venerdì 30 aprile 2010

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L’eroe che Il Foglio ci propone oggi, affidando la sua avventura alla sapiente cura di Nicoletta Tiliacos, è il cappellano dell’ospedale di Rossano Calabro (Cs), quel don Antonio Martello che andando per feti morti ne ha trovato uno vivo, e tutto eccitato attacca: “Quello che ho visto accadere domenica scorsa non mi era mai capitato prima”. Talvolta si eccitano con poco: basta che respiri.

La tregua


Quando ti viene offerto come affarone l’acquisto di x al prezzo di xv ≤ cg (dove xv sta per il valore dichiarato di x e cg sta per “il costo di un caffè al giorno”), qualunque cosa sia, abbonamento o tessera, tieni presente che raramente il barman sputa nella tazzina del caffè prima di mettertela davanti.

La gentile signorina che continuava a telefonarmi dallo 06/6826 (anche tre volte al giorno) ha finalmente afferrato il mio ragionamento, e da qualche giorno mi dà tregua.

giovedì 29 aprile 2010

Oggi la Divina compie 40 anni


“È mia, è mia!”


In un partito carismatico il meme non fluisce solo dal leader agli accoliti: meno evidente, certo, ma c’è un flusso di memi dal basso verso l’alto, sennò da dove piglierebbe, Berlusconi, le barzellette che racconta?
Non voglio parlare del Popolo della Libertà, ma dei radicali, prendendo a esempio la barzelletta che Pannella deve a Bandinelli, e di cui Bandinelli tiene a rivendicare la paternità con un orgoglio molto liftato, riproponendone lo sketch un giovedì sì e un giovedì no dalle pagine de Il Foglio, come stavolta: “Ho più volte espresso il mio dissenso nei confronti delle posizioni culturali e politiche di stampo laicista, e per questa mia avversione ho avuto rimbrotti e diffidenze anche da parte di amici e sodali”.

Quando la racconta Pannella, la barzelletta di Bandinelli è irriconoscibile, perché arricchita dai contributi di Pullia (roba new age), di Strik Lievers (armoniche cielline) e di Di Leo (fronzoli ratzingeriani). E però Bandinelli legittimamente saltella strepitando: “È mia, è mia!”, perché l’impalcatura della barzelletta è sua, è sua.
In breve, siamo dinanzi ad una “grande sfida politico/culturale alla quale né la laicità né la religiosità possono sottrarsi, pena la sconfitta”, e il loro nemico comune è il laicismo, una bestia atea, materialista, intollerante, che, a sentire il nostro, piglierebbe origine da Filippo il Bello, diventerebbe massonico per andare a innervare lo stato nazionale, fino a ispirare Lenin, Atatürk e Saddam Hussein. È che, quando s’accalora, Bandinelli si fa vento con le sue vecchie garzantine.

Laicità e religiosità contro laicismo, perché vera laicità è genuinamente religiosa (a meme metabolizzato, Pannella dice che i radicali sono alfieri della “religione laica”), mentre il laicista è ateo (senza nemmeno essere ateo devoto, sennò Bandinelli sarebbe disposto a chiudere un occhio).
Crocianesimo di risulta, insomma, la metafisica del pannellismo di stretta ortodossia.

Post





Luca Sofri non è molto soddisfatto di quella che sarebbe stata – scrive“la mia prima puntata di Ballarò”. Ce ne sarà almeno una seconda, dunque, e sarebbe interessante sapere chi gliene abbia dato assicurazione. Soprattutto sarebbe interessante sapere se questa assicurazione gli è stata data prima o dopo quella puntata.
Se gli è stata data dopo quella prova che egli stesso giudica infelice, avrebbe ragione a scrivere che “ci possono essere casi di incompetenze promosse senza che se ne capisca la ragione”. Se gli è stata data prima, invece, prenderebbe forza l’ipotesi avanzata da L’89, quella di “uso di mezzo pubblico a fini pubblicitari per un editore esterno”, dando ragione a chi sostiene che questo porrebbe gli estremi di conflitto di interesse, come fa Daniele Sensi, che a ragione commenta: “Si fosse trattato di personalità vicine al centrodestra, oggi la blogosfera tutta, costernata ed indignata, non parlerebbe d’altro”.
E invece se ne parla pochissimo, e quel pochissimo è affettuosamente soffice o ambiguamente reticente, fatta eccezione per Fulvio Abbate, che a Luca Sofri dà del “figlio di papà”, rinfacciandogli di godere dei benefici di un “supponente nepotismo di sinistra”: solo Abbate riprende l’immagine che Roberto Cota ha evocato a Ballarò per rintuzzare le maliziose insinuazioni di Sofri jr. su Bossi jr., quella del bue che osa dare del cornuto all’asino, e solo Jimmomo arriva al categorico (“un paio di stronzate e antipaticissimo”).

Ho visto la puntata di Ballarò assai distrattamente ma, se incrocio al post di Luca Sofri quel che me n’è parso in tv, senza ironia e senza voler far lo strambo a tutti i costi, direi che mai come oggi quel suo musetto da carlino mi torna simpatico: sa che ha fatto una figura di merda e per un attimo mette da parte quella posa da Maurizio Costanzo della blogosfera, facendo dimenticare perfino la sua Maria De Filippi e l’annessa corte di Amici, Saranno famosi, ecc.
Devo dire che, anche se mi è sempre stato sul cazzo, mai come oggi Luca Sofri mi fa tenerezza, e quasi mi pento di aver tante volte espresso giudizi severi nei suoi confronti [*]. È capace di capire che ha fatto una figura di merda: non è poco, depone in suo favore.
Prometto che da oggi in poi lo seguirò senza pregiudizio.

 
 
[*] Ai tempi in cui friggeva patatine in un McDonald’s, Giulio Meotti mi chiedeva consigli su come farsi notare da Giuliano Ferrara e m’intratteneva quotidianamente sulle ingiustizie che il mondo fa patire ai figli di nessuno, e i suoi lamenti s’appuntavano spesso sui privilegi dei figli di papà, e Luca Sofri era l’antonomasia che preferiva. Ne sarò stato influenzato.

mercoledì 28 aprile 2010

Coda


“Se il bambino nasce vivo – scrive Paolo C – immagino che le cure che gli vengono prestate siano le stesse sia che si tratti di parto prematuro che di parto indotto per un aborto terapeutico. O sbaglio?”, che sbaglierò, ma mi suona come domanda retorica, a significare che nel commento alla vicenda di Rossano avrei eluso la questione centrale: che si è omesso il soccorso a un feto.
Credo sia utile portare in pagina ciò gli ho risposto in margine: “Certo, gli sono dovute cure, ma non devono configurare - come per chicchessia - accanimento terapeutico: se le condizioni cliniche sono tali da escludere ogni buon esito delle cure, il prolungamento di quella che è da considerare una agonia diventa sadismo travestito da pietà. Poi c’è anche un’altra questione: nei feti espulsi in bassa epoca gestazionale è assai difficile la diagnosi di avvenuta morte, c’è una possibilità di errore anche quando il feto è espulso per aborto spontaneo (o parto spontaneo in bassa epoca gestazionale). Insomma, è più grave che i medici abbiano violato la privacy della donna: consiglierei di non azzardare l’ipotesi di negligenza a loro carico, soprattutto in mancanza di rudimenti medici e di dettagliata anamnesi. Provo a immaginare - solo a immaginare - che «gravi malformazioni» possa significare, per esempio, un quadro oloprosencefalico come quello raffigurato in foto, che è frequentemente associato a patologie cardiache non correggibili chirurgicamente: perché prolungare la sua agonia, se sarebbe comunque destinato a morire all’uscita dall’utero, quand’anche a nove mesi finiti?”.

Direi che mette molto bene


damme tiempo ca’ te spertoso

È stato presentato l’Annuario Statistico della Chiesa e un comunicato della Sala Stampa Vaticana ne dà un succinto estratto che tiene a far presente: “A livello planetario il numero dei cattolici battezzati è passato da 1.045 milioni nel 2000 a 1.166 milioni nel 2008, con una variazione relativa di +11, 54%”.
Non v’è accenno al fatto che nel 2000 la popolazione mondiale fosse di circa 6.070 milioni, e nel 2008 di circa 6.697 milioni: ammesso che il battesimo renda cattolici di fatto, e per sempre, il cattolicesimo ristagna, forse ha persino un lieve calo. Ma il comunicato della Sala Stampa Vaticana non ne fa un mistero e parla di una “sostanziale stabilità della diffusione dei cattolici battezzati”, dando infine il giusto valore a quel “+11,54%” strombazzato in apertura.

