lunedì 14 febbraio 2011

Le grandi strategie non si fermano davanti agli incidenti di percorso


Alessandro Gilioli riporta “le reazioni un po’ isteriche e un po’ ridicole” al “successo delle manifestazioni di ieri” e la “prova del nove” torna: “il boss e i suoi” sembrano aver sofferto davvero quel milione di donne in piazza. Sembra averlo sofferto pure Giuliano Ferrara, che però non fa l’errore di sminuirne il peso, ma anzi prova ad esagerarlo per meglio indicarlo come un pericolo del quale non è chiamato a preoccuparsi solo Silvio Berlusconi, ma tutto il mondo politico e soprattutto “Napolitano, Bersani, D’Alema, Letta, per non dire di altri politici professionali che la faccia ce la mettono, le elezioni le vincono e le perdono”, e insomma di quanti vogliono guidare la piazza e non farsi guidare da essa.
La piazza piena di gente, per Giuliano Ferrara, cova sempre tentazioni allo Stato etico e dà sempre fiato a un golem che una volta si chiama Cromwell, una volta Robespierre, una volta Khomeini… Naturalmente questo non vale quando la piazza piena di gente è San Pietro, e quando la manifestazione è il Family Day: lì il puritanesimo, il giacobinismo e la teocrazia non sono materialmente possibili, perché si tratta del popolo cattolico, e il puritanesimo è protestante, il giacobinismo è massone e la teocrazia è islamista… Orsù, eroicomiche pennine di Lungotevere Raffaello Sanzio, dateci dentro, mostrate a lor signori quanto sono tolleranti, i cattolici. Tu, Agnoli, racconta quella che le streghe le hanno bruciate sono i luterani. Gli ebrei? Meotti, scrivi che li hanno perseguitati solo i nazisti. Chi vuole deliziare il cerebro del signor direttore dimostrando che i gay sono fatti oggetto di discriminazione solo in Iran e che in fondo Buttiglione li adora?

L’invito è a un impegno comune contro questo pericolo. Un impegno comune di maggioranza e Pd, con la benedizione del Capo dello Stato. Sta al Pd, in questo caso, fare il primo passo: non deve cavalcare l’onda della piazza per non farsene travolgere verso “la comune rovina”. Di qua c’è un Mubarak, ma di là c’è il rischio di una deriva islamista: siamo sicuri che convenga lisciare il pelo alla bestia? “Abbiamo bisogno di due cose – scrive Giuliano Ferrara – per emendarci e tornare a essere una grande nazione europea capace di distinguere tra il conflitto e il regolare funzionamento delle istituzioni: che il Parlamento torni a rivendicare il suo primato politico, e con coraggio fermi la mano giudiziaria che attenta alla pace civile per ragioni squisitamente politiche, e che Berlusconi esca dall’incantesimo e ritrovi quella calma e serena visione delle cose decisiva, per uno statista come Giovanni Giolitti, al fine di governare lo Stato”.
Solo tattica con la finalità di spaccare il fronte delle opposizioni, una volta tanto unito (anche se soltanto sulla questione portata in piazza dalle donne)? Non solo, perché Giuliano Ferrara non è servo di cortile, ma domestico di stanza: parla all’orecchio del Principe, ma ispirato da una visione strategica, da un progetto di società. Da quando è morto don Gianni Baget Bozzo, i suoi consigli valgono di nuovo attenzione, tanto più che hanno il pregio di uno schema grossolano, che in fondo è grandioso: consociativismo partitocratico con un controllo differenziato del consenso e una compartecipazione agli utili di tutta la classe dirigente disposta a farsi responsabile del sistema per la parte che gli tocca in gioco, vinca o perda. È l’altrimenti detto “primato della politica”, inteso come esercizio democratico, ma tendendo conto che l’unica democrazia possibile è un’oligarchia trasversale agli schieramenti.

Questa chiamata all’inciucio non è solo da posizioni di debolezza come quella attuale – dalla lettera aperta a Bersani (Corriere della Sera, 30.1.2011) all’editoriale di questo lunedì 14 febbraio – ma anzi dà il meglio di sé quando è espressa da una posizione forte, come fu all’indomani delle elezioni politiche del 2008.


