Stabilito che “un’oligarchia ben organizzata assomiglia molto a una democrazia possibile” (Il Foglio, 22.5.2008), non resta che organizzare bene l’oligarchia e smetterla col rincorrere democrazie impossibili. In primo luogo, per evitare che qualche rompiballe sollevi la questione che oligarchia è una cosa e democrazia un’altra, occorre dare alla prima almeno una parvenza della seconda, e dunque occorre che gli oligarchi sappiano sostenere entrambe le parti che stanno nel gioco democratico: i rappresentanti della maggioranza e quelli dell’opposizione dovranno dichiararsi alternativi gli uni agli altri e, quando non dovessero apparire tali, dovranno dichiararsi consociati in vista dell’interesse generale, che così sarà fatto sovrapponibile a quello dell’oligarchia, facendo apparente equivalenza tra tenuta del sistema democratico e inattaccabilità del patto consociativo.
In realtà, i rappresentanti della maggioranza e quelli dell’opposizione dovrebbero essere consociati ab initio in quanto appartenenti alla stessa élite oligarchica, o almeno così dovrebbe essere, e tuttavia non sempre accade: talvolta capita che tra chi interpreta la parte di rappresentante della maggioranza e chi interpreta quella di rappresentante dell’opposizione si perda di vista il fine ultimo della rappresentazione e si finisce per smarrire il senso di appartenenza ad un’unica élite. Capita, ad esempio, che quella forma di oligarchia che è detta partitocrazia possa subire una frattura interna, dando vita a due centri di poteri, distinti e alternativi per davvero, sostanzialmente motivati dallo stesso intento, che è l’esclusivo esercizio del potere, ma col rischio che a nessuno dei due riesca troppo agevolmente.
Si tratta di situazioni che mettono in serio pericolo il controllo oligarchico di una società, col rischio di rimettere nelle mani dei più il potere che i pochi non sono intenzionati a spartirsi. In tali situazioni, in nome dell’unica democrazia possibile, diventa necessario – anzi, indispensabile – che la frattura si ricomponga, e qui il patto consociativo non sarà più soltanto la rappresentazione di un compromesso tra maggioranza e opposizione per la tenuta del sistema democratico, ma una vera e propria misura emergenziale per rifondare ex novo un’oligarchia ben organizzata.
A cosa dovrà assomigliare un’oligarchia ben organizzata che pretenda di essere considerata come sola democrazia possibile in una repubblica parlamentare? Ad una partitocrazia che regga ad ogni rischio di frattura interna. “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale” (Costituzione, art. 49), ma dicevamo che “un’oligarchia ben organizzata assomiglia molto a una democrazia possibile”: se questa oligarchia è trasversale ai partiti, il solo metodo democratico possibile è quello che assicuri all’élite partitocratica il pieno controllo di entrambe le parti in gioco. In altri termini, i dirigenti dei partiti di opposizione devono essere fatti consci, se non lo fossero, della possibilità di concorrere a determinare la politica nazionale da consociati, piuttosto che da concorrenti: il concorrere, infatti, indica il competere ma anche il collaborare e, quando si collabora nel costruire una democrazia possibile, c’è bisogno di una “concertazione tra tutte le forze sociali, per una sempre migliore calibratura nella distribuzione dei poteri corporativi [e c’è bisogno di] un incontro tra esecutivo e businessmen per stabilire dove e come investire [perché] riforme è parola generica per indicare un orizzonte e una nuova strumentazione legislativa fondata su liberalizzazioni e deregolamentazioni [ma poi ci sarebbe bisogno pure di un] Bersani [che] amasse [tanto] il suo mestiere [da] votare quanto necessario in Parlamento” (Il Foglio, 28.2.2011). Insomma, salviamo la democrazia possibile.
fa paura
RispondiEliminaO Franza o Spagna, purché se magna.
RispondiEliminaOvviamente non nel banale senso popolaresco del desinare.
E neppure, soltanto, in quello del vile denaro: soprattutto potere e fama sono il magnare di cotali tomi. E non è manco il magnare in sé che mette loro appetito, ma il magnare più degli altri, sia strafogandosi per sé o sia pure affamando gli altri.