La “sostanziale stabilità” è assicurata dall’Africa, perché “i cattolici europei vedono scendere il loro peso nel mondo dal 26,81% (2000) al 24,31% (2008)”.
Anche qui, naturalmente, bisognerebbe tener conto del fatto che l’Europa e l’Africa hanno indici di incremento demografico un pochino diversi, e dunque non possiamo dire che il cattolicesimo si stia africanizzando, come talvolta è nelle suggestioni lanciate da autorevoli esponenti delle gerarchie ecclesiastiche, quando vogliono inzuccherare l’amara pillola di un’Europa sempre meno cattolica.
In estrema sintesi, possiamo dire che, ben oltre tutti gli strombazzamenti, gli ultimi 5 anni del pontificato di Giovanni Paolo II e i primi 3 di quello di Benedetto XVI non hanno affatto assecondato quella connaturata tendenza all’espansione kata olos, che poi sarebbe la ragione sociale stessa del cattolicesimo, e anzi, anche se i numeri non sono ancora disponibili, c’è da ritenere che gli ultimi 2 anni del pontificato di Benedetto XVI abbiano frustrato in modo sensibile questa tendenza.

Ancora sarebbe poco, se non fosse che per sua stessa natura il cattolicesimo non è cosa possibile senza preti, e questi passano dai 405.178 del 2000 ai 409.166 del 2008: meno di 4.000 in più, a fronte dei 121 milioni di cattolici in più.
Impossibile far proiezioni, ma direi che mette molto bene.

martedì 27 aprile 2010

“Non solo non era morto, ma era ancora vivo”

Alcuni lettori mi hanno chiesto di commentare un articolo a firma di Melania Rizzoli, medico e deputato del Pdl, apparso oggi su il Giornale (Il feto sopravvissuto? È l’aborto choc che nessuno racconta). Devo premettere che avevo intenzione di intrattenermi sulla vicenda trattata nell’articolo già prima che mi fosse chiesto, però prendendo spunto da quanto oggi vi ha dedicato Avvenire (un editoriale di Assuntina Morresi, a pag. 2, e tre pezzi a pag. 4), robetta un po’ più seria, ma nemmeno troppo, e dunque partirò proprio da quanto leggo su il Giornale:
“Il cappellano del nosocomio di Rossano, in provincia di Cosenza, sabato scorso aveva saputo che la mattina presto era stato eseguito un aborto terapeutico nel suo ospedale, e verso le 12, dopo aver celebrato la messa e aver fatto il giro dei malati nelle corsie, si è avviato nella sala operatoria dove era avvenuta l’interruzione di gravidanza, per pregare per un’altra anima mai venuta al mondo. Il prete si è avvicinato al tavolo di metallo dove, in un fagottino di tela bianca, era stato deposto il feto di 22 settimane abortito da oltre quattro ore… e con orrore ha notato un movimento. Quando ha scostato il telo ha potuto constatare che il feto non solo non era morto, ma era ancora vivo”.
Lasciando da parte ogni considerazione sulla suspense affidata ai puntini sospensivi e sull’omaggio a Lapalisse (“non solo non era morto, ma era ancora vivo”), molte cose non quadrano.
Violazione della privacy: un cappellano in servizio in un ospedale non ha alcun diritto di accedere a informazioni come quelle che qui gli sono state date dal personale sanitario o parasanitario (sennò da chi?).
Violazione delle norme igieniche: non si può accedere liberamente in una sala operatoria se non si è medico o infermiere, ed è superfluo rilevare che l’esser prete non autorizza a entrare, ispezionare, toccare, ecc.
Prima di mettere da parte l’articolo della Rizzoli, però, c’è da segnalare un grave tentativo di disinformazione:
“Casi del genere succedono di frequente. Proprio così. Una gravidanza regolare dura quaranta settimane, per cui se un feto viene abortito oltre la metà delle settimane di gestazione, ma spesso anche prima, è molto probabile che nasca vivo. Anzi molto spesso nasce vivo”.
Bene, questo è falso: è molto probabile che nasca morto, anzi molto spesso nasce morto. Non sopravvive più del 2% dei feti nati a 21 settimane, non più del 5% a 22, non più del 12% a 23 e, in caso di feti con gravi malformazioni (è il caso di Rossano), queste percentuali hanno un drastico abbattimento.
Ma questo non è ancora il problema vero, credo. Il problema vero è che qui, ammantandosi di sentimentalismo, la disinformazione cerca di distogliere l’attenzione dai fatti.
In primo luogo, il feto in questione era gravemente malformato: se in grado di arrecare danno alla salute fisica e psichica della gravida, questa condizione è ragione sufficiente perché ella possa chiedere e ottenere l’interruzione della gravidanza (legge 194/1978, art. 6).
Pesava 300 grammi, il feto: in un’epoca gestazionale alla quale solitamente un feto pesa il 35-70% in più, questo rende estremamente probabile che le gravissime malformazioni di cui era portatore fossero incompatibili con la sopravvivenza a medio termine. In più, non si ha notizia di feto di così basso peso sopravvissuto più di 48/60 ore dall’espulsione, anche se sottoposto a forsennato accanimento terapeutico.
Un medico come la Rizzoli dovrebbe sapere tutto questo, ma è molto probabile che, quando scrive per il Giornale, se lo dimentichi, tutta presa da un fervore ideologico che la spinge addirittura a usare citazioni a cazzo di cane:
“In proposito mi vengono solo in mente i versi del poeta francese Guillaume Apollinaire il quale, scrivendo delle madri rinunciatarie, recitava: «Mettono bruscamente al mondo dei bambini, che hanno appena il tempo di morire»”.
Si dà il caso, infatti, che qui (Calligrammes, 1918) Apollinaire stia parlando dei giovanissimi caduti in guerra e delle madri che non hanno fatto in tempo a metterli al mondo per perderli al fronte, ancora giovanissimi. Tutt’altro che “rinunciatarie”, insomma.

Intermezzo


E ricordo che aveva pure l'alito pesante



Ebbi un battibecco col professor Evandro Agazzi, tempo fa. Oggi, me lo ritrovo su Avvenire che ripete più meno le stesse cose: “Lo scientismo pretende di spiegare qualsiasi cosa in termine puramente fisici”. Per evitare la deriva dello scientismo, la scienza dovrebbe lasciar spazio al metafisico?

Se l'arcivescovo di Stoccolma si disarcivescovistoccolmizzasse...



Avvenire, 27.4.2010: “L’arcivescovo svedese ha ammesso di aver peccato di negligenza nel non aver condotto prima un’indagine approfondita sul comportamento del prete accusato, e si è detto pronto ad assumersi tutta la responsabilità derivante da questa omissione, dichiarandosi disposto a rassegnare le proprie dimissioni dalla carica”.

Cosa sia necessario perché si dimetta, non si sa.

Priorità


In Kenia, entro quest’anno, la nuova costituzione approvata il 1° aprile sarà sottoposta a un referendum confermativo. I cristiani voteranno contro – lo apprendo dall’ultimo numero di Internazionale (843/XVII, pag. 21) – perché contrari su due punti: la possibilità di abortire, che comunque è concessa solo nel caso in cui la gravidanza metta a rischio la vita della gravida, e il riconoscimento delle corti civili musulmane, che implica una parziale introduzione della sharia nell’ordinamento giudiziario. Pare il governo stia trattando con le comunità cristiane per ottenere il loro sì al referendum, vedremo, ci terremo informati. Ma dovendo cedere su uno dei due punti – consentire che una donna abortisca se in pericolo di vita o che venga frustata pubblicamente se adultera – su cosa possiamo immaginare cederanno?

Scintille, ma poi


Pare abbastanza condivisa l’opinione che Gianfranco Fini e i suoi stiano “risalendo, in disordine e senza speranze, le valli che avean disceso con orgogliosa sicurezza” (4.11.1918).
Può darsi, ma a me pare una ritirata strategica.

