giovedì 13 maggio 2010

A gentile richiesta, due parole su Di Pietro


Paolo Garbet mi fa: “Nel 99% dei casi mi trovo d’accordo con tutto quello che lei scrive, ma quando parla di Di Pietro non la seguo più. In un paese devastato da corruzione e illegalità, e definitivamente seppellito da un debito pubblico che in parte è causato proprio dalla corruzione, c’è un solo politico che ha il coraggio di dire: chi delinque deve andare in galera. D’accordo, non sarà il massimo come eloquenza o leadership, ma perché stroncarlo in questo modo?”.
Ottimo argomento per un post, ma bisogna rettificare due o tre cosette. Mai rimproverato a Di Pietro deficit di eloquenza, perché quello è il suo deficit più scusabile, mentre ne ha uno che mi è sempre parso incolmabile, e su quello – quasi solo su quello – ho sempre appuntato le mie critiche (stroncature mi pare termine esagerato): il deficit di quella cultura che riconosce garanzie all’indagato, all’imputato e al condannato.

Ciò che mi dà un fastidio davvero insopportabile in Di Pietro – da sempre, fin dal 1992 – è la sua insofferenza ai limiti che l’indagine deve rispettare per non degenerare in tortura (fisica e psicologica), ai limiti che sono posti alla pubblica accusa in quella sostanza che fa la forma della procedura (penso che siano meglio dieci colpevoli in libertà che un solo innocente in carcere), ai limiti che devono essere posti alla pena perché non si esaurisca in vendetta, funzione che peraltro non le è nemmeno riconosciuta (dovrebbe essere finalizza al recupero del condannato, diteglielo).
Non mi si fraintenda: credo nella necessità di combattere la corruzione e l’illegalità, e credo nella necessità della certezza della pena, tutt’è capire a quale prezzo, e ritengo che quello chiesto da Di Pietro costi un di più che serve a reclutare consenso.

Qui mi torna utile l’osservazione che mi fa un lettore che si firma incubomigliore: “Di Pietro, a mio parere, veste i panni di un semplice notaio, più che di un giustizialista. Il problema è che da noi pure il notaio diventa un barbaro forcaiolo se dall’altra parte la menzogna è imperativo. La metafora, l’iperbole e l’esagerazione e le loro eco fanno poi parte sicuramente del costume politico in generale, e del personaggio più in particolare, ma esse non sono da essere confuse con la sostanza”.
La sostanza sarebbe che gli arresti domiciliari equivalgono alla libertà per i passati in giudicato all’ultimo anno di detenzione? Era una proposta fatta per rendere un poco più decenti le nostre carceri sovraffollate: quale retroterra culturale la rigetta perché gli arresti domiciliari equivarrebbero allo sconto di un anno sulla pena?

Ma naturalmente non si tratta solo della cultura del diritto. Di Pietro non mi piace perché è speculare a Berlusconi. Come lui, è il suo partito e – insieme – ne è il proprietario, sicché come Berlusconi esagera nel mostrarsi padrone di sé, ma ne ha tutto il diritto. Troppo per chi, come me, ha orrore dei partiti come momento di promanazione carismatica e/o patrimoniale. (Insieme a Berlusconi e a Di Pietro metto pure Pannella e Bossi.)
D’altra materia rispetto a quelle usate da Berlusconi, ma le sue metafore, le sue iperboli e le sue esagerazioni hanno in comune a quelle la cifra populista, sentimentalista, con irrimediabile vocazione plebiscitaria, negazione più che esplicita di quell’apatia e dello scetticismo che dovrebbero fare la neutra laicità (in senso lato) dello spazio liberaldemocratico.

Sull’Italia dei Valori non vorrei dire troppo, mi fido di quello che ho letto su un numero di MicroMega di qualche tempo fa. (Non mi risulta che MicroMega sia rivista ostile a Di Pietro, ma l’affresco del suo partito era di merda: in mezzo a tanta brava gente, certi figuri di pessima fama, e pessimissima pure. Partito tutt’altro che adamantino, e mi pare che Di Pietro l’abbia pure ammesso, almeno in parte. E non parlo di Sergio De Gregorio, ma di roba recentissima. A naso, ho il sospetto che ce ne sia di molt’altra, per ora sommersa. Ma non vorrei che questo sospetto mi stigmatizzasse come dietrologo, forcaiolo e giustizialista, tanto meno come irrispettoso dell’onore di tutti e di ciascuno: diciamo che parlo del tutt’insieme.)

In ultimo, come fa l’antisemita che vanta di avere molti amici ebrei, vorrei dire la mia figlia maggiore vota IdV e che alle ultime regionali ho curato la campagna elettorale di un candidato dell’IdV in Campania, a gratis. Testi assai vibranti, ho scimmiottato Travaglio.

6 commenti:

  1. "il deficit di quella cultura che riconosce garanzie all’indagato, all’imputato e al condannato".
    Caro Luigi, se lei fosse una bella fica, per una frase così, le darei un bacio in bocca.