Qualcuno come andò a finire? “«Alla vigilia della presentazione del governo in Parlamento per la fiducia, il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, ha telefonato al leader dell’opposizione, onorevole Walter Veltroni». Così il comunicato di Palazzo Chigi. Dunque Berlusconi ha deciso di incontrare Veltroni subito dopo il voto di fiducia al governo, per «avviare un confronto continuativo tra maggioranza e opposizione». […] «Lo considero un atto che può apparire inusuale, alla luce di quello che è successo negli ultimi quindici anni, ma che è normale», dice [Veltroni] al termine della riunione del governo ombra. «Non gli darei troppa enfasi», aggiunge. […] È evidente che Veltroni deve tenere un difficile equilibrio, per evitare che le prossime scelte del Pdl sulla Rai vengano interpretate come un prezzo pagato sotto banco al tavolo delle riforme” (Il Foglio, 13.5.2008). Qualche giorno dopo: “Veltroni cita il giurista Piero Calamandrei, a tutela sì del diritto delle minoranze a controllare, però anche delle maggioranze che decidono. Strette di mano. Incontri già fissati. Non si sa quanto durerà l’età dell’oro” (Il Foglio, 15.5.2008). “Tra le proposte sul tavolo del dialogo tra maggioranza e opposizione, e forse già nel menu del pranzo di oggi tra Walter Veltroni e Silvio Berlusconi, a quanto pare, non ci sono solo la soglia di sbarramento alle europee, i regolamenti parlamentari e le nomine Rai. C’è anche il federalismo fiscale. Nel Pd, infatti, sono in molti a pensare che su questo tema l’opposizione dovrebbe «sfidare la Lega». Così la pensa, per esempio, Goffredo Bettini, convinto che la linea del «barrage» sul federalismo fiscale sarebbe un errore. Il principale stratega veltroniano sostiene che il Pd dovrebbe avere il coraggio di avanzare sue proposte, anche «molto audaci»” (Il Foglio, 16.5.2008).
Era il cosiddetto CaW., ma adesso sapreste più dire di cosa si trattava? Di spaccare il Pd e intanto corteggiare Casini, in quanto a tattica; di cercare di ampliare la base del consenso consociando chi volesse starci, in quanto a strategia. Tutti complici, nessun ladro.
Non andò a finire bene: Veltroni non ebbe quello che chiedeva. “Caro Giuliano, [...] voglio dirlo a te con chiarezza: in politica i gesti hanno i loro effetti. E dunque la totale inaffidabilità politica e personale di Silvio Berlusconi ha reso impossibile la prosecuzione del cammino, il raggiungimento delle convergenze sulle riforme indispensabili per il Paese. E pensare che questo è, sarebbe, il Parlamento ideale per fare le riforme. [...] Le condizioni ci sarebbero. Ma tutto è stato vanificato per volontà di una parte” (Il Foglio, 28.7.2008). Il Cav. pensa solo ai cazzi suoi, caro Giuliano, e vorrebbe comprarci per un tozzo di pane: spiacenti, non se ne fa niente.

Colpa del Cav., se ci siamo persi un’altra Età di Giolitti, o del W.? Non lo sapremo mai, però sappiamo che le grandi strategie non si fermano davanti agli incidenti di percorso.


Insomma, vorrei dire: Ferrara fa il suo mestiere, ma com’è che finisce sempre per trovare un Violante, un D’Alema, un Veltroni e domani, chissà, un Renzi da riuscire a convincere almeno per il tempo che basta a salvare il culo quando sembra perso? E com’è che non funziona mai? E com’è che Ferrara ritenta sempre?


2 commenti:

  1. Riesce sempre a trovare il boccalone di turno perché ognuno nell PD ha il sogno di passare alla storia come il Grande Riformatore, essendo sfumato quello del Grande Rivoluzionario. Berlusconi gli lascia intendere che gli farà fare le Grandi Riforme che lo consegneranno alla storia, giusto il tempo di permettersi di salvare il culo appunto, e poi lo molla piagnucolante nella polvere. E perché mai il Cavaliere dovrebbe voler cambiare un sistema che gli ha permesso di comprarsi la Repubblica (intesa come paese, non come giornale, anche se è andato vicino pure a prendersi quello, di diventare l'uomo più ricco e potente d'Italia? Ha tutto l'interesse semmai a perpetuare il sistema, anzi a renderlo sempre più efficace secondo il suo punto di vista. E Ferrara, che mai ha perso l'affetto e il rispetto dei vecchi compagni, manda messaggi che vogliono significare: qui c'è da mangiare per tutti, smettetela di fare i difficili, abbandonate le ultime e poche remore, non si sta poi così male qua, anzi.

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  2. "E com’è che non funziona mai?"

    Mah, a me sembra che funzioni sempre. Ogni volta che potevano affondare B., i sinistri si sono fatti abbindolare e lo hanno salvato.

    A tale proposito è illuminante "Ad Personam" di Travaglio.

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