Raab e Magister




Mosè riuscirà solo a vedere la terra promessa, sarà Giosuè a conquistarla militarmente, e i 24 capitoli del libro della Bibbia che porta il suo nome narrano, appunto, la conquista della Palestina e la sua spartizione alle tribù ebree. Anche qui, come in ogni componimento epico, l’efferatezza di ogni conquista militare è sublimata, sicché una puttana palestinese, Raab, che tradisce la sua gente ospitando e proteggendo due spie mandate da Giosuè in avanscoperta, assume la figura di donna salvata dalla sua fede nel Dio degli ebrei, ai quali offre i suoi favori in cambio dell’assicurazione che sarà risparmiata, insieme ai suoi cari, dal massacro che andrà compiendosi di lì a poco.
Una puttana utile alla causa è naturale venga trasfigurata in santa, non c’è da scandalizzarsi troppo, e infatti nell’edizione della Bibbia ad uso dei cattolici romani si legge nelle note: “Questa straniera, che con la sua fede e la sua carità salva tutta la sua casa, è diventata presso i Padri un’immagine della Chiesa” (editio princeps 1971, pag. 409). Immagine particolarmente comoda, trattandosi di una puttana.

La figura di Raab (anche Rahab o Rhaab) viene richiamata da Sandro Magister in un articolo che in fondo ha il solo scopo di bacchettare Gianni Maria Vian, il quale, “nel riferire l’incontro di Benedetto XVI con i cardinali nel quinto anniversario della sua elezione, […] ha scritto che «il pontefice ha accennato ai peccati della Chiesa, ricordando che essa, ferita e peccatrice, sperimenta ancor più le consolazioni di Dio»”: “c’è da dubitare che Benedetto XVI si sia espresso esattamente così – rintuzza Magister – […] la formula «Chiesa peccatrice» non è mai stata sua, l’ha sempre ritenuta sbagliata”.
Personalmente credo che Magister abbia ragione, ma che non tenga conto del fatto che Benedetto XVI non scrive neanche il 5% dei discorsi che pronuncia e, anche se vi apporta correzioni, è anziano, stanco, s’appisola durante le messe, insomma, potrebbe davvero essergli scappato quel «Chiesa peccatrice», che indubbiamente stravolge l’“immaculata ex maculatis” (“santa e composta di peccatori”), che è uno dei tanti graziosissimi paradossi prodotti dal bimillenario “intellettuale collettivo”.

Fu Ambrogio a costruire l’immagine della “puttana santa” in un passo (Expositio evangelii secundum Lucam, III, 23) che Magister riporta non già dal testo originale, ma da una citazione fattane dal cardinale Giacomo Biffi (lo dimostra l’inserimento di alcuni punti sospensivi in un punto dove sono assenti nel testo in latino – vedi foto): “Rahab, che nel tipo era una meretrice ma nel mistero è la Chiesa, indicò nel suo sangue il segno futuro della salvezza universale in mezzo all’eccidio del mondo. Essa non rifiuta l’unione con i numerosi fuggiaschi, tanto più casta quanto più strettamente congiunta al maggior numero di essi; lei che è vergine immacolata, senza ruga, incontaminata nel pudore, amante pubblica, meretrice casta, vedova sterile, vergine feconda... Meretrice casta, perché molti amanti la frequentano per le attrattive dell’amore ma senza la contaminazione della colpa”.
La cosa è facilmente spiegabile: Magister ha preso la citazione da un testo del Biffi (La sposa chiacchierata: invito all’ecclesiocentrismo, Jaca Book 1998 – pag. 57) e ha messo i puntini sospensivi nel testo di Ambrogio dove Sua Eminenza si sofferma un attimo a fare una considerazione, peraltro insignificante. Come dire: dove Biffi si ferma a fare una pisciatina, Magister fa un attimo di pausa nella lettura di Ambrogio. Tutto normale: questa è la Chiesa e questi sono i suoi vaticanisti, punto.

Suppongo sia superfluo sottolineare la carriera della puttana, da Gerico a Gs 2, 1-21, da Gs 2, 1-21 ad Ambrogio, da Ambrogio al Biffi, dal Biffi al Magister. Vale la pena di segnalare, invece, il titolo che Magister dà al suo pezzo – “Chiesa peccatrice? Una leggenda da sfatare” – e la chiusa: “In giorni calamitosi come gli attuali, pieni di accuse che vogliono invalidare proprio la santità della Chiesa, questa è una verità da non dimenticare”.
Chi è più puttana, Raab o Magister?

lunedì 26 aprile 2010

Voilà


Cover



Vittorio Feltri era retroscenista, il 16 aprile, e ci offriva un grazioso botta e risposta: botta moscia, risposta da dio. Dev’esserne rimasto assai colpito, Berlusconi, perché oggi, come fa con le barzellette, ricicla e fa sue botta e risposta