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  2. Grazie per la risposta. Tutto condivisibile. Certo però che, tenuto conto della situazione in cui ci troviamo, con la corruzione elevata a forma di governo e con la legalità derisa senza vergogna in diretta televisiva, mi viene naturale scegliere il male minore. Vorrei anche aggiungere che, per quanto riguarda la presunta mancanza di rispetto da parte di Di Pietro delle garanzie per gli imputati, questa immagine è stata in larga parte costruita ad arte dalle televisioni, e il motivo è facile immaginarlo. Comunque si tratta come sempre di decidere se una cosa è più o meno grigia. Niente è sempre o bianco o nero.
    Saluti

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  3. Alla fine condivido abbastanza parecchi punti, e forse la differenza sta nel peso che do a ciascuno. Di particolare rilevanza quella sugli elementi reclutati da Di Pietro, di cui il Sergio De Gregorio può aver rappresentato la punta di un iceberg. Mi sono dato la risposta che il partito scarno dal punto di vista della storia, dell'organizzazione e delle proposte, non ha una colonna vertebrale costruita dal basso ed ha dovuto reclutare, allo scopo unico di fare numero, chi era già in giro sulla piazza (politicanti?).

    Passando ai distinguo, a partire da un argomento correlato a questo ultimo. Nell'ottica "padronale" e personalizzata del partito, oltre che populistica, una distinzione non di poco conto con Berlusconi è che Di Pietro non ha la pretesa di diventare il capo di tutto. Anzi, sono convinto che sarebbe un fedele sostenitore di un candidato di un altro partito se di suo gradimento minimo. Quello che si chiamerebbe un alleato affidabile. Quindi se nell'ottica intra partitica il ruolo rivestito da Di Pietro è contestabile, in una inter partitica le cose potrebbero addirittura ribaltarsi.

    Detto questo, condivido quello che hanno osservato anche altri, che Di Pietro è per una certa misura un alter ego di Berlusconi.

    Sulla questione arresti domiciliari. Beh, questo è vero, equiparare questi ultimi alla libertà è incongruo (pur non essendo io stesso convinto che un paese moderno possa intraprendere queste misure tampone per affrontare quel tipo di problemi), ma forse l'approccio non è così minaccioso alla prova dei fatti. Io vedo infatti Di Pietro un po' come un poliziotto, un commissario Montalbano, uno che vorrebbe sempre avere mano libera se solo potesse: solo che Montalbano non sbaglia mai nelle sue intuizioni, mentre nella realtà ci si può sbagliare nel ritenere qualcuno colpevole. Ma poi per fortuna in entrambi i casi c'è il guardiano, il gip di turno, o l'alleato politico, che dovrebbero svolgere un ruolo di garanzia.

    In una coalizione, e lo si è visto alla prova dei fatti quando sono stati al governo, anzi in modo persino troppo sbilanciato sull'altro fronte, a Di Pietro ci sarà sempre qualcuno che metterà i freni e ricorderà che la polizia svolge un lavoro meritorio ma che le garanzie devono comunque esserci, anche quando si fosse visto giusto.

    Questi elementi, sommati insieme a tutti gli altri, fanno sì che dal mio punto di vista il critico Di Pietro resti comunque principalmente una figura di garanzia della democrazia più che di minaccia al garantismo. Anzi, per come si è ridotta la sinistra ufficiale, egli finisce per diventare quasi una manna dal cielo, un catalizzatore di preferenze che è meglio non chiedersi che fine farebbero altrimenti (nell'ottica più ottimistica si limiterebbero in blocco a disertare i seggi elettorali). Questo lo dico anche senza considerarmi un suo elettore o fedele sostenitore.

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  4. Lei, Malvino, è decisamente un anima bella....
    e se intravvede in questa mia affermazione un po' di ironia, ha proprio ragione

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  5. >>"definitivamente seppellito da un debito pubblico che in parte è causato proprio dalla corruzione"

    Il rapporto causa-effetto è inverso, ma Di Pietro non lo ammetterà mai. Anzi, lavora in tal senso. Però possiamo sempre raccontarci che è tutta colpa delle vallette di Berlusconi rimpiangendo lustri di prosperità sociale garantita da celerini e professori con scopa in culo dotati di grande senso dello Stato (in particolare del bilancio dello Stato).

    >>dovrebbe essere finalizza al recupero del condannato

    Andiamo... il carcere non serve certo a lavare il peccato come vuole certa mitologia recente (laica e non, quali politicanti bazzicano i carceri? Radicali comtrattinopassionevoli e vescovi), ma a provocare diarrea ogni volta in cui si viene sfiorati dall'idea di violare la Legge.

    Sui pezzi di carta si possono scrivere tante belle parole, ma la ratio del sistema carcerario è la deterrenza. O, peggio, l'eliminazione fisica e il "recupero".

    Se il carcere fornisse vitto e alloggio decenti, promuovesse attività culturali e formative e fosse sorvegliato a vista da psicologi invece che da aguzzini, ci sarebbe la fila per entrare.

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