Non so più dove, ma potrebbe trattarsi dei Frammenti postumi del 1888 o del 1889, Friedrich Nietzsche scrive – ne do versione grossolana – che preferisce polemizzare con un cattolico piuttosto che con un protestante, e con un cattolico tradizionalista piuttosto che con uno progressista, con uno zelante piuttosto che con un aperturista, con un fanatico ultramontanista piuttosto che con un cristiano-socialista.
Come non capirlo? Quando la fede in Dio non riesce ad adeguarsi alle ultime conseguenze della sua incarnazione in Cristo e del mandato di Cristo a Pietro, si polemizza col molle che è impenetrabile, con l’eclettismo dei cristianesimi fai-da-te, con le logiche di privati catechismi stretti in trecciolina coi disturbi della personalità e del comportamento, con declinazioni psicologiche e sociologiche della fede, lungo il gradiente tra fatalismo e superstizione… Insomma, si corre il rischio di impazzire: si polemizza con uno sciame di posizioni.
Dovendo polemizzare col cattolicesimo, meglio scegliersi un avversario serio, un cattolico come-si-deve, a misura di Catechismo e di Codice di Diritto Canonico, evitando quei cattolici per-modo-di-dire, che peraltro non contano mai un cazzo nella Chiesa e regolarmente devono essere ripresi dai pastori e dai loro cani da guardia laici, per essere riportati nell’ovile dell’obbedienza.
Se devo dimostrare il crimine che la Chiesa consuma da sempre, voglio polemizzare con chi pensa che quel crimine sia un diritto sacro, così non si cincischia e arriviamo al sodo: la pretesa di asservire l’intera umanità a un unico fine, che sta già nel mezzo impiegato: ricondurre alla verità dell’incarnazione e del mandato a Pietro: voglio dire: tra un cattolico che vuole una Chiesa povera e profetica e un cattolico che la vuole ricca e prospera, non ho dubbi: il vero cattolico è il secondo. E questa era la premessa.
La convinzione che la pretesa abbia la sua ragione nella sua stessa fondazione fa della Chiesa un corpo mistico e il suo motore, sicché non c’è dubbio – non ci può essere – che legittimamente la Santa Sede Apostolica abbia bisogno di benzina. E tuttavia c’è chi – dentro e fuori la Chiesa – la vorrebbe povera, almeno per non vedersela di continuo in mezzo agli imbrogli lucrosi che ne compromettono la credibilità del magistero morale e sociale. Superfluo dire che “povera materialmente può essere una Chiesa rinunciataria, questo sì, che vive soltanto nei cuori, nello spazio individuale e comunionale, ma non in quello pubblico” (Il Foglio, 24.6.2010). E tuttavia qui siamo ancora reticenti: si sente ancora un poco di imbarazzo nel dichiarare il diritto di arricchirsi, infatti viene mischiato al dovere di farlo. Inutile polemizzare con questa posizione, meglio qualcosa di più fiero, giusto per cercare di individuare l’oggetto della fierezza.
Da un sito web gestito da cattolici tradizionalisti: “Immaginiamo una Chiesa povera... ma immaginiamolo veramente, fino in fondo! Essa di certo diventerà nel giro di qualche anno molto meno visibile sui mass media. Sarà soppiantata da altre religioni anche in occidente. Una Chiesa povera porterà a vivere delle sole offerte dei fedeli, quindi a dover rinunciare a tante opere che ora si sostengono con l’8 x 1000. Non avremo più fondi per costruire chiese nuove, ad esempio, al massimo riusciremo a riparare alcune delle vecchie, ma si sa, prima o poi ricostruire diventa più conveniente che rappezzare… Dovremo rinunciare a dare un po’ di stipendio ai nostri preti, che di conseguenza dovranno andare a lavorare per vivere e così avranno meno tempo per la pastorale. Una Chiesa povera forse sarà più evangelica, ma realisticamente perderà tanti fedeli perché verrà vista come qualcosa di troppo provocatorio, troppo diverso da ciò a cui siamo abituati. Ma diventare una minoranza, aver meno fedeli al proprio seguito significherà anche essere meno corteggiati da partiti politici e capi di Stato, che non troveranno più di grande utilità a stabilire una convergenza con le vedute del pontefice... Bene, siamo sicuri di volere una Chiesa così? Se la Chiesa fosse così, ci impegneremmo di più al suo interno o ne staremmo fuori ancora un po’ di più?”.
Cristo possedeva la tunica che portava addosso? Se dobbiamo tornare a discuterne, stavolta per Sepe come la volta scorsa per Marcinkus, lasciamo da parte la retorica de Il Foglio che cerca di dare nobiltà ai pacchi di denaro e ai milioni di metri cubi di immobili individuandone lo scopo nel tramandare la memoria di Francesco di Assisi. (Probabile che Lunardi si fosse impegnato col cardinale Sepe a imparare a memoria i Fioretti.) Meglio un cattolico come-si-deve, per il quale la Chiesa non deve essere “qualcosa di troppo provocatorio”, e che non deve proporre nulla che sia “troppo diverso da ciò a cui siamo abituati”: un sano conformismo, insomma. Una Chiesa che non perda visibilità sui mass media, che non conti sulle sole offerte volontarie, ma sappia escogitare i modi per mantenere il suo apparato, dandogli gli strumenti per vederlo sempre meno incisivo... O volete che il pontefice non sia più corteggiato da partiti politici e capi di stato? Senza potere e senza denaro come si creano le “convergenze”?
Eccoci ancora al centro esatto della questione: se il fine ultimo è sussistere, il mezzo è moralmente giustificato. Evviva.
Come si suol dire: i fine giustifica i mezzi
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