Se uno cerca di pigliarmi per il culo

Se uno cerca di pigliarmi per il culo, di regola m’incazzo. E però dipende. Più sofisticato è il tentativo, meno m’incazzo. Posso arrivare addirittura a non incazzarmi affatto, se ritengo l’inganno di livello sopraffino. Al contrario, se si tratta di una volgare presa per il culo, m’incazzo come un animale, perché nella grossolanità dell’artificio leggo l’aggravante dell’offesa. È questo il caso dell’editoriale di Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera di oggi.
“Ieri l’altro il vescovo di Bruges; giovedì quello di Kildare e Leighlin, ultimo di tre prelati irlandesi; subito prima il vescovo di Augsburg, il vescovo norvegese Muller e monsignor John Magee, ex segretario di vari Papi. In modo impressionante si susseguono a raffica le dimissioni di alti dignitari della Chiesa cattolica, colpevoli più o meno confessi, nella maggioranza dei casi, di abusi sessuali nei confronti di minori. Insomma, l’opera di pulizia auspicata con parole di fuoco da Benedetto XVI quando era ancora il cardinale Ratzinger (e quando su questi temi – mi sembra importante notarlo – l’opinione pubblica non si faceva sentire) va avanti con decisione senza guardare in faccia a nessuno”.
A quell’“insomma” mi offendo e m’incazzo di brutto: rifilarmi le dimissioni a raffica come effetto immediato e diretto di ciò che Joseph Ratzinger – per la stessa ammissione di Ernesto Galli della Loggia – si sarebbe limitato ad “auspicare”, e più di cinque anni fa, mi pare una volgarissima presa per il culo.
Dal 1981 al 2005, mentre è a capo della Congregazione per la Dottrina della Fede, Joseph Ratzinger non fa altro che insabbiare tutti i casi di pedofilia che gli vengono segnalati da ogni parte del mondo, e nel 2001 firma la De delictis gravioribus che in sostanza ribadisce quanto era scritto nella Crimen sollicitationis, col solo merito di portare l’opinione pubblica a conoscenza della sua esistenza; poi, nel 2005, sospira un vago: “Quanta sporcizia c’è nella Chiesa!”, che può significare tutto e niente. Questo, per Ernesto Galli della Loggia, avrebbe provocato le dimissioni degli otto vescovi.
Mica l’ondata di sdegno internazionale dinanzi ai centinaia e centinaia di casi fin qui occultati proprio dietro direttiva della Congregazione per la Dottrina della Fede ed oggi rivelati dalle vittime che piano piano trovano il coraggio di denunciare quello che hanno subito. Mica l’impossibilità di continuare a governare diocesi che sono sgomente e atterrite nel venire a conoscenza di quali criminali le governassero. Macché, tutto accade perché l’ha voluto il papa, fin da quand’era cardinale.
Se uno tentasse di barare in questo modo all’altro capo del tavolo di gioco, mi alzerei e gli romperei la mia sedia in testa. Ernesto Galli della Loggia, per sua fortuna, bara a debita distanza.
“Si tratta di un’importante opera di disciplinamento e in certo senso di autoriforma della Chiesa, dietro la quale si intravedono però fenomeni più ampi e significativi che non rendono troppo azzardato parlare di una vera svolta storica. Per la prima volta, infatti, la Chiesa cattolica si spoglia di sua spontanea volontà di ogni funzione di intermediazione – e per ciò stesso, inevitabilmente, di «protezione» – nei confronti dei propri membri. Si priva di ogni attribuzione e volontà di giudizio nel merito, di decisione sua propria ed autonoma nei loro riguardi. Lo fa, per giunta, non in seguito a provvedimenti giudiziari emanati da una qualche autorità civile di cui le è giocoforza prendere atto, ma per l’appunto in via preliminare”.
“In via preliminare”, un cazzo. Ci sono diocesi che hanno dovuto dichiarare il fallimento negli Stati Uniti ed altre che hanno dovuto sborsare cifre enormi per risarcire le vittime degli abusi sessuali a danno di minori commessi da preti cattolici.
Tranne che in Italia, dove i giornali cercano di mettere la sordina a ciò che avviene in ogni parte del mondo, dall’Australia al Brasile, dalla Germania al Canada, dall’Irlanda al Belgio, ecc. – tranne che in Italia, dove i vaticanisti sono ridicole parodie di giornalisti – ovunque è chiaro che la Santa Sede cerca di tamponare come può, sacrificando chi ormai è indifendibile per colpa palese.
Ad essere buoni, si tratta di un assai tardivo senso di colpa di Ratzinger e Bertone; ad essere maliziosi, i due cercano di rifarsi una verginità, esibendo un rigore che è più nella forma che nella sostanza, perché, ad affondare troppo il bisturi nel bubbone, il pus li schizzerebbe.
Per Ernesto Galli della Loggia, invece:
“Qualunque membro del clero, non importa il suo grado, abbia avuto comportamenti sessuali illeciti ha l’obbligo, per così dire, dell’autodenuncia e di affrontare quindi le conseguenze dei propri atti davanti alla giustizia laica. Allo stesso modo, sembra di capire…”
[la presa per il culo sta tutta negli incisi, si tratta di artificio dozzinale]
“… qualunque istanza gerarchica cattolica venga a conoscenza di atti sessuali illeciti commessi da un membro del clero ha l’obbligo d’ora in avanti della denuncia immediata all’autorità civile. In nessun modo, insomma, il peccato fa più da schermo al reato. Non so quanti precedenti ci siano di un indirizzo del genere: certo pochissimi, forse nessuno”.
Perché, di grazia, quando la gangrena mette a rischia la vita, non si provvede all’amputazione? Che c’è di eccezionale nel liberarsi di ciò che può diventare letale?
“Come si sa, infatti, la Chiesa cattolica si è sempre considerata una societas perfecta, un’organizzazione che non riconosceva per principio alcuna istanza umana a lei sovraordinata, a cominciare dallo Stato. Nella sua ottica essa poteva sì rinunciare, quando fosse il caso, alle più svariate prerogative, competenze, diritti o che altro, ma sempre o per via pattizia (cioè concordataria), o perché costrettavi a forza dallo Stato. Con l’esplodere del problema della pedofilia si ha, invece, nei fatti, un cambiamento di rotta quanto mai significativo: che è la prova indubbia dell’estrema risolutezza con cui il Papa ha deciso di affrontare la questione non indietreggiando di fronte alle conseguenze. Tale mutamento di rotta a sua volta ne implica, mi sembra, un altro ancora. E cioè che in questa circostanza la Chiesa ha finito per fare rapidamente proprio, senza riserve o scostamenti di sorta, il punto di vista affermatosi (peraltro recentemente e a fatica, ricordiamocelo) nella società laica occidentale. Non voglio certo dire che la Chiesa ha avuto bisogno del giudizio della società laica per considerare l’abuso sessuale sui minori un peccato gravissimo (forse il più grave stando alla lettera del Vangelo). Ma esso era tale anche dieci, venti o trenta anni fa quando tuttavia veniva quasi sempre coperto”.
Ecco, per dover dire mezza verità – che, cioè, quando la Chiesa fa qualcosa di appena appena decente, lo fa perché costretta dal secolo – Ernesto Galli della Loggia è costretto a darsi la zappa sui piedi: “dieci, venti o trenta anni fa quando veniva quasi sempre coperto”. E chi lo copriva? Chi c’era a capo della Congregazione per la Dottrina della Fede, dieci, venti e trent’anni fa? Lo stesso che oggi paga Lucetta Scaraffia per i suoi deliziosi pezzulli su L’Osservatore Romano.
“Se oggi non è più così, non può più essere così, se oggi da quella gravità la Chiesa ha tratto le nuove e drastiche conseguenze che sono sotto i nostri occhi, con tutta evidenza ciò è accaduto solo perché il giudizio della società sugli abusi pedofili è anch’esso nel frattempo mutato. Cosicché, mentre su ogni altro uso della sessualità o pratiche connesse, essa ha adottato, e tuttora adotta, un suo proprio metro di giudizio, più o meno diverso rispetto a quello comunemente accettato, in questo caso vediamo invece che si conforma al punto di vista della società”.
Bene, incassiamo almeno questa dal marito della Lucetta: se non era per noi laici, i chierici avrebbero continuato ad abusare dei bambini coprendosi a vicenda. Ad essere pignoli, in verità, ancora il sole girerebbe attorno alla terra, se non era per noi laici. Ma qui non è il caso di allargare la questione ai massimi sistemi.



[Non vado oltre, perché la pagina da qui in poi è illeggibile: sputando bile sulla firma, la chiusa dell’editoriale è andata sbiadendosi.]

Gianfranco Fini si è solo limitato ad una citazione dotta (Radio Radicale, 13.4.2009)


A cuccia, non si vota!


I soliti due passi avanti e uno indietro, Bossi non pretende più le elezioni: gli bastava far vedere che non le teme, maturando il diritto di minacciarle ancora, quando dovesse essere utile.
Nemmeno Berlusconi ci pensa più, neanche tenta più il bluff, pensa alle riforme, paternamente costituente. Gli fumano i coglioni, ma le elezioni no.
Figuriamoci se può volerle Fini: l’assai insicuro 6% che gli danno i sondaggi varrebbero assai meno dei deputati e dei senatori sui quali può sicuramente contare adesso che l’autodafé li ha temprati e caricati di scintille.
Neppure Bersani vuole le elezioni. Ammesso avesse voce in capitolo, naturalmente.
Tutti gli altri – Di Pietro, Grillo, Pannella – non contano un cazzo. Poco meno di Napolitano, insomma.
E dunque non andremo a votare: nessuno lo vuole, nessuno ci ha mai creduto davvero, quasi tutti l’hanno piuttosto temuto.

Altra cosa sono i rispettivi popoli, quelli sarebbero pronti a votare domani, stanno sempre a smaniare con la matita in mano, voterebbero tutte le domeniche che piove (con licenza di astensione): il popolo padano e quello della Libertà con la bava alla bocca, intenzionati a non fare prigionieri; gli altri giusto per spezzare la routine del regime, scaramanticamente tacendo la speranza in una botta di culo, chessò, un terremoto che rada al suolo Palazzo Chigi mentre è in corso un Consiglio dei Ministri. Tutta plebe, a cuccia, non si vota!

Insomma, ci aspettano tre annetti di quelli sfiziosissimi. Sfiziosissime riforme federalistiche, innanzitutto, di quelle che vogliono il passaggio referendario, ma anche no, chissà, boh. Riforma della giustizia da sfiziare tutti, nessuno escluso, tranne il relatore, poveraccio. Riforma fiscale, puro sfizio. Mettiamo mano al welfare e alle pensioni? Perché no?
Avremmo mille e mille sub-eccezioni ad ogni eccezione, e un’eccezione a ciascuna. Stress a destra, frustrazione a sinistra, malesseri intestini di qua e di là. Terreno propizio agli affari, quelli incolori, solitamente detti bipartisan.

Né tango argentino, né tragedia greca. Frittura all’italiana.

Istigazione al trolling


“Anche nella rete siete chiamati a collocarvi come animatori di comunità, attenti a preparare cammini che conducano alla Parola di Dio [...] Il mondo della co­municazione sociale entri a pieno titolo nella pro­grammazione pastorale”

Benedetto XVI, 24.4.2010


Teniamolo da conto


“Lo scandalo pedofilia travolge i Boy Scout d’America, condannati da un tribunale dell’Oregon ad un maxi risarcimento da quasi 14 milioni di euro (18,5 milioni di dollari) nei confronti di un uomo per gli abusi subiti da un ex capo-scout. […] La vicenda risale agli anni ’80 quando un ragazzo - Kerry Lewis, che oggi ha 38 anni - fu abusato sessualmente da uno dei suoi capi «pattuglia», Timur Dykes, oggi 53enne. La Bsa (l’organizzazione degli scout d’America cui fanno capo migliaia di gruppi di boy scout legati a varie chiese) è stata condannata a pagare il risarcimento - secondo i giudici di Portland - per negligenza nel proteggere i «lupetti» da eventuali pedofili lasciando questi ultimi a contatto con i bambini”
Avvenire, 25.4.2010

 
Nessun commento al fatto che il risarcimento sia toccato alla Bsa e non al capo-scout. Pare che per il giornale dei vescovi sia cosa del tutto ovvia che a risarcire una vittima di abusi sessuali non sia la persona che lo ha materialmente commesso, ma l’organizzazione alla quale apparteneva. 
 

