racconto e arrivo subito al punto. In breve: quando l’Inquisitore e i suoi si ritirano, Aser scopre che la porta della cella è stata lasciata inavvertitamente aperta; e scappa, col cuore in gola scappa, è la sua ultima speranza; e incrocia pure due sgherri, che – pare un prodigio – sembrano guardarlo senza vederlo; e arriva infine a trovare rifugio in grande giardino che sembra un paradiso; e lì sente abbracciarsi da dietro; e sono le paterne braccia di don Pedro; che gli dice: “Ma come, figlio mio! Alla vigilia, forse, della salvezza… volevate dunque lasciarci!” (trad. Claudia Weiss).
Il concetto che volevo esprimere è quello della crudeltà che sta nell’amore di chi ti vuole salvare ad ogni costo, avendo un’idea di salvezza esattamente opposta alla tua. Non ha gli strumenti del Tribunale Vescovile di Saragozza, oggi, e dunque si limita a torturarti con la molestia, e talvolta ti illude che puoi eluderla, ma è pura crudeltà: si tratta di un gioco sadico. Sua Eminenza, per esempio, attacca dicendo: “Riflettendo sul senso dell’educare, mi sono visto io per primo sempre bisognoso di educazione”. Poi ridacchia e fa: “Gesù è l’esempio a cui ispirarsi, non solo per i credenti” (Avvenire, 20.2.2011).
Per chi volesse dare un'occhiata all'originale:
RispondiEliminahttp://fr.wikisource.org/wiki/La_Torture_par_l’espérance
Il racconto fornisce anche la trama de "Il prigioniero" di Dallapiccola. Ricordo che quando lo vidi per la prima volta, da bambino che ancora andava al catechismo (ma appassionato di opera), mi vennero i brividi e cominciai a fare domande sull'inquisizione ecc. Fu il primo passo in direzione della libertà dalla religione. Vedi che pure la dodecafonia serve a qualcosa...
RispondiEliminaAle
grazie nihil
RispondiEliminaGesù era quello che non scese a compromessi coi sacerdoti del tempio, mi pare. Be', ispiriamoci a lui allora e mandiamo in culo i sacerdoti.
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