La messa, che palle!



Almeno per questa volta, assolto. 

Un grande rispetto per tutto ciò che è naturale


Un antipertensivo e un ipoglicemizzante faranno mai felice un soggetto diabetico ed iperteso? E un obeso che abbia avuto due o tre episodi di fibrillazione atriale troverà mai la felicità negli antiperlipidemici e negli antiaritmici che gli hanno prescritto? Due domande cretine, vero? Avete ragione, nessun farmaco dà la felicità, né la promette. Diciamo che ho provato a infinocchiarvi, ma l’ho fatto in modo troppo grossolano.
Consentite ch’io faccia un altro tentativo, via, siate carini, lasciatemi tentare. Sappiate che non è un tentativo di infinocchiamento fine a se stesso: servo una nobile causa, io. Anzi, voglio giocare a carte scoperte: nutro un grande rispetto per tutto ciò che è naturale (ictus e infarto compresi) e ritengo che l’uso di antipertensivi, ipoglicemizzanti, antiperlipidemici e antiaritmici sia contro natura. Per dire: fosse per me, ne vieterei la vendita.
Non è in mio potere, ovviamente, ma almeno consentite ch’io cerchi di convincere anche un solo diabetico, anche un solo obeso, anche un solo iperteso, anche un solo cardiopatico a farne a meno. Come? Fatemi dire che questi farmaci sono ormai in uso da anni e anni, ma “non ci hanno portato la felicità”. Fatemi aggiungere: “si può fare di meglio nell’ambizione di viver felici”.
Dite che sarà difficile convincere qualcuno, soprattutto se diabetico, obeso, iperteso o cardiopatico? Non è detto, anzi, io penso di averne già trovato uno sul quale questo genere di argomento potrebbe fare ottima presa.
“Cinquantanni di pillola – intesa come contraccettivo orale – non ci hanno portato la felicità”, scrive il diabetico, obeso, iperteso e cardiopatico sul quale conto di far valere il mio argomento: mi basterà dirgli che nemmeno tutti i farmaci che ha sul comodino hanno sortito molto effetto, in quel senso. Scrive che “si può fare di meglio nell’ambizione di viver felici, parecchio meglio”. Mi basterà dirgli che son d’accordo, chiedendogli di dare il buon esempio: tutte quelle pillole non ti rendono felice, Giulia’, buttale.

domenica 25 aprile 2010

Togliere loro l’umana possibilità di farlo


“Vorrei vedere Hitler e i tedeschi suoi se quello che fanno non fosse nell’uomo di poterlo fare. Vorrei vederli a cercar di farlo. Togliere loro l’umana possibilità di farlo e poi dire loro: avanti, fate. Che cosa farebbero?”

Elio Vittorini, Uomini e no

sabato 24 aprile 2010

[...]


Fino a quando non la si cambia, piaccia o no, la Costituzione affida al Presidente della Repubblica il compito di sciogliere le Camere e di indire nuove elezioni politiche: le dimissioni di un governo non lo costringono a farlo. Potrebbe ritenere (a torto o a ragione, chi può dirlo con certezza a priori?) che in Parlamento ci siano i numeri per dar vita a un nuovo governo e, invece di interrompere la legislatura, incaricare chi ritenga capace (a torto o a ragione, come sopra) di dar vita a un nuovo governo.
Tremonti rifiuterebbe questo incarico? La Lega non gli accorderebbe la fiducia? Si andrebbe alle elezioni, le vincerebbe ancora il centrodestra? Dopo averle vinte, sarebbe lo stesso centrodestra che le vuole adesso?
Sarà meglio che Berlusconi tratti.

venerdì 23 aprile 2010

Segnalazione

Molte sagge parole (di Federica Sgaggio, via Luca Massaro).

Soldi buttati


La minaccia di azioni legali che ha costretto gli amministratori di Wikipedia a rimuoverla non lo specificava, sicché non si è mai capito cosa desse fastidio ad Antonio Angelucci di quanto alla voce che gli era dedicata, e non mi pare contenesse imprecisioni.
Non ne dà spiegazione neanche un suo autorevole famiglio, che a Ottoemezzo (La7, 23.4.2010) dice un gran bene di Wikipedia, sottolineando la possibilità di rettificare quanto di inesatto ciascuno abbia lì a leggere sul proprio conto.

Uno paga un dipendente, lo paga per produrre informazione, e quello non lo informa? Soldi buttati.  

Riparo



L’intervento di Gianfranco Fini alla Direzione del Pdl mi è piaciuto molto, ma più tutto m’è piaciuto il passaggio in cui ha detto:

“Ecco, per esempio, consentite che vi legga due righe prese dalle brevi in cronaca: «A Paderno, in provincia di Udine, una bimba appena nata è stata sepolta con rito islamico in un’area del cimitero che mesi fa il comune aveva riservato ai tanti fedeli musulmani residenti in zona. Questa cosa ha fatto storcere il naso alla Lega Nord, che per protesta ha organizzato un volantinaggio in occasione della tumulazione della piccola. Già in passato alcuni esponenti del Carroccio avevano presentato una raccolta di 1.700 firme ed una fiaccolata per eliminare la zona cimiteriale riservata ai musulmani. Ad appoggiare la protesta vi è stato anche il consigliere comunale del Pdl, Loris Michelini, che attraverso le segnalazioni di alcuni residenti ha deciso di portare la vicenda in consiglio». Amici del Pdl, vorreste convincermi che io sono un traditore e che questo Loris Michelini è uno fedele al partito? Ma mettetevi in ginocchio e baciatemi la punta dell’uccello. E attenzione alla cravatta: ci tengo, è un regalo della Betty”.
Ah, che leader!

Nota
Solo oggi recupero una notizia ormai vecchia più d’una settimana, e che a me pare enorme, sicché comincio col cercare di spiegarmi come possa essermi sfuggita e, mentre cerco, capisco perché cerco: mi ha fatto un male cane, mi sento in colpa per non averle lasciato modo di farmi male prima, subito, come meritava. Subentrano i meccanismi di difesa e comincio a riparare la ferita: i tg non ne hanno parlato, i giornali che l’hanno fatto vi hanno dato poco peso, non più di una dozzina di blogger hanno ripreso la notizia… Non mi basta, rimango ferito. L’Unità, per esempio, ne aveva parlato, ma io la leggo solo saltuariamente. E allora comincio a farmene una colpa, che riesco ad attenuare solo con un trucchetto un pochino disonesto, che vado subito a rivelare. Pare che il Pd voglia vendere l’Unità agli Angelucci e metterci Polito a dirigerla: se quello che una decina di giorni fa è accaduto a Paderno fosse accaduto ad affare fatto, non avrei comunque potuta apprenderla da l’Unità, perché non ve n’era cenno neanche su il Riformista, anche se questo lo so solo adesso, perché non lo leggo più da tempo.
E allora comincio a prendermela con questi cazzo di blog che ho fra preferiti, feed, blogroll e reader: più di duecento in tutto, e nessuno che abbia ritenuto degna la notizia di due righe. Pesco a caso un capro espiatorio – quello stronzone di Jimmomo, che proprio oggi mi ha fatto girare furiosamente le palle con il suo solito compitino perbenino sulle virtù di Pdl e Lega – e comincio a maledirlo ben benino, ma poi smetto subito, poveraccio, sennò dovrei pigliarmela pure con tutti i megablog da venti post al giorno... Niente, non riesco a trovar pace, la notizia continua a farmi un male della madonna, non so come neutralizzarla… Poi però trovo un rimedio: la piglio da dove l’ho presa, ci metto le dovute virgolette e la incastono in una fiction. Naturalmente tutta questa premessa mi torna inutile, eventualmente la userò come nota in coda.

"Non mi basta eliminare gli zaini dalle spalle dei bambini e dei ragazzi"




Date a Cesare quel che è di Cesare


“È stata presentata al tribunale federale di Milwaukee in Wisconsin, da un uomo dell’Illinois, la denuncia nei confronti della Santa Sede, di Papa Benedetto XVI e dei cardinali Angelo Sodano e Tarcisio Bertone per aver coperto un prete del Wisconsin che ha abusato di lui quando era ragazzo” (ansa.it, 23.4.2010).

Un galantuomo


Fra i servi in platea, almeno da quanto è andato in video, Gaetano Quagliariello sembrava il più irritato dalle cose dette da Gianfranco Fini, anzi, sembrava quello che più teneva a mostrare la sua personale irritazione, e si può capire: veniva infranto il principio di quel “nuovo centralismo democratico” che aveva teorizzato sei mesi fa, a novembre, quando gli dava forma nell’assunto di William E. Gladstone: “Tra la propria coscienza e il proprio partito, un gentiluomo sceglie sempre il partito”. Teneva a mostrare quanto è galantuomo, Quagliariello.

In fondo, in fondo, in fondo



“Sta facendo quello che io gli consigliavo di fare cinque o anche dieci anni fa, quando ero direttore dell’Indipendente” (Il Sole-24Ore, 22.4.2010).
Gianfranco Fini sta facendo quello che gli consigliava Giordano Bruno Guerri, quello che non ha mai smesso di consigliargli, neanche dopo essere stato sollevato dalla direzione de L’Indipendente, di cui era editore un finiano, Italo Bocchino.
Fu nel 2005. Di lì a qualche mese ci sarebbero state le elezioni regionali e L’Indipendente tornava scomodo presso il tradizionale elettorato di An con tutto quel parlare di «nuova destra», una destra che Guerri non si è mai stancato di auspicarsi “davvero liberale, liberista e anche libertaria” (il Giornale, 20.7.2006): licenziarono Guerri e al suo posto misero Malgieri.)

A quei tempi, ero molto scettico sul fatto che i consigli di Guerri potessero essere raccolti da Fini, e pensavo che quella «nuova destra», nel caso, stesse in fondo ad un lunghissimo percorso. Le ragioni del mio scetticismo interessarono in qualche modo Guerri, che mi chiese di collaborare al suo giornale. Durò solo nove mesi (una trentina di articoli e un centinaio di corsivi), perché interruppi quella collaborazione quando pensai di aver vinto la scommessa: il licenziamento di Guerri mi sembrò la prova che quella sua «nuova destra» fosse impossibile.

Su cosa potesse essere, questa «nuova destra», pochi mesi prima mi ero espresso così:

Il termine «cultura» è sommamente ambiguo. Può indicare l’insieme delle conoscenze fatte proprie da un gruppo più o meno esteso di individui, come cifra distintiva di carattere antropologico. Ma può indicare anche il comune patrimonio di pensiero, espresso nelle forme della produzione intellettuale, che quel gruppo prende a referente. Può indicare anche lo sviluppo di una tradizione di pratiche condivise, caratterizzate da comuni elementi di articolazione storica. E può indicare anche, soltanto, il minimo comune multiplo che lega eterogenee esperienze di ricerca in campo intellettivo, artistico e scientifico.
Il termine «cultura» tocca il punto più alto della sua ambiguità quando si fa tassonomia di queste esperienze, compilando liste di autorità in questi campi, affiliando ad esse il ruolo di numi tutelari, orse maggiori nel cammino delle elaborazioni individuali, sistemi, protocolli. Di qui l’ambiguità degenera nell’indistinto di consorteria, mero avamposto della secolarizzazione, carta geopolitica del prestigio e del fascino mondano, accademizzazione, cattedra e cattedrale, famiglia mafiosa di questo o quel mandamento filosofico, letterario, politico (in senso lato).
Il sommo grado di ambiguità del termine «cultura» si realizza, così, nella comune utensileria che un dato sistema produttivo (una catena di produzione intellettuale nella sua piena articolazione) si tramanda da generazione a generazione di monopolisti. La norma a regime è l’inscrizione a egemonia.
L’ambiguità che, invece, attiene ai termini di «destra» e «sinistra», su una ormai logora polarità che fondò il suo asse nella nascita e nello sviluppo della cultura politica come bastione di frontiere oggi irriconoscibili, è ambiguità di categoria socio-storica. Quando se ne adotta il metro è per mera impossibilità a muoversi in un territorio che è faglia perpetua. Fin dall’inizio, fin dal momento in cui nella Palestra della Pallacorda si disposero file di sedie su un lato e file di sedie sull’altro, il confine tra «destra» e «sinistra» si aprì in diastasi di impraticabilità politica, qui, e si sovrappose in aree di irrisolta similitudine, lì. Qualche momento di diastasi minacciò di ingoiare la differenza: per horror vacui la Storia riempì l’abisso di centrismo, e sopra vi eresse monumenti di moderatismo, tregue e sospensioni, ponti sulla faglia. Più spesso, il confine collassò, sovrapponendo i diversi: sinistre fasciste, nazi-maoismi, per dirne due.

Data l’ambiguità di questi termini, è materia di vertigine pensare, dire e scrivere «cultura di destra» e «cultura di sinistra». Però lo si pensa, lo si dice, lo si scrive. Vertigine nella vertigine è il caso davvero strano che per «cultura di sinistra» si possa dire dove sia (non «cosa sia», perché l’identificazione è topografica, dunque storica) “l’insieme delle conoscenze fatte proprie da un gruppo più o meno esteso di individui come cifra distintiva di carattere antropologico”, dove sia “il comune patrimonio di pensiero, espresso nelle forme della produzione intellettuale, che quel gruppo prende a referente”, dove sia “lo sviluppo di una tradizione di pratiche condivise” e – soprattutto, oggi, nel punto in cui l’umile sottoscritto verga queste note chiocce per un giornale della «nuova destra» – dove sia la “consorteria” di sinistra, la mafia delle cattedre, delle società editrici, delle fondazioni para-, peri- e meta-partitiche, delle congreghe, delle cooperative, delle conventicole – di «sinistra». La «cultura di destra»? Direbbe Adriano Romualdi che “non esiste una cultura di destra”, perché a corto di “organizzazione, danaro e propaganda”, ma anche perché “a sinistra si sa bene quel che si vuole [...], a destra si brancola nell’incertezza, nell’imprecisione ideologica”.
Cattolici (sedevacantisti, lefebvriani, tradizional-popolari, lepantisti, fascio-tradizionalisti, carlisti, neoborbonici, ecc.) e non cattolici (tradizional-comunitari, evoliani, esoterici-ermetici, neopagani, guenoniani, tradizionalisti-non tradizionalisti, ecc.). Oltre: conservatorismo e rivoluzionalismo, ribellismo e perbenismo, ateismo e spiritismo, nazionalismo e universalismo, corporativismo e liberismo, futurismo e dada. Non c’è una destra. Le destre sono tante quante gli uomini che si dicono “di destra”, e ciascuno d’essi ha la sua cultura: qui codina e bigotta, lì dissennata e insistematizzabile; qui democratica, lì elitaria; qui accademica, lì anti-accademica. L’unico valore comune a tutte è l’individualismo. E l’unico portato politico-culturale che nel terzo millennio questo individualismo può far proprio è il liberalismo, per non esaurirsi.

La cultura della «nuova destra», a ben vedere, non rimuove e non esorcizza le sue diverse anime, le ricompone in esperienze di una stessa anima, desistematizzandole da Weltanshauung. L’approdo al metodo, più che alla sostanza, del liberalismo ne fa mezzi invece che inarrivabili fini, e forse anche dispositivi etico-estetici di conoscenza.
La «nuova destra» vuole rinunciare alla Verità Assoluta. Comincia – ma lentamente – a capire che essa è intraducibile nel nomos dello Stato Etico, ove l’individuo è uno solo se organico, per reductio. E l’unica rivoluzione che non abortirà – qui lo si crede, fidando più nella pazienza che nel fervore. Ma questo ovviamente è in fondo, in fondo, in fondo.
(L’Indipendente, 20.10.2004)
Ma in fondo, in fondo, in fondo.

giovedì 22 aprile 2010

La cosiddetta "allucinazione collettiva"



Trovato il “castello cattivissimo” che sembrava esistere solo nella fantasia dei bambini di Rignano Flaminio, corrisponde esattamente alle loro descrizioni.  

Giornata della Terra


Per la Giornata della Terra, questo 22 aprile, Magazine manda in edicola un numero monotematico, tutto ecologico. Tanto ecologico che a pag. 130 si pubblicizza un notebook “a basso impatto ambientale”: a renderlo tale, “dettagli in fibra di bambù”.
È un’idea da suggerire a chi produce frigoriferi: un bel rivestimento in fibra di bambù e il freon non è più un problema.

Monsignor Rino Fisichella ha detto un mucchio di stronzate


Intervistato da Franca Giansoldati per Il Gazzettino (21.4.2010), monsignor Rino Fisichella ha detto un mucchio di stronzate: “Il presidente Berlusconi essendosi separato dalla seconda moglie, la signora Veronica, con la quale era sposato civilmente, è tornato ad una situazione, diciamo così, ex ante. Il primo matrimonio era un matrimonio religioso. È il secondo matrimonio, da un punto di vista canonico, che creava problemi. È solo al fedele separato e risposato che è vietato comunicarsi, poiché sussiste uno stato di permanenza nel peccato. A meno che, ovviamente, il primo matrimonio non venga annullato dalla Sacra Rota. Ma se l’ostacolo viene rimosso, nulla osta”.
Qui gli vien chiesto: “Con la separazione dalla signora Veronica, il presidente Berlusconi è nelle condizioni di accostarsi alla comunione dato che non vive più in uno stato di permanenza di peccato?”. E Sua Eccellenza: “Esattamente”.

Esattamente, un cazzo. O Fisichella non conosce il Codice di Diritto Canonico, e allora sarebbe il caso stesse zitto, o lo conosce, ma ne dà una lettura stravolgente. La cosa più inquietante, tuttavia, non è che Fisichella dica stronzate, ma che nessuno glielo dica. Almeno fino ad ora, infatti, nessuno gli ha fatto presente che quella “situazione, diciamo così, ex ante” sarebbe realizzata solo – ripeto: solo – qualora Berlusconi tornasse dalla prima moglie. Il che non è accaduto.
La Chiesa, è vero, “non riconosce come valida una nuova unione, se era valido il primo matrimonio” (Catechismo, 1650). Ma il divorzio tra Berlusconi e la prima moglie non l’ha reso invalido (solo l’annullamento della Sacra Rota avrebbe potuto): agli occhi di Dio, è ancora il marito della signora Carla Dall’Oglio, alla quale s’è unito in matrimonio con rito religioso nel 1965.

Monsignor Rino Fisichella applica al caso di Berlusconi, ma assai impropriamente, la normativa relativa alla cosiddetta “separazione con permanenza del vincolo” (Codice di Diritto Canonico, libro IV, parte I, titolo VII, capitolo IX, articolo 2, cann. 1152-1155).
Qui, siamo dinanzi al caso in cui un coniuge, tradito dall’altro, non riesca a perdonargli l’adulterio: la Chiesa gli concede “il diritto di sciogliere la convivenza coniugale” (1151), non già di considerare sciolto il vincolo matrimoniale, tanto meno di potersi risposare. E tuttavia, “cessata la causa della separazione [che il Fisichella vede cessata anche se il secondo matrimonio non è ancora formalmente sciolto], si deve ricostituire la convivenza coniugale” (1153).
Ora, anche volendo considerare cessata la “causa della separazione” tra Berlusconi e la Dall’Oglio, non si ha notizia della loro “ricostituzione della convivenza coniugale”. E dunque Sua Eccellenza straparla.
La cosa più grave, però, è che nessuno – né chierico, né laico – intervenga a correggerlo.


A parte
Ci sarebbe un’altra questione, tutt’altro che secondaria, e cioè se Berlusconi si sia accostato all’eucaristia previa confessione. Tutt’altro che secondaria, perché, salvo quanto fin qui detto, se non ci fosse stata confessione, si tratterebbe di sacrilegio. E tuttavia questo pare non meritare troppa attenzione da monsignor Rino Fisichella.
“Sapevo che Berlusconi era divorziato”, ha ammesso il prete che gli ha somministrato l’eucaristia, ma non sapeva se l’aveva confessato prima?

Nuit blanche


Un gran bel farsi male



Premette: “Sarò serio”. Conclude: “Siamo fottuti”. In mezzo, esattamente al centro: “La vita si è complicata e suscita ovunque più paura di prima”. Invito alla lettura della lectio magistralis di Formamentis, un gran bel farsi male, e farne.

mercoledì 21 aprile 2010

[...]


Scoprire che la canzoncina dello spot della Audi A3 recita “the cat came back”, e non “the cock in back” come pareva a me, mi tranquillizza.

Ristretti

Numeri sui detenuti in Italia (al 28.2.2010).

Finiani, finioti e finoidi


L’umore del padrone non è sempre desumibile dall’abbottonatura della livrea del suo servo, ma stavolta Gaetano Quagliariello può tornarci utile: venerdì 16 aprile, a Ottoemezzo, distingueva tra finiani e finioti, mentre oggi, su Il Foglio, distingue tra finiani e finoidi. Mantenendo l’iperbole che in quella puntata di Ottoemezzo era nel commento di Stefano Folli sull’andamento della crisi (“è scoppiata la pace”), possiamo dire che alla “pace” si stia arrivando perché l’umore di Silvio Berlusconi non slabbra più le asole semantiche dei suoi.
Pur di non essere costretto a far cadere il governo, andare alle elezioni, vincerle ma facendo ancora più forte la Lega, e cioè Giulio Tremonti, il padrone del Pdl pare disposto a tollerare che nel suo partito si possa rimanere, anche da dirigenti, per una convenienza non coperta da piena ed entusiastica obbedienza. Anche chi non lo ama follemente, e non è disposto a fingere, può rimanere nel Pdl: per un narcisista come lui è un prezzo alto da pagare, ma pure un narcisista sa fare di calcolo sul proprio culo.

Da finioti a finoidi, dunque, ma tenendo ben presente una differenza tra Fini e i finiani sulla quale gli uomini di Berlusconi hanno sempre posto un particolare accento, fin da subito.
Nella costruzione che veniva appaltata a il Giornale di Vittorio Feltri, Fini si muoveva in preda ad un malessere esistenziale che lo portava a tradire se stesso, prima che i suoi. D’altra parte, i suoi colonnelli lo davano per “malato” già nel 2005, ben prima di diventare sergenti di Berlusconi. Tutt’altra cosa, invece, i finiani: interessati alla poltrona o criptocomunisti.

Torniamo alla livrea del servo. Venerdì scorso, per Quagliariello, ci sono finiani e finioti. “È scoppiata la pace”, ma chi ha voluto la guerra? Non Fini, non i finiani, ma certi idioti fra i finiani che sarà il caso Fini voglia tener buoni per evitare un’altra guerra. Oggi, invece, ci sono finiani e finoidi: “Il problema non è Fini”, dice Quagliariello, ma è che “in Parlamento ci sono troppo pochi finiani e troppi, davvero troppi, finoidi”.
Alzate gli occhi dalla livrea, guardate oltre le spalle del servo: ottenuta la tregua, Berlusconi finge di averla concessa e già sta facendo un pensierino sui prossimi acquisti. “Malati”, a non vendersi. 

martedì 20 aprile 2010

Morning


Sei tu che devi spiegare


“Se qualcuno ha cambiato idea, è lui che deve spiegare perché ha cambiato idea”. Vi dico subito chi l’ha detto, ma promettetemi di mantenere un minimo di contegno: l’ha detto Daniele Capezzone, ieri (Il Fatto del Giorno – Raidue, 19.4.2010), e il riferimento era a Gianfranco Fini.

Innegabilmente, Fini “ha cambiato idea” negli ultimi anni, mostrando una sensibile maturazione in senso laico e liberale a un’opinione pubblica divisa tra la piacevole sorpresa e il sospettoso scetticismo. Ma che ha da spiegare uno che s’è venuto pian piano convincendo che, “su se stesso, sul proprio corpo e sulla propria mente, l’individuo è sovrano”?
Io penso che, comunque ci si arrivi, il perché sia in qualche modo sempre uguale. Capita che a un certo punto – empiricamente o razionalmente – scopri che, se su quella roba non è sovrano l’individuo (e per sovrano intendo totalmente libero e totalmente responsabile), lo è (o prima o poi lo diventa) un tiranno che si prende tutto, in cambio di poco o di niente, anche se sembra tanto.
Da quel punto in poi, se non sei stato irreparabilmente rotto dentro dagli strumenti di questo o di quell’autoritarismo, prendi in mano la tua vita come un arnese mai usato, invece di continuare a servirti di quella a noleggio, per la quale paghi il caro prezzo di te stesso.

Ciò che è più difficile da capire – ed è questo che meriterebbe ampia spiegazione – è com’è che, da laico e liberale, si possa diventare portavoce di un partito che ti manda a dire: “Quello che fa impazzire di rabbia la nostra gente è il fatto che Fini si inventi ogni giorno un argomento per distinguersi”.
Che gente è? E cosa ti è capitato perché tu possa darle voce? Come puoi farti espressione di una “rabbia” che trarrebbe a tuo parere un buon motivo dalla rottura di un unanimismo drogato? Dal laico e liberale che eri, come sei arrivato a poter definire le idee laiche e liberali di Fini come “argomenti inventati per distinguersi”? Sei tu che devi spiegare.

Il Post



Sfrondo il superfluo dall’editoriale (Una specie di editoriale) che apre il primo numero del Post: “Oggi va online il Post, […] per metà aggregatore […], per metà editore di blog. […] Pubblica notizie, storie, informazioni raccogliendole in rete e nei media, e linkando e segnalando le fonti. […] Il Post è Wittgenstein, ma di più. Più storie, più link, più idee, più blog”.

Con rispetto parlando, un contenitore. Però di testi anonimi, perché i post non sono firmati, ignoti i componenti della redazione e i rispettivi ruoli, solo i blog linkati rimandano ai loro titolari: sarà impossibile complimentarsi con altri che con Luca Sofri, nel caso. Una scelta per assicurare una coerenza editoriale e (in senso lato o in senso stretto, vedremo) politica. Non come Tocqueville, insomma. Nemmeno come The Huffington Post, a pensarci bene. Antecedenti nobili: Dagospia per il web (che è D’Agostino, ma di più) e Il Foglio per il cartaceo (che è Ferrara, ma di più).

La forma del contenitore consente di azzardare ipotesi sulla sostanza dei contenuti? C’è chi dice di sì e c’è chi dice di no, non resta che vedere come butterà. Al momento: “Cerchiamo di fare una cosa piccola ma ambiziosa, e di vedere cosa diventa”.
Giuro di aver sentito una frase pressoché simile da Lapo Elkann nel presentare la sua factory, Indipendent Ideas, che non sono mai riuscito a capire bene cosa produca.

Quasi dimenticavo, auguri.

lunedì 19 aprile 2010

Tutte le parole diventano sciocchezze



1. Ho scritto già due post sul Comitato nazionale di Radicali italiani tenutosi lo scorso fine settimana, e probabilmente un terzo è troppo. Il fatto è che mai come in questa occasione, dopo una sconfitta che per essi è stata assai più che elettorale, i radicali si sono messi in discussione in quanto radicali. 
È accaduto che, nel cercare le cause di un così duro responso delle urne, cinque o sei radicali sui sessantaquattro che hanno preso la parola (forse sette) sono arrivati a mettere in discussione, o comunque ad andare assai vicino a mettere in discussione, non già la tattica in questa o in quella scelta giudicata infelice, ma la stessa strategia, addirittura la teoria della prassi radicale e, insomma, hanno sfiorato in più punti un nervo ormai scoperto: la natura stessa della cosa radicale, nel suo carattere settario e oltranzista, nella sua struttura (ormai dichiaratamente) di tipo monastico, nella cifra carismatica della sua guida, nell’impenetrabilità della situazione proprietaria e – paradossalmente – nel suo deficit di laicità, di democrazia, di trasparenza.
Ne ha fatto le spese Giulia Innocenzi, che è stata troppo poco implicita nel criticare la linea tenuta in Commissione vigilanza Rai (proposta di regolamento a firma di Marco Beltrandi, approvato coi voti del Pdl, e che ha di fatto portato al blocco delle trasmissioni di approfondimento politico), offrendosi ad una esemplare reazione di tipo inquisitorio, ma non per cattiveria: giusto per richiamare all’obbedienza gli altri estemporanei eretici.
Accusata di essere una creatura partorita dai media del regime, in quota ai “buoni a nulla” (per giunta della bottega di Santoro, che da sempre sta un po’ sul cazzo a Pannella), e inoculata nel corpo mistico radicale per corromperlo alla basse logiche di opportunismo partitocratico.
Minaccia sventata, a detta di Pannella, perché il suo “intervento era piuttosto scontato”, ha suggestionato due o tre fessi che l’hanno riverberato, ma “non vale la pena di dargli troppo valore”.
Sistemata la Innocenzi come agente provocatore del regime infiltratosi nella purezza della riflessione post-elettorale radicale (per fortuna con poco danno, perché Pannella se ne è accorto subito e lo ha neutralizzato), gli altri quasi-dissidenti sono sistemati con lei.
Anche perché essendo stati molto più impliciti, hanno solo sfiorato il nervo scoperto, e si può far finta che non abbiano detto niente di importante.


2. È andata persa un’occasione unica per i radicali, forse l’ultima, e i radicali si giocavano tutto, con in mano le solite carte, risultate anche stavolta deboli. Colpa del mondo che sta fuori da quello stanzone di via di Torre Argentina, ok, ma maledettamente deboli.
Alcuni lo sentono, riescono perfino ad articolare una critica a quelle carte, ma i loro interventi vengono abilmente liquidati come riverberi della provocazione della Innocenzi. Se al suo intervento “non vale la pena di dar troppo valore”, figuriamoci agli altri.
Raffaele Ferraro parla di “uno scandalo di firme false” nel quale sarebbe implicato un dirigente radicale veneto. L’avesse fatto Zaia, subito sciopero della fame: qui, sciocchezze.
Simone Sapienza dice: “Siamo un partito che per sopravvivere è dovuto venire a patti che hanno minato la sua essenza, siamo un partito che campa di finanziamento pubblico, siamo un partito che senza l’aiuto del Pd non sarebbe riuscito a raccogliere le firme in molte delle poche regioni nelle quali siamo riusciti a presentare le nostre liste… Questo è un partito che da anni non riesce più a raccogliere firme, questo è un partito che compone le sue liste senza che nessuno sappia con quale metodo, è un partito che ha un bilancio patrimoniale che è dato conoscere né discutere… Questo è un partito che nella sua forma interna non riesce più a descrivere la tesi che dice di voler portare all’esterno: è così quando si accetta che tutti i dirigenti siano economicamente dipendenti dal partito, quando si sfrutta il precariato come fanno tutti…”. Sciocchezze.
Silvio Viale si lamenta di scelte che da Roma piovono in periferia e di cui poi nessuno si assume la responsabilità: un “partito romano” che sacrifica le energie periferiche e che lo ha costretto a ritirare la sua candidatura per fare un piacere al Pd, che aveva posto il veto sul suo nome… Quando fu posto su quello di Luca Coscioni, altra storia… E il metodo? Sciocchezze.
Maurizio Turco sente un deficit di cultura liberale, ma “noi – dice – non abbiamo altra possibilità se non quella di interloquire con il Pd. Ma interloquire per fare cosa? Per fare quello che ci veniva spiegato da altri compagni che poi se ne sono andati: per inocularvi il metodo liberale. Sennò che andiamo a fare nel Pd?”. Sciocchezze.
Diego Galli segnala dei grossi limiti nella comunicazione radicale. Non dice che è ferma agli anni ’70, in ossessiva e compulsiva aderenza alle stagioni delle grandi vittorie radicali, ma ormai logora e controproducente, ma lo fa capire, molto molto molto implicitamente lo fa capire. Sciocchezze.
Annalisa Chirico è un po’ più esplicita: “Possiamo anche consolarci della sconfitta dicendo che è dovuta all’asse Berlusconi-Bagnasco, peccato che in campagna elettorale abbiamo detto che il voto cattolico non ne fosse influenzato, che i cattolici erano quelli che ci avevano aiutato ai referendum sul divorzio e sull’aborto, che vanno differenziati dai clericali… Abbiamo perso perché non siamo stati abbastanza in tv? Ma Beppe Grillo quanto c’è stato?... O chiudiamo la baracca o la ricostruiamo dalla base… Noi invece continuiamo a guardare indietro, siamo un partito uguale a se stesso…”. Sciocchezze, evidentemente.
Ci sarebbe pure Lorenzo Lipparini, ma lui non conta: già bollato da Pannella come soggetto “antropologicamente democristiano”, e va’ a capire che significa. A orecchio, però, non suona bene: si ignori il signorino, non esiste.


3. Forse sono davvero tutte sciocchezze, ha ragione Pannella, perché questo Comitato nazionale di Radicali italiani ha sfornato una mozione generale approvata all’unanimità (con due astenuti), una mozione che te la raccomando, impermeabile ad ogni sciocchezza.
Dal parlare al non votare contro, dal parlare al votare come se non si fosse parlato, dal parlare al non dimettersi, giusto per dar un po’ di forza a ciò che si è detto – da quello a questo – tutte le parole diventano sciocchezze.